Al Petruzzelli di Bari entusiasmano la poetica modernità di Gershwin e il virtuosismo improvvisativo di Fresu e Caine. Sottotono la direzione di Carlo Tenan

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Paolo Fresu in una sua performance a Umbria Jazz – Ph. © Ferruccio Cornicello – All rights reserved Feart ®

di Enzo Garofalo

Due star del jazz internazionale e un’orchestra sinfonica, quella del Teatro Petruzzelli di Bari, sia pure con le variazioni di compagine rese necessarie dal particolare programma della serata, sono stati i protagonisti del secondo appuntamento con il breve ciclo Downtown Stories inaugurato lo scorso 11 Giugno con il Beethoven di Emanuele Arciuli e alcune composizioni di Steve Reich. Un ciclo all’insegna della contaminazione fra classicità e modernità che in particolare nel caso del trombettista Paolo Fresu e del pianista e compositore Uri Caine – ospiti attesi ed acclamati del concerto dello scorso 11 luglio – è ormai diventato un vero “marchio di fabbrica”.  Reduci dalla performance con i Virtuosi Italiani, lo scorso maggio al Manzoni di Pistoia, Fresu e Caine sono stati anche a Bari al centro di un programma che ha miscelato brani del repertorio sinfonico, pezzi originali dei due artisti e loro rivisitazioni di celebri classici della musica ‘colta’. Del resto i Nostri hanno sufficiente gusto e raffinatezza per accostarsi a mostri sacri come Beethoven e Monteverdi penetrandone la musica con la consapevolezza che si tratta di materia incandescente da maneggiare con cura. Alla fine il risultato può in alcuni casi non entusiasmare, ma non è certo guidato da un puro gusto dissacratorio.  E a tal proposito non mi ha entusiasmato la rilettura per pianoforte e orchestra di Uri Cane delle Variazioni Diabelliil gruppo di 33 variazioni per pianoforte che  Beethoven compose intorno ad un valzer di Anton Diabelli ai primi dell’800. Considerata dal grande pianista Alfred Brendel “la più grande di tutte le opere per pianoforte”, è una pagina di musica il cui tema iniziale, sottoposto all’azione demiurgica del genio di Bonn, “non è ripetutamente confermato, ornato o glorificato, ma è migliorato, ridicolizzato, trasfigurato, abbattuto ed, infine, sollevato”.

Ascoltando la rivisitazione cainiana di questo capolavoro, si ha piuttosto la sensazione netta che si tratti di un’operazione volta a dar risalto soprattutto al grande virtuosismo improvvisativo del pianista statunitense, che peraltro in diversi passaggi produce l’effetto di un ipnotico ”chiacchiericcio” pianistico che se nulla toglie a Beethoven, nulla aggiunge, tranne dei metaforici “baffi alla Gioconda” di cui non si sentiva affatto il bisogno. Effetto, quest’ultimo, che Caine stesso, in una intervista, aveva dichiarato invece di voler evitare, ma a quanto pare senza grandi risultati. Comunque Beethoven non se ne avrà a male, anche perchè il suo lavoro sul valzer di Diabelli, all’epoca della sua prima esecuzione, risultò molto più innovativo di quanto non risulti oggi la rivisitazione di Caine delle sue Variazioni.

Decisamente emozionante per la sensibilità con cui entrambi ripercorrono le sfumature emozionali dell’originale, la versione di Caine/Fresu della struggente “Sì dolce è il tormento” di Claudio Monteverdi, una meravigliosa gemma tratta dal IV scherzo delle ariose vaghezze (1624), che nella sua versione antica contempla la presenza della voce e di un testo narrante il dramma di un amore non corrisposto. Monteverdi, dal canto suo, dà vita ad un connubio perfetto fra testo e musica, nel quale quest’ultima interpreta (cogliendolo in pieno) il significato più profondo delle parole, i loro accenti, il loro respiro. Accostandosi a questo capolavoro, Fresu e Caine si limitano a loro volta ad aggiungere quelle poche note sufficienti a rivestirlo di una moderna ed affascinante patina jazz: ne emerge la quintessenza immortale del brano e la mancanza delle parole diventa un fatto del tutto irrilevante. Questa versione del brano è anche un felice esempio di come lo strumentismo – a volte prevaricante nei jazzisti – possa essere posto pienamente al servizio della musica con mirabili risultati.

