“…Poi Egnazia, eretta contro il volere delle ninfe,
ci offrí motivo di risa e di scherni,
perché volevano qui farci credere
che l’incenso sulla soglia del tempio
si consumava senza fiamma.
Può pensarlo il giudeo Apella,
io no: gli dei, cosí ho sentito dire,
passano il loro tempo indifferenti
e, se qualche prodigio si verifica in natura,
non è certo l’ira divina
a precipitarcelo dall’alto dei cieli.”
Orazio, da Satira V, L. I° Sermones, I° sec. a.C.
di Redazione FdS
Con queste parole il grande poeta venosino Quinto Orazio Flacco ricorda divertito il suo passaggio ad Egnazia (per gli antichi Egnathia o Gnathia), città di origine messapica nei pressi dell’odierna Fasano (Brindisi). La località, di cui oggi restano le testimonianze in un bellissimo parco archeologico con Museo Nazionale annesso, fu una delle tappe del suo celebre ed avventuroso viaggio da Roma a Brindisi lungo la Via Appia ed attraverso una sua variante di età repubblicana compiuto nel 37 a.C. insieme agli amici Mecenate,Virgilio, Plozio Tucca e Vario Rufo e descritto con grande vivacità nella Satira V del Libro I° dei suoi Sermones. Citata anche da altri autori come Plinio e Strabone, la città fu attivo ed importante centro di traffici e commerci nel mondo antico in ciò favorita dalla sua posizione geografica, dalla presenza del porto e della Via Traiana che la costeggiava: “Per chi naviga da Brindisi lungo la costa adriatica – scriveva Strabone alla fine del I° sec. a.C. – la città di Egnazia costituisce lo scalo normale per raggiungere Bari, sia per mare che per terra.”
LE NOVITA’ DEL 2015: NUOVE AREE APERTE AL PUBBLICO E SUPPORTI HIGH TECH
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Incastonata fra la scogliera adriatica di Savelletri e le assolate campagne di Fasano (“Sospesa su una rupe battuta dalle onde del mare” la definì il poeta Orazio nel I° sec. a.C.), frequentatissima da visitatori italiani e stranieri attratti oltre che dal fascino delle rovine anche dal suggestivo contesto ambientale, Egnazia a partire dal 22 maggio 2015 si presenta in una veste rinnovata aprendo al pubblico alcune aree finora riservate soltanto agli studiosi. In un ampio parco che offre allo sguardo soprattutto le testimonianze del periodo romano, spalancano le loro ”porte” le Terme del Foro, visitabili tramite un percorso perimetrale in passerella che permette di ammirare strutture e mosaici protetti da una apposita tettoia, e l’acropoli – nell’antichità la parte più eminente di una città, sede soprattutto di templi e di luoghi pubblici – collocata ad un passo dal mare. Come ha spiegato in questi giorni alla stampa Raffaella Cassano, archeologa dell’Università di Bari che dal 2001 dirige gli scavi nell’antica città, l’acropoli è l’unico luogo che conservi integralmente la stratigrafia dell’intera storia di Egnazia, dall’Età del Bronzo al Medioevo.
Oltre che dall’accesso a queste due nuove aree, il percorso di visita – un continuo dialogo fra le antiche tracce umane e un ridente paesaggio mediterraneo di ulivi e conifere – è stato integrato da un nuovo sistema di pannelli illustrativi in italiano e inglese e da strumenti digitali che arricchiscono le modalità di fruizione del parco archeologico: si tratta di una serie di tablet che attraverso l’uso di coordinate Gps e della realtà aumentata, permettono ai visitatori di ottenere tutte le informazioni fondamentali sulla città e sui suoi resti. Disponibili anche ricostruzioni in 3D che permettono di avere una coinvolgente visione della vita quotidiana nell’antica Egnazia.
