Abbazia della Sambucina: in Calabria una preziosa eredità cistercense da difendere

Scorcio dell'Abbazia della Sambucina e del suo antico portale - Image source

Scorcio dell’Abbazia della Sambucina e del suo antico portale, XII-XVII sec. – Image source

E’ stata una delle più importanti abbazie d’Europa. Il suggestivo contesto in cui è ubicata risulta purtroppo alterato da un recente intervento. Lo stato dei luoghi, tra omissioni e ritardi, attende di essere ripristinato. Forse la svolta da Mibact e Soprintendente

di Redazione FdS 

“O agresti solitudini, o pinete, O monti della Sila cosentina, Che l’estrema reliquia possedete Del Monastero della Sambucina (…) Giovine io sono di piú mite ingegno, Amo le Muse, e a meditar quì vegno.”
Vincenzo Padula

UNA STORIA DI SPLENDORE E DI TRAVAGLI

In Calabria, su un pianoro montano che guarda la Media Valle del Crati, a 750 metri di altitudine e a pochi chilometri dal centro dell’antichissima cittadina di Luzzi (Cosenza), sorge un monastero che lega questo angolo remoto di Sud Italia alla grande storia del monachesimo europeo. E’ l’Abbazia di Santa Maria della Sambucina, il cui nucleo originario, noto come Santa Maria Requisita Nucis, fu fondato nel 1087 da un gruppo di Benedettini capeggiati dal frate Sigismondo. Secondo accreditate fonti storiche, nel 1141, grazie ai rapporti intercorsi tra san Bernardo di Chiaravalle e il normanno Ruggero II di Sicilia, quel cenobio – posto nei pressi di un rigoglioso boschetto di arbusti di sambuco tuttora esistente – fu ricostruito dai monaci Cistercensi attestandosi quale primo nucleo dell’ordine all’interno del regno Normanno per filiazione diretta dall’abbazia di Clairvaux. La tradizione vuole che i Cistercensi ne mutarono l’intitolazione ispirandosi a un’apparizione della Vergine ai frati (o a un pastorello secondo altre fonti) fra le verdi fronde di un sambuco, il cui bianco e profumato fiore è molto usato nella fitoterapia e nella cucina locali con il nome di majiu. A questa tradizione si ricollega il plurisecolare rito agostano in onore della Vergine Assunta in Cielo.
 

Veduta aerea del complesso della Sambucina

Veduta aerea del complesso della Sambucina | FAI (Fondo Ambiente Italiano)

Un’altra controversa tradizione vorrebbe invece la Sambucina fondata nel 1160 dai monaci della celebre abbazia di Casamari, nel Lazio, a sua volta affiliazione di Clairvaux, ma i detrattori di questa tesi, pur riconoscendo un ruolo di Casamari nelle vicende della Sambucina, lo collocano più tardi e cioè quando, a seguito di un terremoto del 1184, fu necessario riedificare il complesso, operazione alla quale i monaci casamaresi avrebbero appunto contribuito; un intervento che potrebbe essere all’origine del privilegio con cui papa Celestino III nel 1192 riconobbe a Casamari la supremazia sull’Abbazia della Sambucina. Al di là delle leggende e delle divergenze tra studiosi, quel che è certo è che la Sambucina costituì – in un contesto calabrese dominato dai monaci basiliani di rito greco – un fulcro da cui il monachesimo latino, partendo dalla Valle del Crati, si diffuse in Sicilia, Basilicata e Puglia. Grazie a un’autorizzazione papale infatti la Sambucina divenne casa madre di numerose altre abbazie sparse per il Sud Italia.
 

Scorcio del complesso conventuale della Sambucina. A destra ciò che resta della chiesa

Scorcio del complesso conventuale della Sambucina. A destra ciò che resta della chiesa

Tenuta in grande considerazione da papi, re e imperatori, l’Abbazia arrivò ad ospitare figure di primo piano tra cui Gioacchino da Fiore, fondatore dell’Ordine florense, “il calavrese abate Giovacchino, di spirito profetico dotato” menzionato da Dante nel XII Canto del Paradiso, qui di passaggio nella seconda metà del XII secolo prima di assumere l’abito monastico presso l’abbazia di Santa Maria di Corazzo di cui pochi anni dopo sarebbe diventato abate; di lui, stando alla testimonianza del vescovo di Venosa, in visita alla Sambucina nel 1630, si custodiva come reliquia una costola posta in un’arca sotto l’altare della chiesa.
 

Gioacchino da Fiore, Pietro Lombardo, Francesco Accursio e Carlo V in quattro raffigurazioni d'epoca

Gioacchino da Fiore, Pietro Lombardo, Francesco Accursio e Carlo V in raffigurazioni d’epoca

Qui soggiornò, e se ne conservarono a lungo alcuni scritti, anche il celebre teologo piemontese Pietro Lombardo, coevo di Gioacchino e noto per il Liber Sententiarum in cui raccolse le sentenze dei Padri della Chiesa e i relativi riferimenti biblici. Così come qui venne a trovar quiete, nel XIII secolo, il celebre giureconsulto e glossatore della scuola bolognese Francesco Accursio. E quanto la fama di questo luogo perdurasse nei secoli lo dimostra anche la visita dell’imperatore Carlo V negli anni ’30 del XVI secolo, secondo quanto risulta dagli archivi della nobile e celebre famiglia Sanseverino feudataria a Luzzi oltre che nella non lontana Bisignano.
 

