Miti, leggende, racconti antichi tra reale e meraviglioso, mi hanno sempre affascinato. Ogni volta che li riascolto o li rileggo, inevitabilmente mi sento proiettata in epoche lontanissime, immersa in quell’alone di mistero e di sacralità di cui queste remote storie sono circondate. Perciò ho deciso di portarvi in un luogo che emana ancora oggi un senso profondamente arcano, proprio come quel penetrante odore di fiori di campo che scoperte archeologiche passate e recenti sembrano restituirci nella sua interezza. Proprio qui Strabone ambienta il rapimento di Kore da parte di Ade: era infatti tradizione popolare che le donne hipponiati si cingessero i capelli con corone fatte di questi fiori multicolori che al loro sbocciare annunciavano la primavera e il ritorno di Persefone dagli Inferi. Secoli fa, quando la città calabrese di Vibo Valentia era chiamata Hipponion, sorgeva in località Cófino, un grande tempio. Questo luogo dal sapore arcaico si trova nella parte più alta dell’antica polis greca; per la sua posizione amena e al tempo stesso strategica, era stato prescelto per la costruzione di un santuario protetto naturalmente da una profonda vallata e nascosto da un fitto bosco sacro. Si diceva che questo enorme edificio fungesse da faro per la terra come il vulcano Stromboli per il mare, e ciò perché ubicato in un posto veramente speciale, oserei dire magico. La sua posizione è infatti aperta su un panorama immenso che comprende propaggini della Calabria e della Sicilia: dall’isola di Dino alla Sila, dalla vetta del Dolcedorme alla valle del Mesima, dalle Serre all’Aspromonte, dalle pendici dell’Etna ai monti Nebrodi, alle isole Eolie.
“Ma già vedesi sin da ora quale doveva essere l’eleganza e la vaghezza di questo tempietto, che colla sua vivida decorazione si estolleva sulla collina di Cófino, in mezzo al verde di un sacro boschetto, e volgendo la fiancata alla montagna appenninica segnalava da lunge alle tribù indigene la greca Hipponium, allo stesso modo che il tempio al Telegrafo segnalava ai naviganti del Tirreno, e più da lungi ancora, la presenza della città greca, figlia di Locri, e come questa, giova rilevarlo, tutta pervasa di ionismo”. Così scriveva il grande archeologo roveretano Paolo Orsi in una sua relazione degli anni ’20 del Novecento. Nel 2015 grazie ad un progetto elaborato dal Comune di Vibo Valentia e dalla Soprintendenza Archeologia della Calabria, sono stati reperiti fondi per un totale di tre milioni di euro dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, volti alla realizzazione del tanto atteso “Parco Archeologico urbano di Hipponion-Vibo Valentia”. I primi interventi previsti hanno avuto inizio a Settembre e sono tutt’ora in corso presso l’area sacra del Cófino, lungo via Croce di Nivera.
Sembra dunque prossimo a compiersi un percorso iniziato nell’estate del 1921, quando – come afferma Paolo Orsi – “sulla vetta dell’altura del Cófino dopo oltre due settimane di lavoro di trincee (…)”, venne alla luce un tempio ionico: “il tempio era un periptero di m. 27,50 x 18,10”, scrive l’illustre archeologo, e per quanto riguarda i resti dell’alzato del tempio riporta che “della colonna si ebbero due monchi rulli, ed una quantità di scheggioni; essa era a 24 scannellature, ma colla spina acuta; nulla del capitello, o per essere esatti un frammento molto dubbio. Delle basi della colonna una serie di scheggioni disparati pare consenta la ricostruzione (…)”.
Oltre al tempio Orsi effettuò altri rinvenimenti: “da vari anni – racconta ancora – ero ossessionato dal desiderio di trovare un santuario sull’altura di Cófino, dove tutto sembrava indicarlo; anche l’ispettore marchese Gagliardi mi aveva fornito un ulteriore indizio di esso con gli avanzi di una piccola favissa di terrecotte sacre, rinvenute in un taglio stradale in tutta prossimità del sito, dove poscia il tempio venne in luce. Ed alla ricerca delle sue favisse dedicai io pure alquanto tempo e denaro. Solcai in molti sensi con trincee la vetta del colle di Cófino, e pervenni anche a metter le mani sopra una di tali favisse, della quale non saprei dire, se fosse molto povera, o manomessa in antico.” Le ricerche sull’altura del Cófino proseguirono successivamente negli anni ’70 del secolo scorso con gli ispettori di Soprintendenza Ermanno Antonio Arslan e Claudio Sabbione, che ebbero più fortuna nell’individuazione di favisse, questa volta molte ricche di oggetti votivi. Sempre in questo periodo vennero alla luce diverse strutture, una di esse risaliva al VI secolo a.C, e sembrava riferibile ad un più antico edificio di culto, nei pressi vi era anche un muro in blocchi di calcare.
