Penetrando nelle viscere della terra per 687 metri, è la grotta più profonda d’Europa e una delle più profonde al mondo. Alla 78a Mostra del Cinema di Venezia l’Abisso del Bifurto è protagonista de ‘Il buco’, il nuovo film di Michelangelo Frammartino al quale sono stati tributati 10 minuti di applausi
di Redazione FdS
«Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicinam» (Visita l’interno della terra, operando con rettitudine troverai la pietra nascosta, vera medicina) scrivevano nel ‘600 gli alchimisti che nell’immagine della grotta evocavano simbolicamente quell’intima discesa negli anfratti oscuri dell’anima che preludeva alla trasmutazione della materia in spirito e quindi al conseguimento dell’immortalità e della vera sapienza; un percorso dall’oscurità alla luce, dall’abbrutimento alla liberazione dell’anima dalle passioni che ne inibiscono l’evoluzione. Si tratta di suggestioni filosofiche a cui è difficile non pensare di fronte alla narrazione, intimistica e poetica, con cui il regista e architetto calabro-milanese Michelangelo Frammartino ha scelto di rappresentare, nel film ”Il buco”, in concorso alla 78a Mostra del Cinema di Venezia, uno dei luoghi più sorprendenti e meno conosciuti della Calabria, l’Abisso del Bifurto, la più profonda grotta carsica d’Europa e una delle più profonde del mondo.
Raccontarne l’esplorazione, storicamente ascrivibile ad alcuni giovani esploratori del Gruppo Speleologico Piemontese, giunti in Calabria nel 1961, sembra infatti costituire per il regista – oltre che la prosecuzione della sua indagine sul rapporto tra spazi naturali e presenza dell’uomo – anche l’occasione per un viaggio interiore alla ricerca delle proprie origini, di quella terra-madre che negli stessi anni suo padre lasciava per cercare fortuna al nord. In sei settimane di riprese, con turni quotidiani di parecchie ore, Frammartino e la sua troupe – di cui ha fatto parte anche Renato Berta, grande direttore della fotografia per maestri della cinematografia come Godard, Resnais, Rohmer, Rivette, Malle, Téchiné, Huillet-Straub, De Oliveira, Gitai – sono stati in grado di catturare con grande potenza visiva le immagini di uno degli ambienti naturali tra i più difficili ma, al tempo stesso, più magici del nostro Paese. “Per usare un termine cinematografico – ha dichiarato il regista -, potremmo dire che le grotte costituiscono un fuori campo assoluto, anche perché la notte eterna che regna al loro interno sembrerebbe quanto di più ostile alla macchina da presa. Eppure, chi ama il cinema sa bene che il fuori campo, l’invisibile, rappresentano la sua “sostanza” più profonda. Questo territorio ha un legame particolare con la natura in controtendenza con la cultura Occidentale. Qui, noi della troupe abbiamo scoperto che si può diventare tutt’uno con essa. Personaggi del film sono, dunque, la grotta e il movimento dei corpi che si immergono al suo interno“.
Coinvolgendo 12 speleologi selezionati in tutta Italia nel corso di un anno e mezzo di casting, questa produzione ha ripercorso il Bifurto fino a 400 metri di profondità grazie anche al supporto della Società Speleologica Italiana: “dal punto di vista speleologico – ha detto il presidente Vincenzo Martimucci – devo dare atto alla troupe di aver fatto tesoro dei nostri suggerimenti, soprattutto in merito alla tutela ambientale e al rispetto dei luoghi. Essendo stato con loro per una settimana mentre giravano ho potuto toccare con mano l’attenzione rivolta al territorio e verso quella sorta di entità ”esoterica” che è la grotta, luogo molto importante per noi speleologi italiani, considerati terzi al mondo in questo genere di attività. Pur conoscendo bene il Bifurto, questo film ha per noi il sapore di una ”prima volta” perché un lavoro di queste dimensioni, accuratezza e qualità credo non sia mai stato realizzato prima in questo luogo; un risultato che date le condizioni particolarissime in cui è stato raggiunto, difficilmente sarà replicabile. Si tenga infine conto che il Bifurto, nell’immaginario italiano ed europeo, rappresenta qualcosa di magico: nei decenni trascorsi dalla sua scoperta, la fama e il fascino di questo abisso così profondo sono infatti riusciti ad attrarre speleologi provenienti da ogni dove”.
“Si tratta – ha aggiunto il regista Frammartino – di un luogo affascinantissimo, capace di incarnare un’idea di frontiera, perché in un mondo in cui tutto è mappato e raggiungibile con Google questa grotta non lo è; infatti è stato molto difficile portarla sulla scena trattandosi di una cavità verticale nella quale siamo scesi in corda fino a -400 metri, sfidando il buio, l’isolamento e il vuoto, con pochi spazi in cui poter camminare. Muoversi al suo interno dà la sensazione del tempo che si ferma e dell’accesso a una dimensione “altra”.
Un “effetto di spaesamento”, questo evocato dal regista, che va a sommarsi a quello ottenuto a livello acustico attraverso l’utilizzo del sistema Dolby Atmos 5.1 con quasi 50 sorgenti sonore. Insomma un’esperienza immersiva ricca di emozioni, fulcro di un racconto carico di suggestioni e di spunti di riflessione, che a Venezia non ha mancato di sedurre pubblico e critica pronti a tributare al film, tra i cinque italiani in concorso, ben 10 minuti di applausi e grande commozione al termine della proiezione, lo scorso 4 settembre. Un’accoglienza in qualche modo già preconizzata dall’entusiastica dichiarazione di Alberto Barbera, direttore artistico del Festival di Venezia che, nel presentare il lungometraggio, lo ha definito “un film che ha la purezza e la bellezza assoluta di un diamante”.
