“La piccola città di Cinque Frondi, chiamata così per le cinque torri che si elevavano al di fuori delle sue mura, fu completamente distrutta: chiese, case, piazze, strade, uomini, animali… tutto perso, tutto scomparso, immediatamente sommerso sotto molti piedi di terra (…)”.
Alexandre Dumas padre, Impressioni di viaggio, 1835
di Redazione FdS
Avvertito in oltre 350 siti, con un primo epicentro fra Polistena e Oppido Mamertina (Reggio Calabria), devastò la piana di Gioia Tauro ed i Piani d’Aspromonte. Nell’arco di tre giorni nuove potenti scosse, con epicentri fra la provincia di Reggio e quella di Messina moltiplicarono gli effetti. Fu avvertito dalla Costiera Amalfitana al Salento ed in tutta la Sicilia. Incendi, morte e distruzione colpirono Reggio e Messina, praticamente rase al suolo. Nello Stretto seguì uno tsunami (v. immagine seguente), con l’acqua che invase i viali delle due città ed effetti anche più a nord (fino a Joppolo) e nello Jonio (Roccella). Parliamo del terribile terremoto del 5 febbraio 1783 che cambiò il volto di gran parte della Calabria e della città di Messina, causando fra le 30 mila e le 50 mila vittime e attestandosi come la più grande catastrofe che colpì l’Italia meridionale nel XVIII secolo.
L’evento destò scalpore in tutta Europa, come ad es. in Germania, dove si verificò il misterioso episodio della “premonizione” di J.W. von Goethe il quale, riferisce il suo segretario Johann-Peter Eckermann, nella notte tra il 5 ed il 6 febbraio del 1783 era inquieto e guardava il cielo, quando ad un tratto disse “E’ un momento molto importante perché sta avvenendo un terremoto in qualche luogo”. L’episodio, raccontato alla corte di Weimar, dove il grande poeta e scrittore viveva, fu messo in ridicolo, fino a quando giunse la notizia del grave sisma avvenuto in Calabria e Sicilia la stessa notte in cui il poeta lo aveva avvertito. Tre anni dopo, a 37 anni, Goethe sarebbe partito per il suo primo viaggio in Italia, testimoniato nel suo celeberrimo Italienische Reise, nel quale avrebbe raccontato, fra le altre cose, anche lo stato dei luoghi colpiti dal terremoto. Interessanti per la ricostruzione degli effetti di questo sisma anche le testimonianze raccolte diversi anni dopo dal celebre scrittore francese Alexandre Dumas padre che in alcuni saggi e resoconti di viaggio al Sud cita episodi ai limiti dell’incredibile, come quello dei due confinanti in lite giudiziaria perchè non riuscivano più a definire il perimetro dei propri terreni stravolti dal sisma.
Inquietante la rievocazione dello storico locale Nicola Leoni: “udissi improvvisamente nelle più profonde viscere della terra un orrendo fragore; un momento dopo la terra stessa orribilmente si scosse e tremò…”.
La prima scossa ebbe la durata interminabile di 2 minuti e visti gli effetti prodotti, gli studiosi tendono ad attribuirle un’intensità pari all’undicesimo grado della scala Mercalli (8.1 Richter). Alla scossa calabrese del 5 febbraio ne seguì un’altra il 6, questa volta con epicentro a nord di Messina. Ma entro il 7 febbraio un vero sciame sismico continuò a martoriare tutta l’area con ben 949 scosse culminate alle ore 20.00 del 7 febbraio con una nuova scossa (con epicentro nell’attuale comune di Soriano Calabro) di una intensità paragonabile alla prima, e seguita 2 ore dopo da una nuova forte scossa con epicentro questa volta a sud di Messina. Le popolazioni rimasero in tensione per mesi sotto l’azione del sisma, sebbene le scosse cominciassero a decrescere di frequenza e di intensità. Ma colpi di coda si ebbero il 1 marzo 1783, con epicentro nel territorio di Polia e il 28 marzo, con epicentro fra i comuni di Borgia e Girifalco.
I danni furono incalcolabili in una vasta area comprendente tutta la Calabria centro-meridionale dall’istmo di Catanzaro allo Stretto, e, in Sicilia, Messina e il suo circondario: agli effetti distruttivi sugli edifici si accompagnarono estesi sconvolgimenti dei suoli e del sistema idrogeologico. Oltre 180 centri abitati risultarono totalmente o quasi totalmente distrutti. Gravi danni interessarono anche centri urbani importanti per la vita politico-economica e militare del Regno di Napoli e di Sicilia, quali Messina, Reggio, Monteleone e Catanzaro. Secondo le stime ufficiali, solo nella Calabria meridionale le vittime furono più di 30.000 su una popolazione di quasi 440.000 abitanti (pari al 6,8%).
