di Kasia Burney Gargiulo
C’è un affresco pompeiano custodito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli la cui visione scatena vere e proprie percezioni multisensoriali, tale è il realismo formale e cromatico che lo caratterizza. E’ la meravigliosa scena di giardino che un anonimo pittore tratteggiò nel I° sec. d.C. sulle pareti della stanza di ricevimento (oecus) della Casa del Bracciale d’Oro, a Pompei. Lo sguardo viene come risucchiato dai colori vibranti di uno splendido viridarium, un giardino ricco di piante di ogni specie, popolato di uccelli, erme marmoree e maschere dionisiache, che ci par di osservare attraverso una grande finestra aperta. Tutto vi è riprodotto nel dettaglio, al punto da poter riconoscere facilmente piante come l’oleandro, l’alloro, la palma, il viburno, il corbezzolo, il papavero e la rosa, una elegante rosa rossa sostenuta da una canna in cima alla quale canta un usignolo, uno fra i tanti uccelli – si riconoscono pure la rondine, la gazza, la colomba, la cornacchia, l’alzavola – che sembrano riempire di voci quell’angolo di lussureggiante paradiso stracolmo di rimandi simbolici. Ed è proprio pensando a quella rosa che suscita grande interesse la notizia della coltivazione della “rosa antica” di Pompei – rossa, profumata, rifiorente due volte l’anno, a fiore doppio composto da 36 petali – nata da una ricerca condotta dal Laboratorio di Ricerche Applicate della Soprintendenza di Pompei e dal Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, con il sostegno dell’Associazione “La rosa antica di Pompei” presieduta da Michele Fiorenza. Si tratta di un fiore che, secondo gli studiosi impegnati nel progetto, avrebbe caratteristiche del tutto simili alla rosa ritratta negli affreschi delle domus pompeiane, coltivata nei loro splendidi giardini e descritta da Plinio il Vecchio come un fiore dal profumo inebriante.
E’ il caso di ricordare come nell’antica Pompei, così come in altre località della Campania, da Paestum a Capua, la rosa trovasse spazio nei più svariati usi – ornamentali, decorativi, alimentari, farmaceutici e cosmetici – e come la sua coltivazione avesse raggiunto elevati traguardi produttivi e di qualità soprattutto ai fini della produzione di essenze e profumi rivolti ad un ampio mercato che raggiungeva vari paesi del Mediterraneo. Il dominio della Campania durò per qualche secolo. Studi su materiali disponibili hanno permesso di appurare che in realtà in questi territori non esisteva una sola specie di rosa, quanto invece un gruppo di piante che comprendeva specie spontanee ed ibride, fra le quali la rosa rossa a fiore doppio e rifiorente, che risulta essere la più frequente, come comprovato dalla sua ricorrente presenza nei dipinti rinvenuti in vari siti archeologici della Campania e, in particolare a Pompei, in domus come la Casa del Bracciale d’Oro, quella della Venere in Conchiglia o la Casa dei Quadretti Teatrali, che guardavano all’esempio capitolino della Villa di Livia a Prima Porta.
Il prossimo step di ricerca intorno alla rosa antica di Pompei vedrà gli scienziati del Dipartimento di Agraria di Portici (Napoli) andare alla ricerca del suo DNA per metterlo a confronto con quello della rosa da essi selezionata quale presumibilmente corrispondente alla varietà antica. A quanto pare l’atteso materiale genetico dovrebbe poter essere estratto da un reperto che attualmente si trova in Inghilterra: si tratta di un rametto, l’unico rinvenuto non carbonizzato, che fu prestato anni fa ad una studiosa inglese di botanica dal Laboratorio di ricerche del Parco archeologico di Pompei e mai restituito. L’obiettivo finale dell’indagine sarà quindi verificare se si sia riusciti a riprodurre una rosa davvero corrispondente al genotipo/fenotipo più diffuso a Pompei e in Campania.
Dei risultati finora ottenuti e della ricerca ancora in corso si è parlato lo scorso 6 giugno nel giardino di Villa Silvana, a Boscoreale (Napoli), dove gli scienziati hanno illustrato le analisi genetiche e di comparazione genomica tra le varietà e le specie oggi coltivate e quelle conservate nelle collezioni private di rose antiche campane, nei cimiteri monumentali campani e negli erbari storici italiani. Un lavoro che è stato affiancato da un importante studio di archeobotanica volto all’analisi dei reperti vegetali provenienti dai siti archeologici campani, come ad es. la pompeiana Casa dei Vettii. All’incontro erano presenti il Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei, Prof. Massimo Osanna, che ha introdotto l’evento, il Direttore del Dipartimento Di Agraria, Prof. Matteo Lorito, nonché il Prof. Luigi Frusciante, Docente di Genetica Agraria e Gaetano Di Pasquale, ricercatore di Botanica Applicata all’archeologia, entrambi autori della ricerca. La presentazione dello studio giunge fra l’altro quasi in concomitanza con la pubblicazione, sulla rivista scientifica Nature Genetics, della mappa più completa mai realizzata del Dna della rosa, ottenuta per la prima volta in alta definizione, e in grado di mostrare i geni che regolano fioritura, colori e profumi.
Il progetto è stato promosso e finanziato dall’associazione “La Rosa Antica di Pompei”, che ha reso disponibile gli spazi del roseto di Villa Silvana per la coltura delle piantine di rose. La scelta è caduta su l giardino di questa residenza seicentesca di Boscoreale perché qui già si coltiva una grande quantità di rose, circa 800 piante, con oltre 100 varietà tra quelle a rosa singola, a cespuglio, a mazzetto e rampicanti coltivate e curate proprio dall’Associazione, che tra l’altro, su autorizzazione del Parco Archeologico di Pompei, si occupa della piantumazione di rose antiche in alcuni giardini di domus pompeiane, come la Casa del Fauno, la Casa di Loreio Tiburtino e la Casa del Profumiere.
Questa ricerca, di cui non resta che attendere i risultati finali, è stata preceduta nel 2016 dalla pubblicazione dell’interessante volume“La Rosa Antica di Pompei”, scritto da Ernesto De Carolis, Adele Lagi, Gaetano Di Pasquale, Alessia D’Auria e Carlo Avvisati ed edito da L’Erma di Bretschneider. Un lavoro che parte da un excursus sulla storia della rosa, sulle sue origini e sulla Campania quale principale centro produttivo del Mediterraneo, per poi passare alla coltivazione e alle specie diffuse in tutto il Mediterraneo, ai suoi vari usi, che andavano da quello ornamentale, agli usi sacri, alla cucina raffinata, alla profumeria, alla cosmesi, alla medicina, nonché al suo status di astratto soggetto d’arte per poeti e pittori; quindi si sofferma sulle raffigurazioni nella pittura pompeiana, sui suoi aspetti mitici e simbolici, per poi formulare ipotesi sull’identità della rosa Pompeiana, chiedendosi in particolare se questo fiore, a lungo considerato imparentato con la Rosa gallica, non sia in realtà derivante da qualche varietà orientale; quindi conclude con le tradizioni, i versi e le canzoni dedicate al fiore per eccellenza.
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