Fra i tratti più particolari del percorso di visita si segnalano le mura messapiche, oggetto di una recente donazione allo Stato da parte della famiglia Melpignano, le numerose calcàre, cioè dei grandi forni per la produzione della calce testimonianza di una vivace attività edilizia locale fra il V e il VI secolo d.C., mentre una nuova passerella permetterà di accostarsi ai resti delle due basiliche paleocristiane, lascito della diocesi di Egnazia, fra le più antiche di Puglia.
Quest’opera di valorizzazione del parco archeologico – compiuta in sinergia fra segretariato regionale dei Beni culturali, Soprintendenza archeologica della Puglia e Università di Bari – è stata possibile grazie ad un finanziamento proveniente da Arcus Spa, società partecipata dal ministero dell’Economia, come ha spiegato il Soprintendente Luigi La Rocca, il quale oltre ad illustrare gli innovativi supporti per la fruizione del Parco, ha sottolineato la particolare attenzione riservata al pubblico non vedente per il quale sono state predisposte apposite audioguide e mappe che descrivono il percorso archeologico attraverso la scrittura in caratteri Braille.
EGNATHIA: I 3000 ANNI DI STORIA DI UNA CITTA’ SEMISOMMERSA DAL MARE
Parlare di Egnazia è riferirsi al più completo palinsesto di un insediamento plurimillenario attivo dall’Età del Bronzo fino al Medioevo, vale a dire per oltre 3 mila anni. Nel 2012 si sono celebrati i cento anni di scavi in questa affascinante città ed è emerso come lo studio della sua stratigrafia (peraltro ancora in corso) abbia giovato non solo alla conoscenza del luogo ma anche – come ha sottolineato il Soprintendente La Rocca – “contribuito a chiarire in maniera significativa alcuni aspetti della civiltà messapica, del processo di romanizzazione della parte meridionale della Puglia, e alcune problematiche relative ai contatti tra greci e indigeni, tra Peuceti e Messapi in una zona di confine dove si incrociarono e incontrarono influssi culturali di matrice diversa”. Gli scavi iniziarono nell’agosto del 1912 ad opera del Soprintendente archeologo Quintino Quagliati, figura di spicco nell’ambito dell’attività di tutela statale in Puglia, il quale intervenne con criteri scientifici a scavare in un’area già oggetto di saccheggi e scavi clandestini fin dagli inizi dell’800, azioni abusive all’origine dei tanti reperti di Egnazia disseminati nei principali musei del mondo. Da allora gli scavi proseguono e la città rimane ancora in parte da scavare.
Dagli scavi è emerso come il primo insediamento sia stato un villaggio di capanne risalente al XVI sec. a. C. (Età del Bronzo). Nell’XI sec. a. C., durante l’Età del Ferro, approdarono invece nell’area popolazioni di origine balcanica, gli Iapigi, mentre a partire dall’VIII sec. a. C. comparvero all’orizzonte i Messapi, popolazione di probabile origine illirica legata alla storia di Egnazia e di tutto il Salento fino all’avvento dell’occupazione romana a partire dal III sec. a. C., epoca in cui la cittadina adriatica incrociò la sua storia con quella della Roma repubblicana e poi dell’Impero, seguendone le sorti.
Del periodo messapico, connotato da influssi greci, restano ad Egnazia soprattutto imponenti mura di difesa che – alte 7 m. e lunghe 2 km. – delimitano un’area urbana di circa 40 ettari. Alla stessa civiltà riconducono poi alcune necropoli con tombe a fossa e a semicamera, nonché monumentali tombe a camera decorate con affreschi, come l’Ipogeo del Pilastro e la Tomba delle Melagrane. Più consistenti sono invece le testimonianze del periodo romano, fra cui ampi resti della Via Traiana, del Foro, della Basilica Civile con l’aula delle Tre Grazie, il Sacello delle divinità orientali, l’anfiteatro, il ben conservato Criptoportico. Di epoca altomedievale sono invece le due basiliche paleocristiane che in origine erano dotate di pavimenti a mosaico.
