di Redazione FdS
“Dopo il fiume Sagra c’è Caulonia, fondazione achea, prima detta Aulonia, per il vallone che è nei suoi pressi. Ora è abbandonata …”
Strabone (I° sec. a.C.), Geografia, VI, 1, 10
Presso gli antichi i draghi avevano un valore apotropaico perchè ad essi era affidato il compito di tenere lontano il male, mentre i delfini – considerati dai greci animali sacri ad Apollo ed amici dell’uomo – simboleggiavano la capacità di affrontare le avversità e di vincerle. Ma se draghi e delfini proteggono noi, chi protegge loro? La metafora allude al rischio di distruzione a cui dagli inizi dello scorso dicembre sono esposti gli splendidi mosaici – con figure appunto di draghi e delfini – ritrovati in Calabria fra l’estate 2012 e quella del 2013 nell’area archeologica dell’antica città magno-greca di Caulonia, a Monasterace Marina (Reggio Calabria). Una forte mareggiata ha infatti danneggiato in parte l’area degli scavi erodendo la duna che aveva protetto finora gli antichi resti. Il basamento del tempio dorico, una fra le principali testimonianze dell’antica città greca, ed il grande mosaico ellenistico di più recente scoperta, si trovano ora a poco più di venti metri dal mare ed esposti a incombente pericolo. Ecco perchè l’archeologo Francesco Cuteri, che da anni scava in quest’area, ha nei giorni scorsi lanciato un appello per chiedere interventi urgenti prima che sia troppo tardi. Per fortuna ora si è appreso che entro questo mese di gennaio, grazie ad un intervento della Protezione Civile, inizieranno i lavori lungo la linea di costa per proteggere il tempio dorico e le altre testimonianze archeologiche. Nella speranza che l’intervento si compia al più presto vediamo di ricostruire la bella storia di appassionato impegno scientifico che va avanti da un secolo, da quando cioè il grande archeologo trentino Paolo Orsi individuò il sito dell’antica Kaulon, per poi arrivare alle più recenti e straordinarie scoperte che hanno portato alla luce nuovi reperti di gran pregio, assolutamente unici nel loro genere.
LA CITTA’ E IL MITO DELL’AMAZZONE CLETE
|
Non si può parlare di Caulonia (in greco Καυλωνια) senza perdersi suggestivamente nelle nebbie del Mito, là dove il confine fra storia e leggenda si annulla. La leggenda più affascinante sulle origini di Caulonia risale a fonti del IV sec. a.C. che narrano della remota presenza sul posto dell’amazzone Clete, la nutrice di Pentesilea, regina delle Amazzoni. La donna-guerriero sarebbe qui approdata dopo la guerra di Troia quando, morta in battaglia la sua regina e deciso il rientro in patria, finì con la sua nave alla deriva sulle coste dell’Italia Meridionale a causa di una tempesta. Qui Clete sarebbe vissuta allorché vi giunsero greci reduci anch’essi da Troia e successivamente i coloni achei condotti da Tifone di Aegium, sbarcati in questo tratto di costa della Calabria (l’antico Bruzio), presso il promontorio Cocynthus (oggi Punta Stilo). La leggenda vuole che i Crotoniati, giunti a sostegno degli Achei, distrussero il regno di Clete, il cui figlio, Caulon, unico sopravvissuto alla strage, riedificò la città che chiamò, dal proprio nome, Caulonia, diventandone così l’eroe eponimo. Questo il mito.
Le fonti ufficiali considerano invece quegli stessi Achei i veri fondatori, nel VIII sec. a.C., della città poi finita nell’area di influenza di Crotone. La città era limitata a sud dal fiume Sagra, sulle cui rive nel VI secolo a.C. si svolse la famosa Battaglia del Sagra, in cui Caulonia alleata con Crotone fu sconfitta da Locri Epizefiri e Rhegion (Reggio), grazie al miracoloso intervento dei Dioscuri. Nonostante la città sorgesse in un’area fornita di numerose risorse naturali quali il legname e i giacimenti minerari di rame, argento e piombo, nonché di un buon punto di approdo e di locali cave di pietra da costruzione, il suo rapporto con Crotone l’avrebbe resa col tempo una sua appendice, il che le avrebbe impedito di raggiungere l’importanza di altre città quali la stessa Crotone, Sibari, Taranto, Reggio, ecc. Caulonia fu tuttavia fra le prime città della Magna Grecia a coniare monete d’argento: sono infatti numerose quelle ritrovate che risultano realizzate con il metallo estratto nella vallata dello Stilaro. Le più antiche (del VI° sec. a.C.) sono gli “stateri incusi”, con figure e iscrizione incavate sul rovescio e rilevate sul diritto, con una figura maschile nuda e dai lunghi capelli ed un’altra più piccola, con accanto un cervo dalla testa rivolta all’indietro e la scritta in greco Kaul.