In altri punti del santuario si effettuarono scoperte significative: una struttura di età ellenistica posta sopra un deposito votivo di età anteriore e poco distante la statua marmorea femminile acefala oggi esposta al Museo Archeologico “Vito Capialbi” di Vibo Valentia. Una serie di altri rinvenimenti si ebbe durante la realizzazione del complesso abitativo popolare attualmente limitrofo all’area oggi interessata agli scavi, con strutture realizzate alla fine del V secolo a. C., fra i quali spicca un possente muro in blocchi di arenaria. In un’area quasi attigua si rinvennero fosse allungate ricolme di materiale votivo.
Complessivamente i reperti recuperati nei depositi sacri sono statuette, protomi femminili, pínakes (tavolette decorate a rilievo), gioielli, oggetti per la cosmesi, modellini fittili di tempio e vasi.
Sulla base di quanto è stato rinvenuto, si è accertato che dal VI sec. a.C fino all’inizio del IV, il culto praticato all’interno del santuario è quello di Kore Persephone, cui dall’età successiva si affianca quello della madre Demetra, attestato dalle numerose statuette fittili della dea con fiaccole e porcellino.
Dopo quasi un secolo dalla scoperta di Orsi e a decenni da quelle successive, finalmente la via verso la valorizzazione di questo fondamentale sito archeologico della città sembra ormai tracciata. Attualmente la direzione scientifica degli scavi è affidata al dott. Fabrizio Sudano, funzionario archeologo della Soprintendenza e responsabile del territorio vibonese. I responsabili dei lavori sul campo sono l’archeologa Anna Maria Rotella per il tempio e l’archeologa Eleonora Grillo per un’altra area del santuario.
Il tempio è in corso di scavo ormai da diverse settimane, e già si può ammirare la monumentalità delle sue rovine. Le mani d’acciaio delle ruspe hanno pazientemente e attentamente rimosso lo strato superficiale di terra che per anni ha protetto in modo naturale i preziosi resti, intervento al quale è seguito il lavoro di piccone e cazzuola degli operai della ditta LAND s.p.a. di Napoli. Quello che emerge sono le fondamenta dell’edificio e parte dell’elevato della cella, mentre ancora nello stesso posto sembrano essere i due possenti rocchi di colonna rinvenuti da Orsi, anche se leggermente danneggiati dalle arature del terreno successive alla scoperta. Nonostante si tratti solo del basamento dell’edificio, si percepisce subito la grandiosità del tempio greco. Rispetto alle considerazioni fatte da Orsi, negli ultimi anni l’archeologo tedesco Dieter Mertens ha proposto, in via del tutto ipotetica, che il tempio fosse configurato come una sorta di pseudodiptero, con una peristasi di 8 colonne sul lato corto e 12 sul lato lungo e una cella con due colonne in antis all’accesso.
Il tempio subì un restauro all’inizio del III secolo a.C, connesso dai più al periodo agatocleo; questo sembra essere attestato dagli elementi architettonici in calcare rinvenuti da Orsi databili alla stessa epoca. I frammenti rinvenuti sono relativi alla parte più alta del tempio, la sima: una lastra decorata in alto con ovuli, palmette e fiori di loto, nella quale si inserivano le gronde a testa leonina per far defluire l’acqua piovana. Dinnanzi alla fronte occidentale del tempio è riemersa una struttura in blocchi simili a quelli dell’edificio sacro, di incerta funzione e datazione.
Fra gli edifici prima menzionati, scavati nei decenni passati, è riaffiorato quello lungo la strada asfaltata. Un ulteriore scavo, iniziato da pochi giorni dall’archeologa Eleonora Grillo, in direzione del cimitero, ha fatto emergere delle strutture ancora non definibili nella loro funzione.
Il progetto di conservazione, recupero, salvaguardia e valorizzazione, prevede il restauro delle strutture rinvenute sul Cófino e la loro copertura protettiva; è prevista inoltre la realizzazione di un percorso, che unifica fra di essi i vari rinvenimenti e li ricongiunge con il tracciato stradale. Lo stesso progetto interessa anche altre aree archeologiche del comune di Vibo Valentia come il Castello di Bivona.*
* Ringrazio il mio carissimo amico Manuel Zinnà, esperto archeologo e preziosa guida durante la stesura di questo articolo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
GIARDINI SEGRETI DI MAGNA GRECIA Blog