Ciò che rimane dell’antica Egnazia non sono però solo le rovine visibili sulla terraferma; vi è infatti una sua parte che da secoli è rimasta sommersa dalle acque del mare Adriatico. La città grande e ricca, patria di uomini forti e di belle donne, descritta da Strabone, subì infatti nel tempo diverse calamità fra cui la semidistruzione delle sue coste a causa di un maremoto con conseguente abbassamento del livello della costa e la scomparsa sott’acqua di parte della necropoli, come testimonia la presenza più superficiale di molte tombe scoperchiate dal mare e invase dall’acqua. Anche il porto e le costruzioni limitrofe sprofondarono in mare e non è raro con la bassa marea riuscire a percepire sagome di strutture sommerse.
Tutte queste testimonianze, oltre alle ricche collezioni di reperti presenti nelll’annesso Museo Nazionale, fanno oggi di Egnazia uno dei Parchi archeologici più interessanti e di maggior fascino dell’Italia meridionale.
IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI EGNAZIA
All’esterno della cinta muraria della città, in quella che fu l’area della necropoli messapica, sorge il Museo Archeologico Nazionale “Giuseppe Andreassi”. L’esposizione, riallestita nel luglio 2013, si snoda lungo undici padiglioni ed accoglie tre esposizioni permamenti: una dedicata a documenti dell’età del bronzo provenienti dagli insediamenti di tale periodo sviluppatisi lungo il litorale adriatico pugliese ed entrati in contatti commerciali con il mondo greco; la seconda dedicata ad Egnazia e alla sua storia (fra i reperti spiccano l’elegante testa marmorea del dio Attis ed il mosaico delle Grazie; molto suggestiva anche la scultura in terracotta ritrovata nel 1978 in una tomba a camera del IV sec. a.C. detta “del banchetto”, raffigurante una scena di “banchetto funerario” (perídeipnon), convivio che, insieme a rituali purificazioni, si teneva dopo la sepoltura del defunto); la terza, Archeologia globale ad Egnazia, allestita in collaborazione con l’Università di Bari, riguarda infine il rapporto tra l’archeologia ed altre discipline scientifiche. Il museo è anche sede di alcuni uffici della Soprintendenza archeologica della Puglia che forniscono un servizio didattico rivolto a scuole di ogni ordine e grado, con programmi di approfondimento aventi come tema l’archeologia e le discipline collegate e stages su temi specifici. E’ disponibile anche una biblioteca, aperta al pubblico durante le ore di ufficio.
LE CERAMICHE NELLO “STILE DI GNATHIA”
I diversi rinvenimenti ad Egnazia di ceramiche dotate di particolari tratti distintivi, hanno dato il nome ad uno stile decorativo di vasi del IV e III secolo a.C., definito “stile di Gnathia”, di cui oggi si conservano testimonianze in diversi musei del mondo. Tali ceramiche sono considerate un sottotipo della ceramica apula e i relativi esemplari, rinvenuti già con gli scavi condotti a Egnazia nel 1848, risultarono talmente numerosi che il nome dell’antica città finì col designarne appunto la tipologia; non è noto esattamente l’originario centro di produzione ma si ritiene che possa essere stato Taranto. Diversi esemplari – alcuni dei quali prodotti in loco – sono stati trovati anche a Paestum, in altri luoghi della Campania e persino in Sicilia. La principale peculiarità di tali vasi è data dalle scene figurate e ornamentali dipinte in policromia su una superficie coperta di vernice nera (le sovradipinture sono bianche, gialle e rosse e descrivono motivi fitomorfi o geometrici, talvolta accompagnati da elementi dionisiaci o di costume). Di epoca più tarda sono invece le ceramiche su cui, ad imitazione dei vasi metallici, venivano tracciate baccellature verticali, o quelle prive di decorazione figurata e decorate esclusivamente con motivi vegetali. Quanto alle forme, i vasi nello “stile di Gnathia” riproducono sostanzialmente quelle tipiche della ceramica apula a figure rosse, sebbene non di rado mostrino un carattere di maggiore eleganza.
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