Dopo la rivoluzione antipitagorica della metà del sec. V a. C., Caulonia si costituì in stato indipendente, ma anche allora seguitò a vivere all’ombra di Crotone, con la quale e con Sibari dette vita, verso la fine del sec. IV, alla Lega Achea, trasformata in Lega Italiota, a difesa contro i Lucani e, poco dopo, contro Dionisio il Vecchio di Siracusa. Dopo la vittoria sugli Italioti presso il fiume Elleporo (389 a. C.), Dionisio però mise in scacco la città e ne affidò il territorio ai Locresi, deportandone gli abitanti a Siracusa e concedendo loro la cittadinanza esentandoli dai tributi per cinque anni. La città risorse col crollo dell’impero di Dionisio, ma più tardi finì nelle mani di Reggio, da cui si liberò con l’aiuto dei Romani (270 a. C.). Durante la seconda Guerra Punica era ormai ridotta a un villaggio e al tempo di Plinio il Vecchio (I° sec. d.C.) ne restavano solo le rovine.
LA SCOPERTA, UN SECOLO FA, DEI RESTI DELLA CITTA’. LA ‘CASA DEL DRAGO’ E GLI SCAVI SUCCESSIVI
Agli inizi del ‘900 l’archeologo trentino Paolo Orsi riconobbe la città di Caulonia nelle vestigia e nei reperti messi in luce nei pressi del promontorio di Punta Stilo (l’antico Capo Cocinto), tra gli sbocchi di due piccole fiumare, l’Assi a nord, e lo Stilaro, a sud. La città – di non più di 10 mila abitanti – sorgeva in un’area formata da una stretta fascia costiera pianeggiante attraversata da fiumare a regime torrentizio, e da rilievi collinari che precedono la dorsale appenninica delle Serre. Gli scavi hanno permesso di identificare la struttura della città che prevedeva un centro urbano principale, a pianta ippodamea, cinto da mura e posto al livello del mare, all’interno del quale era presente un tempio dorico, forse dedicato ad Apollo o a Zeus, ancora oggi visibile nelle sue fondamenta (ritrovato anche l’altare in arenaria, la gradinata e altre strutture) e sede dal ’99 degli scavi condotti dalla Scuola Normale Superiore e dall’Università di Pisa che hanno riportato alla luce buona parte del santuario urbano al quale appartenne il tempio dorico. Orsi – che qui scavò dal 1911 al 1916 – appose il vincolo di tutela su quest’ultimo monumento, vincolo che il soprintendente Alfonso De Franciscis nel 1957 estese a tutta la città antica. Negli anni ’50 vi erano già stati gli studi topografici e urbanistici di Schmiedt e Chevallier giunti a interrompere un lunghissimo periodo di silenzio su questa città. Le esplorazioni di De Franciscis approfondirono quindi le ricerche e furono seguite dai sondaggi di Bruno Chiartano nei pressi del tempio e da quelli di Elena Tomasello relativi alle mura e ad un settore di abitato. A partire dagli anni ’80 le indagini archeologiche sono però riprese in modo sistematico grazie all’impegno di Maria Teresa Iannelli, funzionaria della Soprintendenza regionale, che si avvale anche della collaborazione di scuole e istituzioni straniere.
Fra i ritrovamenti avvenuti nel corso del tempo, di rilievo sono anche quelli al di fuori della cerchia delle mura, in particolare sul colle Tersinale, presso l’edificio rurale della Passoliera, dove Orsi individuò un altro importante centro cultuale, come desumibile dai numerosi reperti raccolti nell’area. Da qui provengono alcuni depositi di frammenti di terrecotte architettoniche riferibili a tre fasi costruttive diverse di un piccolo tempio e consistenti in una sìma (cornice) arcaica della fine del VI sec. a. C., ed in altre della prima metà del V con bellissime grondaie a testa leonina. Importante anche il patrimonio sommerso e restituito dal mare tra cui gli imponenti resti di un tempio Ionico esposti al Museo di Monasterace, ricchezza che ha giustificato il vincolo apposto anche allo specchio di mare antistante il parco. Da quest’area sono emersi anche due contenitori in terracotta ancora pieni di pece, uno dei prodotti che resero famosa la Calabria nell’antichità. Tecnicamente definiti kadoi, sono esemplari molto rari paragonabili solo ad alcuni altri rinvenuti in Puglia.
