di Redazione FdS
Contro un cielo dal vivido colore turchino e dai pallidi riflessi rosacei, si staglia la procace figura della ninfa Galatea circondata da un drappo gonfio di vento mentre veleggia su un carro-conchiglia trainato da un gruppo di delfini che guizzano in un mare spumeggiante fra naiadi, tritoni e amorini. Il mito della ninfa Galatea (in greco Γαλάτεια, “colei che ha la pelle bianco-latte”), una delle cinquanta ninfe del mare, le Nereidi, figlie di Nereo e di Doride, ci porta in Sicilia, nel cuore del Mediterraneo. Della sua figura fa cenno Omero nell’Iliade (libro XVIII), ma il mito del suo amore per il pastorello Aci (o Acis) è successivo e costituisce uno dei temi preferiti della poesia bucolica dei poeti greci in Sicilia.
Si narra che Galatea fosse innamorata di Aci, un giovane bellissimo, e che il ciclope Polifemo, invidioso del giovane e a sua volta innamorato della ninfa, un giorno avesse cercato di attirarla con il suono del suo flauto. Non essendo riuscito nel suo intento, sorpresa la coppia di amanti, scagliò infuriato un enorme masso che raggiunse Aci, uccidendolo. Come raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, Galatea, per tenere in vita il suo amore, trasformò il sangue di Aci in una sorgente e lui stesso divenne un dio fluviale. Il tema mitologico ha dato luogo alla diffusione di un soggetto iconografico prediletto dagli artisti soprattutto del Rinascimento, quello del Trionfo di Galatea: si tratta di una scena vivace e affollata, nella quale la ninfa campeggia al centro, sul suo carro, una conchiglia trainata da delfini. Il gruppo è sorvolato da alcuni amorini che talora (come nell’omonimo dipinto di Raffaello) scagliano frecce in direzione di Galatea. Dalla poesia, alla pittura, alla musica, tutta l’arte si è impadronita di questo mito rendendolo immortale.
L’opera che qui vi presentiamo – oggi custodita presso lo statunitense Milwaukee Art Museum – è stata dipinta dal celebre pittore pugliese (di Molfetta) Corrado Giaquinto (1703-1765) nel 1752 circa, durante gli anni del suo soggiorno romano, periodo peraltro costellato di spostamenti in varie località per eseguire commissioni. Negli anni romani, l’arte di Giaquinto ebbe una virata dal rococò in direzione del nascente neoclassico, anche per l’esempio dell’arte di Carlo Maratta e per l’influsso di artisti coevi come Pompeo Batoni e Pierre Subleyras.
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