La successione delle scosse più violente mostra un dislocarsi degli epicentri lungo la catena dell’Appennino Calabro dalla regione dell’Aspromonte all’istmo di Catanzaro con ampie aree di sovrapposizione degli effetti distruttivi, tanto più gravi se si tiene conto dell’alta vulnerabilità di un patrimonio edilizio spesso di scarsa qualità costruttiva, oltre che fortemente indebolito dalle numerosissime e ravvicinate scosse. Infatti gli edifici che rimanevano in piedi ad una prima scossa, spesso crollavano con le successive. Questo ha fatto sì che gran parte del patrimonio architettonico della regione sia andato distrutto con quel terremoto che può essere considerato un netto spartiacque tra ciò che c’era prima e ciò che è venuto dopo. Infatti questo terremoto ebbe effetti duraturi sia a livello politico (l’istituzione della Cassa Sacra a seguito dell’esproprio di beni ecclesiastici voluto dal governo borbonico e il primo regolamento antisismico d’Europa, con l’istituzione di un sistema costruttivo di notevole efficacia, tanto che nel 2013 il CNR di San Michele all’Adige e l’ Università della Calabria hanno effettuato una ricerca per riproporlo per gli edifici moderni), sia a livello economico e sociale.
Le immani conseguenze di questo terremoto si posso percepire citando i dati di alcune località emblematiche: fra i centri più colpiti vi fu la città di Palmi, completamente rasa al suolo e ricostruita secondo un nuovo assetto urbanistico (v. immagine seguente – click to enlarge).
In alcuni paesi del litorale come Scilla, complice anche l’effetto dello tsunami, il tasso di mortalità raggiunse il 70%, incidenza che si registrò anche a Terranova (oggi Terranova Sappo Minulio), centro pre-aspromontano che si affaccia sulla piana di Gioia Tauro. A Polistena, altro paese pre-aspromontano della piana, su una popolazione di circa 4.600 abitanti, ne morirono ben 2.261.
Ma se la Calabria meridionale fu in generale colpita dal terremoto, la fascia tirrenica da Reggio a Maida fu profondamente devastata, subendo stravolgimenti anche dal punto di vista geomorfologico. Alcuni esempi: la sella di Marcellinara si abbassò e alcune montagne si spaccarono, come ad esempio la montagna su cui sorgeva il vecchio abitato di Oppido Mamertina, successivamente abbandonato. La compressione delle acque sotterranee provocò il mutare del corso di fiumi e torrenti; vi fu ad esempio un abbassamento della valle del Mesima, mentre tutta la pianura circostante produsse conche circolari, larghe approssimativamente un paio di metri e piene di sabbia o acqua per 5–6 m, caratteristiche tipiche dei fenomeni di liquefazione delle sabbie indotti dalle scosse di terremoto (v. immagini 1 e 2 seguenti, riferite a crateri comparsi nella piana di Rosarno e a centinaia di “vulcanelli” formatisi sulle rive del fiume Mesima – click to enlarge). Le scosse provocarono enormi frane che, ostruendo il corso dei torrenti, diedero origine a numerose paludi (solo tra Sinopoli e Seminara se ne formarono 52, mentre tra il 1783 ed il 1787 si formarono 215 laghi in tutto il territorio interessato dal sisma). In alcuni posti irruppero dal suolo abbondanti corsi d’acqua melmosa o anche enormi zampilli di 12–20 m. Molte zone tra cui Bagnara e Scilla furono oggetto di fenomeni bradisismici. Insomma l’intero aspetto del territorio fu sconvolto nei tracciati ed i sistemi di viabilità, nella topografia dei siti, nelle strutture orografiche e nella sua struttura idraulica tanto che in molte località si inaridirono antiche fonti, ne sorsero di nuove, alcuni fiumi abbandonarono l’antico letto. Il disordine idraulico causato dagli sconvolgimenti geologici e le già non idonee condizioni igieniche, favorirono una persistente epidemia di malaria che contribui ad aumentare in maniera considerevole il numero delle vittime.
In Sicilia l’unica zona maggiormente colpita dal terremoto del 1783 fu Messina (v. immagine di apertura, in alto), il cui terribile dramma viene così ricordato in una relazione del tempo: “Molti furono i feriti, molti tratti dalle rovine, ma nella confusione e disordine niente può dirsi di più sicuro se non se essere stato un vero prodigio per coloro che scamparono la morte”. Dopodichè l’autore passa a descrivere “l’infausta tragedia accaduta in Messina, la destruzione delli cui Edificii supera il valore di cinque milioni, e la devastazione, e perdita de’Mobili, Mercanzie, Ori, Argenti e Danari fu un grave Oggetto di spavento, e di considerazione”.
Nel periodo successivo al terremoto, il governo borbonico si attivò per correre ai ripari nominando il 15 febbraio Vicario generale delle Calabrie, con 100.000 ducati per le necessità immediate e “con autorità e facoltà ut alter ego sopra tutti li présidi, tribunali, baroni, corti regie e baronali e qualsísiano altri uffiziali politici di qualunque ramo qualità e carattere, come altresí sopra tutta la truppa tanto regolare quanto di milizie”, il conte Francesco Pignatelli che stabilì il proprio quartier generale a Monteleone risiedendo nella regione colpita fino al 10 settembre 1787.
Di fronte a tanto disastro si sprecarono i paragoni con le devastazioni avvenute a Pompei ed Ercolano un millennio e mezzo prima, ed improvvisamente la Calabria soprattutto, sempre descritta nelle cronache romanzate del tempo come una regione oscura, culla di memorie storiche ma anche piena di pericoli, un luogo da non visitare se non dopo aver fatto accuratamente testamento, apparve in tutta la sua dolente umanità, catapultata su tutti i gazzettini del continente a raccontare la sua immane tragedia.