Oltre le zone destinate al culto, l’area archeologica comprende anche un ampio settore dell’abitato dell’antica Kaulonia: qui molte case si sono conservate solo a livello delle fondazioni dei muri, ma consentono approfonditi studi utili alla ricostruzione della storia del sito. Fra esse spicca la cosiddetta Casa del Drago, il cui nome deriva dal bellissimo mosaico d’epoca ellenistica, di due metri per uno, raffigurante un drago marino col dorso crestato e la coda di pesce, rinvenuto sulla soglia di una stanza completamente pavimentata a mosaico decorato con onde marine stilizzate. La stanza, identificata dagli archeologi come una camera da pranzo in cui si svolgevano banchetti e symposia, era il vano di rappresentanza dell’abitazione. La tecnica di costruzione, l’uso di grandi tessere di marmo, di pietre colorate e di sottili lamine di piombo hanno fatto datare il pavimento al III sec.a.C. attestandolo come il mosaico più antico della Calabria. Scoperto da De Franciscis alla fine degli anni Sessanta, fu staccato ed esposto a lungo al Museo Nazionale di Reggio Calabria ma di recente è rientrato a Monasterace dove lo si può ammirare nel locale Museo Archeologico. Nel 2012 il “drago di Kaulonia” ha avuto il suo primo lancio internazionale grazie all’artista Luigi Gallo che su una grande parete del porto di Bahia Blanca, in Argentina, ha realizzato un murale con lo stesso tema del mosaico.
Le ricerche archeologiche dell’ultimo decennio hanno interessato quasi esclusivamente il fronte a mare della città dove, nell’area dell’abitato denominata S. Marco nord-est, opera dal 2003 l’Università degli Studi di Firenze sotto la direzione della prof.ssa Lucia Lepore, su autorizzazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Questa parte della città di Caulonia si staglia tra il mar Jonio a est, la ferrovia Taranto-Reggio Calabria ad ovest, la fiumara Assi a nord e l’area di Casamatta a sud. Frammenti vascolari hanno permesso di stabilire una frequentazione umana nell’area fin dall’VIII secolo a.C. con una presenza greca che si fa stabile dai primi decenni del VII secolo. Di un periodo successivo sono i resti riconducibili a una casa di benestanti denominata Casa del Personaggio Grottesco. Nei pressi è stato individuato una strada in direzione Nord-sud larga 6,65 metri. Al III secolo a.C. risalgono invece i resti di un ampio edificio in parte sotto l’attuale asse viario della strada statale 106. Infine è stato portato alla luce ciò che resta di una piccola necropoli del periodo tardo-antico (VI-VII secolo d.C.).
Nell’area del vasto complesso di Casamatta (il nome si riferisce ad una struttura militare della Seconda Guerra Mondiale) opera invece la Soprintendenza Archeologica della Calabria con il contributo dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e dell’Università della Calabria. A questa zona sono riconducibili alcune delle scoperte più recenti.
LE RECENTI STRAORDINARIE SCOPERTE. OMISSIONI E POLEMICHE
Dal 2012 ad oggi, a Caulonia, è stato un tripudio di ritrovamenti di risonanza internazionale ma assurdamente passati quasi inosservati in Italia oltre che privi del necessario supporto economico per una adeguata prosecuzione degli studi e degli indispensabili restauri. Il che conferma la colpevole inettitudine di uno Stato che continua a penalizzare un settore come la cultura, sua potenziale prima voce di bilancio, oltre a risultare paradossale in una regione come la Calabria che vuole puntare sul rilancio del proprio patrimonio archeologico.
Ripercorriamo gli eventi. Dagli scavi presso il Tempio dorico, nell’estate 2012 sono affiorati un elmo e uno schiniere decorato, databili al VI secolo a.C. Lo scavo di Casamatta, sempre lo scorso anno, ha invece portato alla scoperta di uno straordinario mosaico raffigurante un drago, un rosone, nove pannelli quadrati più tre rettangolari con motivi floreali. La scoperta è avvenuta l’ultimo giorno della XXIVa campagna di scavo, allorchè era in corso il dissotterramento di un ambiente termale monumentale del IV sec. a.C. (detto Terme di Nannon, dal nome dell’architetto che le ha costruite o di altro personaggio), di uno o più piani, le cui strutture erano crollate al suolo. Improvvisamente sono cominciate ad emergere una lunga piscina, la panca su cui si sedevano i frequentatori, e infine l’ampio pavimento adornato da uno splendido mosaico, in ottimo stato di conservazione. Il tappeto a mosaico ha rivelato un grande rosone floreale e uno splendido drago marino (v. prima foto in alto) molto simile a quello rinvenuto negli anni ’60 nella lussuosa residenza greca detta ‘Casa del drago’, ma raffigurato su fondo blu, mentre nel primo spiccano colori rosso-terrosi. Accanto sono emersi anche la figura di un serpente e riquadri con decori floreali e vegetali.
