di Enzo Garofalo
Conservo ancora nitido il ricordo di quella volta che lo sentii cantare dal vivo, sei anni fa a Bari, preceduto dal suo ”mito” di ultimo testimone dell’antica tradizione etnomusicale del Gargano. Fu durante la 5a edizione della rassegna “Di suoni e di danze” organizzata dall’Associazione Terrae, che per l’occasione decise di proporre alcuni fulgidi esempi di un’estetica sonora e coreutica dalle remote origini eppur capace di rinnovarsi ad ogni nuova esecuzione. Antonio Piccininno (Zi ‘Nton), con la sua voce e le sue castagnette veniva ancora una volta chiamato ad incarnare – come ormai faceva da anni esibendosi in tutta Italia – l’anima musicale del Gargano, monte dalla splendente natura e dalla storia plurimillenaria proteso sul mare Adriatico pugliese. Coppola in testa, bicchiere di vino al suo fianco, alto e dritto come uno stecco nonostante i novantaquattro anni suonati, sembrava aver fatto suo il motto “chi suona e canta non muore mai” coniato dal celebre “collega” Andrea Sacco, che con lui, Antonio Maccarone e altri aveva dato lustro alle tradizioni garganiche nel nome dei “Cantori di Carpino”. Oggetto dell’interesse di etnografi, musicisti e semplici appassionati di tradizioni popolari, il piccolo borgo del foggiano, affacciato sul Lago di Varano, è infatti considerato da sempre la patria dei più autentici interpreti della tarantella del Gargano, quella che “accompagnata da melodie e melopee, procura emozioni di una straordinaria intensità, e ritraccia, una dopo l’altra, le fasi dell’idillio amoroso”*.
Di quell’antica generazione di cantanti-musicisti, testimoni di una società contadina in via d’estinzione e capaci di far “vibrare l’aria in un modo del tutto strano” grazie alla tarantella, “un ballo fuori del tempo, che inebria pubblico ed interpreti, abbeverandoli con amore e follia”*, Antonio Piccininno era rimasto l’ultimo esponente. Ora anch’egli, come Maccarone e Sacco, è andato via, scomparso lo scorso 9 dicembre pochi mesi dopo aver festeggiato un secolo di vita (era nato il 18 febbraio del 1916) e dopo aver a lungo contribuito a riattivare il seme di una tradizione musicale che appena trent’anni fa sembrava destinata a scomparire “vittima dello sdegno o del disprezzo ostentato per le tradizioni”*.
Fin dalla fine degli anni ’90, con il gruppo dei Nuovi Cantori di Carpino, Antonio è riuscito infatti a diffondere fra i più giovani l’amplissimo patrimonio di canti di cui era custode, diventando protagonista acclamato della scena folk in un momento di grande riscoperta della tradizione quale elemento vivo dell’identità di luoghi e persone e non mero relitto culturale da ‘museo della memoria’. In ciò i giovani di Carpino hanno giocato un ruolo fondamentale, consapevoli che l’unica via da percorrere era quella di indirizzarsi ai vecchi maestri, di lasciarsi ispirare, e di condurne a nuova vita il retaggio. Nel ’97 attorno ad Antonio nacque così un gruppo di nuovi musicisti e cantori diretti da Nicola Gentile e quelle antiche melodie, spesso notevoli per raffinatezza e poeticità dei testi, divennero protagoniste di un concerto in grado di ammaliare il pubblico di oggi e di mostrare come la musica possa dinamicamente proiettarsi attraverso generazioni molto lontane senza perdere la propria autenticità. Quelle melodie, al suono di chitarre battenti e francesi, tamburelli e castagnette, divennero inoltre protagoniste del Carpino Folk Festival, iniziativa intorno alla quale nacque l’omonima associazione culturale e un più complesso progetto di tutela di un patrimonio di musica popolare che da quel momento varcava i confini della scena locale guadagnandosi quella nazionale e internazionale e trasformando Carpino nel “fulcro palpitante della musica popolare del sud Italia”*.
Sono ancora sotto gli occhi di tutti quelle immagini di piazze e locali d’Italia popolati di gente pronta ad acclamare quell’umile ambasciatore di una musica ancora in grado di far vibrare gli animi con la concitazione del suo ritmo e l’intensità emozionale del canto. Momenti, quelli sul palco, in cui il carattere schivo e riservato di Antonio, forse derivante da una solitaria adolescenza di pastore, lasciava il posto all’eloquio dell’affabulatore pronto a cantare ma anche a snocciolare, con modi garbati e misurati, i racconti di vita contadina che ispiravano i canti popolari. Orfano di entrambi i genitori fin dalla più tenera età, tirato su dai nonni materni, Antonio era stato messo subito a guardare le greggi: una vita aspra e spartana che gli dette modo di apprendere dagli anziani pastori e contadini quei canti e quelle musiche che avrebbero segnato per sempre il suo destino di “testimone”.
Antonio era un uomo di grande dolcezza nel quale alla spigolosità del profilo acquilino e al temperamento silenzioso facevano da contraltare due occhi azzurri pronti ad illuminarsi al suono della musica, motore di quella capacità improvvisativa con cui integrava il vasto repertorio di canzoni, sonetti e strofette della tradizione orale che una memoria ancora intatta gli permetteva di estrarre dallo scrigno del Tempo per donarlo al pubblico. Un prezioso lascito che egli si incaricò di trascrivere prima che andasse perduto per sempre.
In tanti hanno reso omaggio a lui e a quel mondo musicale di cui è stato a lungo portavoce: da Maurizio Sciarra col suo documentario Chi ruba donne girato nel 2000, a Davide Marengo in Craj film del 2005 sulla musica popolare pugliese tratto da uno spettacolo ideato da Teresa De Sio e Giovanni Lindo Ferretti, ad Aldo Di Russo che nel 2010 ha girato Buongiorno Zi’Antò, incontro con Antonio Piccininno, passando per il francese Thierry Gentet che nel 2007 ha realizzato il documentario Les Chanteurs de Carpino, e per l’etnomusicologo Salvatore Villani, autore del volume I cantori e musici di Carpino. Le tarantelle del Gargano (NOTA Edt) uscito nel 2012. Diversi anche i premi vinti, e poi l’esperienza, per lui del tutto inedita, di esibirsi nel 2011 nel Castel Nuovo di Napoli con l’orchestra sinfonica e il coro del prestigioso Teatro San Carlo, accanto ad Eugenio Bennato.
Al suo ruolo di custode della tradizione Antonio Piccininno ha tenuto fede fino alla fine: celebrati a febbraio scorso i suoi 100 anni con una grande festa alla quale aveva partecipato anche l’amico Eugenio Bennato, l’ultimo cantore veterano di Carpino ha continuato a cantare e a suonare fino all’estate scorsa, partecipando persino all’ultima edizione del Carpino Folk Festival. Con la sua scomparsa, insanabile perdita di un importante pezzo di storia della cultura pugliese e della musica popolare del Gargano, toccherà ai suoi giovani eredi artistici l’arduo compito di raccoglierne il testimone.
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NOTE:
*Cfr. scheda di presentazione de “Les Chanteurs de Carpino“, il documentario (in DVD di 52′) realizzato nel 2007 da Thierry Gentet su testi di Albanese per Mira Productions et France 3 Corse.