Spumeggiante ed evocativa l’atmosfera di An american in Paris di George Gershwin che fa rivivere la Parigi del primo ‘900 con la sua folla, i suoi caffè, le sue automobili, in uno dei grandi classici della musica americana del secolo scorso. Nella vitalità ritmica del brano – una vera festa del jazz, del blues e del charleston – prende corpo con accenti intimi e scanzonati il dinamismo dell’allora capitale europea dell’arte, della letteratura, della musica, dello spettacolo, resi effervescenti dall’esaltante vento della ”modernità”. Il genio di Gershwin trova in questo capolavoro un suo pieno equilibrio, proprio nel momento in cui il musicista di Brooklyn andava alla ricerca di una sua dimensione autoriale confrontandosi con i grandi dell’epoca; ed illuminante sarà proprio l’incontro con un gigante di allora e di sempre, Maurice Ravel, che suggerì al compositore americano di ricercare la chiave del successo nella coerenza con se stesso e col suo personalissimo talento. Di questa celeberrima pagina gershwiniana  l’Orchestra del Teatro Petruzzelli – nonostante i fiati non sempre in regola con l’intonazione – ha reso una interpretazione gradevole ma non all’altezza di tutte le possibilità espressive racchiuse nell’opera; di questo avrebbe dovuto farsi carico il direttore Carlo Tenan che ha invece decisamente navigato in superficie.

Se il Gershwin originale scalda il cuore anche quando non eseguito alla perfezione, lascia al contrario un po’ perplessi il Gershwin rivisitato da Gil Evans. Senza nulla togliere alle sue riconosciute doti, l’arrangiatore, compositore e pianista canadese, uno dei grandi innovatori del jazz novecentesco, in Porgy and Bess –  rilettura in suite per tromba solista ed orchestra dell’omonima folk-opera di Gershwin sulla vita degli afroamericani nel South Carolina degli anni Trenta – assegna un ruolo di assoluta centralità allo strumento solista esaltando le doti virtuosistiche e improvvisative dell’interprete (non a caso il lavoro nacque in simbiosi con quel genio della tromba che fu Miles Davis) ma prosciuga fortemente la ricchezza di sfumature dell’originale: una scelta di per sè legittima e plausibile se considerata alla luce dello spiccato gusto di Evans per la sperimentazione, ma tuttavia capace di produrre un ascolto defatigante per l’eccessiva autoreferenzialità dello strumento solista e per la lunghezza (non a caso è considerato il pezzo concertante per tromba più lungo e difficile della storia della musica), soprattutto se non compensata – come non lo è stata nell’esecuzione barese –  da una direzione orchestrale particolarmente brillante. Nulla da eccepire tuttavia alla interpretazione di Paolo Fresu, pienamente all’altezza della sua indiscussa fama ed ancora una volta fonte di emozioni, come è accaduto fin dai primi accenni melodici della ammaliante nenia Summertime.

Particolare omaggio alla speciale alchimia fra il sognante lirismo della tromba e del flicorno di Fresu ed il proteiforme pianismo di Caine, è stato il segmento finale del concerto, intitolato “I loves you Porgy”, una breve kermesse di riletture jazzistiche – dal già sopra citato Monteverdi, a Irving Berlin, a Miles Davis, a standars italiani,  per arrivare alla esecuzione di brani propri – oltre che un ulteriore e delicato tributo all’opera-folk di Gershwin, come lo stesso titolo suggerisce. Prevedibili e ben tributate le ovazioni del pubblico del Petruzzelli ai due artisti il cui incontro, ormai pluriennale, si conferma senza dubbio uno dei più riusciti sodalizi del jazz contemporaneo.

8 commenti

  1. E’ proprio vero che, come diceva il mitico Frank Zappa, “Parlare di musica è come ballare di architettura”
    Prima di questo articolo ne ho trovati altri due sul web che fanno riflettere e che consiglio di leggere.

    http://www.lsdmagazine.com/paolo-fresu-e-uri-caine-diretti-dal-maestro-tenan-al-teatro-petruzzelli-di-bari/17757/

    http://www.quindici-molfetta.it/successo-di-paolo-fresu-e-uri-caine-in-concerto-al-petruzzelli_32100.aspx