L’archeologo Francesco Cuteri, coordinatore dello scavo, e i suoi studenti, si aspettavano di trovare un normalissimo pavimento da impianto termale, ma spostando il materiale di crollo si sono trovati di fronte con stupore e meraviglia ad un pavimento a mosaico realizzato a grosse tessere, “un tappeto circolare – racconta Cuteri – seguito da oltre 20 mq di mosaico in pannelli quadrati e rettangolari raffigurante un drago con sfumature cromatiche di incredibile bellezza (…) L’uso del cromatismo, i materiali, tutto da’ luogo ad una sinfonia di colori incredibile”. Sebbene la scoperta non avesse ancora esaurito le sorprese poi manifestatesi nel 2013, già nell’immediatezza del ritrovamento Cuteri catalogò il mosaico ellenistico come il più imponente del suo genere di tutta la Magna Grecia: “Di cosi’ grandi non se ne conoscono. E’ da decenni che faccio questo lavoro ma una cosa così bella non mi era mai capitata”. Oltre ad elogiare i propri studenti che “da 14 anni si susseguono a Caulonia lavorando solo per passione”, Cuteri ha evidenziato come la Calabria si confermi “una terra-laboratorio nella quale l’archeologia puo’ aprire nuove pagine di interpretazione, un contesto che ci fa capire come la ricerca costante fatta con passione porti a grandi risultati sotto tutti i punti di vista”. Purtroppo, la mancanza di mezzi economici per potersi spingere oltre nello scavo e nel restauro dell’opera ritrovata hanno costretto l’equipe di esperti a re-interrare il tutto per preservarlo dagli agenti atmosferici. A dare un sonoro schiaffo morale alle istituzioni – in tal modo invitate a intervenire rapidamente – ci hanno pensato gli studenti di una scuola media di Vibo Valentia Marina, pronti ad avviare con “paghette” e corrispettivi di ricariche telefoniche una insolita raccolta fondi (oltre tremila euro) che sono serviti a contribuire alle spese di vitto e alloggio dei 25 studenti volontari impegnati negli scavi.
Ma, come si diceva, le sorprese non erano ancora finite. Arriviamo infatti al luglio 2013 quando sono emersi nuovi elementi di quello che è considerato il più grande ed articolato mosaico ellenistico dell’intera Magna Grecia, nonché il più antico della Calabria. Si tratta di nuovi riquadri raffiguranti delfini e draghi, che sono andati a completare la pavimentazione a mosaico della sala termale (pertanto ribattezzata “La sala dei draghi e dei delfini”) ora estesa per una superficie di circa 30 metri quadrati. I soggetti raffigurati sono per la precisione due delfini, un ulteriore drago ed un altro grande delfino che fronteggia il drago scoperto nel 2012. Le opere si collocano tra la fine del IV ed i primi decenni del III secolo a. C. Ai lavori di scavo, coordinati sempre dall’archeologo Francesco Cuteri, con la direzione scientifica di Maria Teresa Iannelli, hanno partecipato, in modo del tutto volontario, studenti provenienti da università italiane e dall’ateneo di Bahìa Blanca, in Argentina. Cuteri, che ha espresso tutta la sua gioia per gli esiti di uno scavo al quale lavora con i suoi collaboratori da almeno 15 anni, si è detto fiducioso circa la possibilità di trovare almeno altri due pannelli.
Immagini: courtesy of Kaulon CasaMatta – Museo Archeologico di MonasteraceQuello che vi abbiamo raccontato è un ritrovamento che ha dello straordinario non solo per la bellezza e precisione dei mosaici, riconducibili a più autori, ma soprattutto per la tecnica di realizzazione che segna il passaggio dall’uso dei ciottoli a quello dell’opus tessellatum, oltre che per la sapiente rifinitura in lamina di piombo del delfino grande, per i colori che variano dal rosso al bianco, all’azzurro, al nero, e per la capacità di riprodurre l’effetto delle chiazze di colore. A questi aspetti può aggiungersi l’ulteriore peculiarità data dal fatto che l’opera è inserita in un edificio termale di età ellenistica, complesso molto raro di cui sono noti solo altri quattro esempi in tutta Italia: tre in Sicilia – a Morgantina, Gela e Siracusa – ed uno in provincia di Salerno, a Velia. Infine, è dello scorso ottobre, la notizia del ritrovamento da parte dei ricercatori dell’Università di Pisa e della Scuola Normale, che da anni si avvicendano nel parco, di una tabella bronzea risalente al V secolo a.C. con lettere incise in alfabeto acheo poste su 18 linee, ordinate secondo il sistema di scrittura denominato “stoichedon”. Il reperto, rivelatosi il più lungo antico testo acheo mai ritrovato nella Magna Grecia, è una dedica votiva riemersa dal terreno in piccoli frammenti e sapientemente ricostruita presso il locale Museo di Monasterace.