A parte ogni sua altra suggestione, simbolica o intellettuale, il film – terzo lungometraggio di Frammartino dopo “Il Dono” (Locarno Film Festival) e “Le quattro volte” (premiato a Cannes) – racconta la storia di un gruppo di speleologi che, in pieno boom economico – incarnato dallo svettante grattacielo milanese della Pirelli -, decidono di scendere nel Sud e di immergersi nel buio del suo sottosuolo.
È l’agosto del 1961 e i giovani membri del Gruppo Speleologico Piemontese, esplorate tutte le cavità del Nord Italia, invertono la rotta e puntano a sud, desiderando esplorare grotte ancora sconosciute all’uomo. Così, in una sorta di percorso al contrario, si immergono nel mondo ipogeo di un Meridione problematico che in tanti, soprattutto i più giovani, stanno abbandonando. Lo fanno in Calabria, nell’area compresa tra gli antichi borghi di Cerchiara e San Lorenzo Bellizzi, che, insieme ad Alessandria Del Carretto, ai Piani del Pollino e alle fiumare di Civita e Cerchiara compongono l’incantato e reale scenario del film di Frammartino.
Qui quei pionieri si calano nell’Abisso del Bifurto, profondissimo inghiottitoio nel cuore del massiccio del Pollino, un sistema montuoso al confine tra Calabria e Basilicata con impervie cime di una bellezza incontaminata, oggi tutelato dal Parco naturale più grande d’Europa. Parliamo di luoghi straordinari dei quali il profondo legame con la Calabria di Frammartino e dell’aiuto regista Angelo Urbano, originario di Albidona, ha garantito una rappresentazione di particolare intensità e autenticità; qualità che traspaiono anche dallo sguardo vigile e fiero di un vecchio pastore, ”genius loci” di un territorio sconosciuto che comincia ad aprirsi al mondo esterno.
Non a caso per i giovani esploratori del Gruppo Speleologico Piemontese i pastori locali svolgono un ruolo chiave, consentendo loro di individuare gli accessi al mondo sotterraneo, non segnalati nelle mappe in loro possesso. Gli ambienti ipogei, da essi poi immortalati nei grafici di rilievo, erano, fino ad allora, ignoti anche allo stesso I.G.M. (Istituto Geografico Militare). Ambienti appartenenti alla geografia del reale ma capaci, allora come oggi, di toccare le corde più intime di chi decide di sfidarne le asperità attratto dal loro irresistibile fascino: “Per tante ragioni lì sotto – ha affermato Frammartino – hai a che fare con l’ombra della montagna, il suo buio, ma anche con il tuo; quando si va in grotta si fanno i conti con l’inconscio, con il paesaggio del pianeta ma anche con il proprio”.
IL LUOGO
L’Abisso del Bifurto, detto anche ”Fossa del lupo”, si trova all’interno del Parco Comunale archeologico-speleologico della Cessuta che ricade interamente sul versante orientale del monte Sellaro ed è a sua volta compreso nel Parco Nazionale del Pollino. Offre sentieri e itinerari di grande suggestione che si dipanano fino alla cima del monte Sellaro (1439 m.) e racchiude l’intero centro abitato di Cerchiara di Calabria estendendosi su circa 300 ettari di bosco in cui è possibile ammirare bellissimi esemplari di cerro (Quercus cerro), leccio (Quercus ilex), farnetto (Quercus frainetto), conifere e molte altre specie come la rara e superba Peonia maschio (Paeonia mascula ssp. Russoi).
L’area è ricca di grotte di origine carsica, alcune delle quali ospitarono i suoi primi abitatori e i monaci basiliani approdati in Calabria dall’oriente bizantino nel IX secolo, riutilizzate in epoche successive come nascondiglio e riparo per briganti e pastori. Alle grotte eremitiche del Monte Sellaro allude il nome della più importante testimonianza storica della zona, il Santuario di Santa Maria delle Armi (dal greco Των αρμων (Tōn armōn) ossia “delle grotte, degli anfratti”), uno splendido complesso monumentale di origine medievale – con vista mozzafiato sulla Piana di Sibari e sul golfo di Taranto – sorto nel X secolo alle pendici del monte Sellaro su un precedente sito monastico bizantino.
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Speleologi partecipanti al film: Leonardo Zaccaro, Jacopo Elia, Luca Vinai, Denise Trombin, Mila Costi, Claudia Candusso, Giovanbattista Sauro, Federico Gregoretti, Carlos Josè Crespo, Enrico Troisi, Angelo Spadaro, Paolo Cossi.
Testimoni d’eccezione presenti a Venezia: gli speleologi veterani Giuseppe De Matteis e Giulio Gècchele, che guidarono la prima spedizione nel 1961.
“Il buco”, sceneggiato da Giovanna Giuliani e diretto da Michelangelo Frammartino, è prodotto da Marco Serrecchia, Michelangelo Frammartino, Philippe Bober. Una produzione Doppio Nodo Double Bind con Rai Cinema, in coproduzione con Société Parisienne de Production (Francia), Essential Filmproduktion (Germania), con il sostegno della Calabria Film Commission, del Mibact, del CNC, Artè/ZDF, Eurimages e con la collaborazione e il Patrocinio del Parco Nazionale del Pollino. Il film sarà distribuito nel mondo da Coproduction Office e in Italia da Lucky Red.