Finestra "guelfa" sul portale della Sambucina e iscrizione seicentesca

Finestra guelfa (fenêtre à croisée) sul portale della Sambucina e iscrizione seicentesca | Image source

Oltre che come meta di illustri ospiti, la Sambucina si affermò anche come importante luogo di produzione artistica e culturale. Molteplici e fervide furono infatti le attività che vi si svolgevano: dalla lavorazione della terracotta, a quelle del vetro, dell’oro, della seta, della lana e della canapa, ma ancor più importante fu la tenuta di uno scriptorium con annessa scuola calligrafica per l’attività di copiatura e miniatura degli antichi codici, lavoro minuzioso che contribuì alla conservazione delle fonti letterarie classiche. Secondo quanto riportato dal seicentesco economista cosentino Antonio Serra, il monastero sarebbe stato dotato anche di una flotta di piccolo cabotaggio presso una stazione fluviale sul Crati, fiume attraverso il quale era in grado di raggiungere il mar Jonio per dirigersi a nord verso Taranto o a sud verso la Sicilia. Le sue ricche attività si protrassero a lungo, ma rimasero soggette alle altalenanti sorti del complesso monastico dettate da terremoti e frane.
 

Scena di scriptorium tratta da un codice miniato medievale

Scena di scriptorium tratta da un codice miniato medievale

Nel 1220 un altro terremoto colpì infatti l’abbazia costringendo i monaci a trasferirsi a lungo nel territorio della normanna S. Marco Argentano, presso l’Abbazia di S. Maria della Matina, una delle numerose abbazie nate per gemmazione dalla Sambucina. Al 1569 risale invece una frana di origine sismica che danneggiò parte del monastero e della chiesa, provocandone la chiusura sino al 1625, anno in cui furono completati i lavori di ristrutturazione come ricorda un’epigrafe posta sopra la finestra guelfa che sormonta il superbo portale della chiesa. Quella frana alterò profondamente la struttura della chiesa, provocando il crollo delle navate e del transetto, riducendo l’edificio pressoché alla sola parte absidale, alla porzione di transetto rimasta e alla prima campata del corpo centrale, provocando quindi un arretramento del portale. Un nuovo terremoto colpì la Sambucina nel 1731, riportando danni in parte rimossi entro il 1733.
 

Interno della chiesa con altare oggi a ridosso della zona absidale | Image source

Interno della chiesa con altare oggi a ridosso della zona absidale | Image source

La chiesa originaria era dotata – come emerso da scavi compiuti nell’area dell’edificio – di pianta a croce latina, con abside rettangolare, tre navate e cinque campate e doveva riprendere lo stile dell’Abbazia di Fontenay in Borgogna, considerata l’archetipo dell’architettura cistercense. Di essa oggi resta il presbiterio rettangolare con copertura a vele ogivali e la crociera con arco a sesto acuto di epoca tardo- romanica, e poi i grandi archi del transetto, i pilastri di una campata della navata centrale, un arco della piccola navata di sinistra e uno di quella di destra, e la piccola abside rettangolare. Nella parte conventuale del complesso, oggi di proprietà privata, sopravvive integro, anche se rimaneggiato nei secoli, il chiostro di forma quadrata con tre ambulacri fiancheggiati da pilastri e arcatelle ogivali e la presenza di una meridiana del 1753. Dell’antica decorazione della chiesa sopravvive un affresco cinquecentesco raffigurante la Madonna col Bambino oltre a una tela con l’Annunciazione della Vergine, angeli e i dodici Apostoli di fine ‘500 – inizi ‘600. In sagrestia si custodisce un capitello duecentesco in tufo ed un mobiletto in legno decorato ad intarsi, opera settecentesca dei rinomati ebanisti di Serra San Bruno.
 

Madonna con Bambino, affresco, XVI sec., Abbazia della Sambucina, Luzzi (Cs)

Madonna con Bambino, affresco, XVI sec., Abbazia della Sambucina, Luzzi (Cs)

Il 18 febbraio del 1780 per ordine di re Ferdinando IV, l’Abbazia venne soppressa ed i beni incamerati dal Demanio. Gli arredi sacri, i dipinti, le statue, i libri e altro, furono divisi tra le chiese di Luzzi, il convento dei Cappuccini e la Curia Vescovile di Bisignano, ma si ritiene che molto materiale sia stato trafugato. Alla soppressione dell’Abbazia seguì la vendita a privati della parte conventuale, mentre la chiesa divenne sede parrocchiale e oggi è visitabile solo nei giorni festivi e durante le funzioni religiose.
 