    • Gentile Federico, non c’è bisogno di scomodare Franck Zappa per rilevare un dato che è facilmente e frequentemente riscontrabile, ossia l’uscita di recensioni totalmente contrastanti su un concerto o uno spettacolo. In generale tenga presente che la critica musicale non è quella che suol dirsi “una scienza esatta”, essendo basata su una molteplicità di fattori, fra cui una componente soggettiva non indifferente. Ovviamente ci si dovrebbe comunque basare – se non altro come punto di partenza – su dei dati di fatto oggettivi, ma non sempre questo avviene. Ciò genera la varietà di “visioni” da lei riscontrata, una varietà le cui cause lascio alla Sua intelligenza il compito di intuire. Per quanto riguarda la MIA recensione so di averla scritta sulla base di quelli che, al mio ascolto, sono risultati essere dei “fatti”. Circa le rencensioni altrui da Lei segnalate tramite link…preferisco non entrare nel merito.
      Grazie per l’attenzione.
      Enzo Garofalo

  2. Gent.le Sig. Garofalo, per cortesia espliciti i fatti per far capire a noi pubblico, che abbiamo profondamente apprezzato, come Lei stesso ha notato, dove abbiamo sbagliato. Il lettore va anche educato non solo disorientato e amareggiato con osservazioni contrarie al vissuto.
    Io sarei dell’idea di dover solo ringraziare profondamente artisti di questa levatura e preparazione che ci permettono di ascoltare, dal vivo, musica così emozionante e defaticante…musicisti miracolosi come il Direttore che, con tre giorni di prova, o forse meno, ha portato un’intera orchestra, fiati compresi!!!, ai livelli esecutivi ed espressivi di due artisti di indiscussa fama internazionale, in un programma che non può certo dirsi di repertorio. Risultato ottenibile, a mio avviso, solo grazie ad un gesto chiaro e preciso, ad una brillante capacità di stacco dei tempi, ad una costante attenzione agli ingressi di ogni strumento, ad una interessante varietà dinamica nonché ad un coinvolgimento ed una partecipazione incisive e appropriate…poi, effettivamente, ognuno ha le proprie orecchie…ma tutto questo come può sembrare superficiale e sottotono?
    RingraziandoLa per la cortese attenzione Le porgo i miei più cordiali saluti.

    • Gentile Chiara, credo di essere stato più che esplicito nella mia esposizione della serata. Se la sua percezione le ha fatto sembrare tutto fantastico ed ineccepibile non saprei cosa dirle. Io non posso mettermi nei suoi panni. Posso solo consigliarLe di ascoltare le registrazioni di qualche esecuzione di Gershwin di quelle fatte davvero a regola d’arte e forse noterà la differenza. Chi ascolta, e giudica, non è tenuto a sapere quante prove un’orchestra ha avuto a disposizione, ma solo a valutare il risultato. Nulla da dire su Fresu e Caine come esecutori: sono due grandi del jazz e non mi pare di aver scritto il contrario; mi sono solo espresso su una composizione di Caine ed ho detto ciò che penso in proposito.
      Cordiali saluti
      E.G.

  3. …o forse ha solo sbagliato concerto!
    Non le sono piaciute le variazioni di Caine (chiacchiericcio!!) non le è piaciuto il Direttore (sottotono), non le è piaciuto l’arrangiamento di Gil Evans (defatigante) giusto sopportabile Monteverdi ma solo ricordandosi bene dell’originale.
    …se non le piace il genere non è il caso di disprezzare il lavoro di artisti di livello indiscutibile per puro gusto dissacratorio!!!…vedi entusiasmo generale…
    Buona giornata.

    • Gentile Mina,
      noto con divertimento il suo gusto per la provocazione, che non ho alcuna intenzione di raccogliere. Le rispondo solo che se tutto ciò che crea entusiasmo generale fosse il ‘metro’ per misurare la qualità e il valore, dovremmo rileggere in modo diverso un bel po’ di Storia e anche un bel po’ di Attualità. Il fatto poi che Caine sia un grande artista del jazz – cosa di cui non si discute – non lo rende immune dal poter produrre qualcosa di poco riuscito, esattamente come è capitato a tanti altri grandi della Musica e non solo.
      Cordiali saluti
      E.G.

  4. Comoda la posizione di chi sempre presuppone l’ignoranza altrui.
    Vivissimi e sinceri complimenti al Maestro Tenan abile e valoroso cavalier servente della musica al fine di consentire a noi pubblico interessato e appassionato di fruirne pienamente.

    • Questo, signor Francesco (senza firma), lo presuppone lei. Se non è d’accordo con quanto ho scritto in merito al concerto, può tranuquillamente dirlo senza bisogno di fare dietrologie inutili. Chi valuta un evento artistico, che sia musica o teatro, fa le proprie valutazioni in base a ciò che sa e a ciò ve vede e sente; non ha bisogno di fare affidamento sull’ignoranza altrui-
      E.G.

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