Oggi tutto questo rischia di finire nel dimenticatoio, o peggio ancora distrutto, per la cronica mancanza di fondi o – più paradossalmente – per la mancata assegnazione di fondi già stanziati ma fermi alla fonte per le solite pastoie burocratiche o per la mancanza di solerzia da parte delle istituzioni. Senza calcolare il grave rischio a cui l’area archeologica di Caulonia, mosaici compresi, è esposta da quando le mareggiate dello scorso dicembre hanno distrutto il fronte sabbioso che faceva da barriera protettiva, lasciando così cadere sulla battigia anche alcuni pezzi delle strutture messe in luce dagli scavi.
E’ drammatica la relazione stilata in proposito da Maria Pia Bernasconi, geologa dell’Università della Calabria, la quale scrive: “Devo segnalare l’estrema gravità riscontrata nel settore meridionale del parco archeologico, in corrispondenza dell’area sacra relativa al tempio dorico: l’erosione, che qui si è manifestata con il distacco di una parte del deposito terrazzato, ha lasciato solo un sottile diaframma di terreno tra i resti archeologici ed il mare (…) Ritengo assolutamente indispensabile un primo ed immediato intervento di salvaguardia dell’area da realizzare con la collocazione di grossi massi a ridosso del deposito terrazzato, analogamente a quanto è stato fatto a sud del sito archeologico. Un’ulteriore fase erosiva potrebbe comportare la perdita dell’area termale dell’antica Kaulon, ivi compreso il mosaico che rende unico il sito di Monasterace nell’Italia meridionale continentale”.
Sebbene ora sia stato annunciato l’imminente intervento della Protezione Civile, rimane vergognoso che un archeologo come Cuteri, impegnato da anni nella scoperta e nello studio di quell’illustre passato del quale tutti dovremmo essere orgogliosi paladini, sia stato costretto ad elemosinare l’intervento del Capo dello Stato nel tentativo di ottenere l’adozione di misure di tutela che in altri Paesi – e per reperti molto meno significativi dei nostri – sono di ordinaria amministrazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giulio Giannelli, Culti e miti della Magna Grecia, Sansoni editore, Firenze 1924
Lucia Lepore, Paola Turi (a cura di), Caulonia tra Crotone e Locri. Atti del Convegno internazionale, Firenze, 2010
Paolo Orsi, Caulonia. Campagne archeologiche, FPE-Franco Pancallo Editore, Locri, 2003
AREA ARCHEOLOGICA DI MONASTERACE MARINA
S.S N. 106 – C.da Runci
Orario 9.00-.19.30
Infotel. Museo: 0964.73.51.54
Complimenti per quello che avete confezionato su questo sito, per questioni di onesta’ vi devo correggere, per quanto riguarda il discorso di aver lanciato l’allarme per il rischio tempio, lanciato in maniera celere istantaneamente durante il passaggio del ciclone NETTUNO il 01 dicembre dal comitato civico popolare “Monasterace nel cuore”, che ha inviato a tutti gli organi competenti ed a tutti i parlamentari competenti il dossier carteceo , video e fotografico di cio che stava succedendo ai nostri tesori.Encomiabile pero’ il grande lavoro e i susseguenti appelli del Dottor CUTERI , che ha dimostrato grande attaccamento e sensibilita’ nei confronti di tali tesori e nei confronti della nostra cittadina.
Gentile Gianpiero, conosciamo l’esistenza di ‘Monasterace nel cuore’ e il suo impegno per il territorio, ma non sapevamo di questo vostro così prematuro appello alle autorità, anche perchè noi ci basiamo sui comunicati stampa che ci arrivano direttamente da chi prende delle iniziative o sulle agenzie di stampa che di solito forniscono le prime news di un evento. Comunque vi abbiamo citati in altre occasioni, come nel caso di un video pubblicato proprio da lei su You Tube in cui si mostra l’azione erosiva del mare sulla costa o nel caso di una immagine sempre di Kaulonia. D’ora in poi, se vorrete comunicarci qualcosa su un vostro eventuale intervento usate pure l’indirizzo di posta elettronica redazione@famedisud.it. Cordiali saluti.
Redazione FdS