Scorcio del centro storico di Luzzi (Cosenza) - Ph. Alfredo D'Ambrosio

Scorcio del centro storico di Luzzi (Cosenza) – Ph. Alfredo D’Ambrosio

CRONACA DI UNO SCEMPIO

Come dunque la Storia ci racconta in tutta evidenza, l’Abbazia della Sambucina sorge in un’area, la Valle del Crati, a fortissimo rischio sismico; lo stesso terreno su cui poggiano le sue fondamenta presenta problematiche idrogeologiche tali da richiedere un adeguato monitoraggio e interventi di messa in sicurezza. Ed è muovendo da quest’ultima esigenza che nel 2015 il Comune di Luzzi ha avviato dei lavori risultati però compiuti in violazione delle regole sancite dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. lgs. 42/2004) e da un Decreto Ministeriale del 19 maggio 1988, norme ai sensi delle quali l’area abbaziale risulta sottoposta a vincolo architettonico indiretto (ossia a quella serie di prescrizioni limitative imposte su ciò che si trova in relazione spaziale col bene culturale oggetto di tutela, quindi l’intera area di rispetto), andando ad alterare in modo impattante il contesto in cui sorge lo storico edificio. Violando integralmente quel vincolo, in prima battuta inspiegabilmente sfuggito alla stessa Soprintendenza, si è infatti proceduto alla costruzione di un muro (40 metri x 5) che, non limitandosi a svolgere la sua funzione di contenimento di un poggio a rischio frana, si sviluppa inutilmente in altezza creando un orribile effetto-barriera, e si è inoltre posizionato un osceno percorso a vista di canalette in lamiera ondulata di acciaio per il convogliamento delle acque meteoriche, del tutto inappropriato in un’area di riconosciuta importanza storica e culturale.
 

Muro di contenimento che ha praticamente coperto la chiesa

Muro di contenimento che ha praticamente coperto la chiesa

La reazione di privati cittadini e associazioni non si è fatta attendere, così come quella dell’allora Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, che preso atto (sia pure tardivamente) dell’abuso, ha reiteratamente intimato al Comune il ripristino dello stato dei luoghi. Il richiamo della Soprintendenza non solo è risultato vano, ma ad un certo punto è stato improvvisamente azzerato da un provvedimento di segno paradossalmente opposto, come riportato dall’architetto luzzese Filippo Giorno in una nota stampa: “Nel mese di Luglio 2019 l’allora Soprintendente Mario Pagano ha inaspettatamente firmato una nota con la quale ha autorizzato il Comune di Luzzi a realizzare presso l’Abbazia della Sambucina una variante di fine lavori per quegli interventi che tutti i tecnici della Soprintendenza avevano sempre respinto in quanto non avevano avuto le necessarie autorizzazioni e quindi contrastavano con il D. lgs. 42/2004. Inutile dire che l’Amministrazione Comunale di Luzzi ha subito provveduto ad eseguire nella sua interezza la Delibera del 27 luglio 2019 intitolata “Variante migliorativa”, senza spiegare come fosse mai possibile rendere “migliore” un abuso su un territorio vincolato!”. Insomma una vicenda su cui dura è stata anche la presa di posizione da parte della senatrice calabrese Margherita Corrado (archeologa) così come della Pro Loco ‘La Terra dei Lucij’ e dell’attivista Giuseppe Giorno, tra i primi a sollevare con forza la questione del vincolo esistente e delle regole violate, così come della necessità di rimuovere le alterazioni.
 

Part. dell'orrendo sistema di canalizzazione a vista delle acque meteoriche tramite lamiera d'acciaio ondulata

Part. dell’orrendo sistema di canalizzazione a vista delle acque meteoriche tramite lamiera d’acciaio ondulata

L’INTERVENTO (FORSE) DECISIVO DEL MINISTERO

Di fronte alla perdurante omissione di ripristino dei luoghi, pochi giorni fa è intervenuto il Sottosegretario ai Beni e alle attività culturali Anna Laura Orrico, la quale ha chiesto al Soprintendente ad interim di recente nomina, l’architetto Francesca Casule, di effettuare un sopralluogo presso l’Abbazia della Sambucina, finalizzato a definire la spinosa vicenda una volta per tutte. La Soprintendente, come riferito in una nota stampa, ha constatato l’inadeguata mitigazione dei lavori precedentemente eseguiti senza preventiva autorizzazione della Soprintendenza in area sottoposta a vincolo, prescrivendo così al Comune di Luzzi la parziale rimessa in pristino dello stato dei luoghi e la realizzazione di ulteriori opere di mitigazione. Più nello specifico, la Soprintendente ha prescritto come correttivi la rimozione delle canalette in lamiera di acciaio ondulata ed in particolare la riproposizione degli antichi fossi in terra, in adeguata sezione, almeno per l’area soprastante la chiesa e lungo il bordo a monte della strada d’accesso; nonché, la demolizione della parte eccedente del muro di sostegno, che ne incrementa inutilmente l’impatto, non essendo necessario al contenimento del movimento franoso e la realizzazione di adeguate opere di mitigazione con vegetazione arbustiva e/o ricadente sulla facciata residuale del muro e sulle scarpate naturali poste alla base e sopra la futura testa del muro. Ora la palla torna al Comune che, si spera, avrà la correttezza di adempiere con solerzia a tali prescrizioni.

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