Proteso fra due mari, lo Jonio e il Tirreno, il Massiccio del Pollino svetta lungo il confine tra Calabria e Basilicata disegnando, insieme alla catena dell’Orsomarso, i confini dell’omonimo Parco Nazionale – il più grande d’Italia – incluso dal 2015 nella rete internazionale dei Geoparchi UNESCO. Dalle sue vette che a tratti superano i 2200 metri di altitudine sul livello del mare, lo sguardo riesce a raggiungere a ovest le coste tirreniche di località come Maratea, Praia a Mare e Belvedere Marittimo mentre a est la vista spazia lungo un ampio tratto del litorale jonico. Si tratta di una grande oasi di biodiversità vegetale e animale (qui vivono, fra gli altri, animali come il mitico lupo appenninico, il capriolo, la lontra, l’aquila reale e, recentemente reintrodotti, il grifone e il cervo) in cui l’opera della natura e dell’uomo si sono intrecciati per millenni in modo armonico. Un delicato ecosistema fatto di equilibri la cui salvaguardia sarà una delle grandi sfide del futuro, sfida tanto più semplice quanto più saremo in grado di riconoscere l’inestimabile valore di questo ambiente quale risorsa per la qualità della vita e per lo sviluppo di forme sostenibili di economia turistica.
Dall’abete bianco al faggio, a numerose varietà di acero, passando per il pino nero, il tasso, la quercia e il castagno, fino al raro pino loricato che, abbarbicato sui pendii più impervi, è diventato l’emblema stesso del Parco, anche la flora del Pollino si impone con la sua straordinaria ricchezza. Accanto agli alberi d’alto fusto, include infatti diverse specie arboree selvatiche produttive di frutti e bacche, piante officinali ed aromatiche, esemplari di orchidee che spiccano lungo i prati primaverili, e numerose altre varietà floreali. Un microcosmo nel quale forme e cromatismi mutano col mutare delle stagioni regalando al paesaggio una fisionomia sempre diversa.
L’autunno è forse, più della primavera, la stagione in cui sui monti del Pollino si accentuano i contrasti cromatici, accrescendo il fascino e le suggestioni dell’area. E’ questo anche il momento in cui il sottobosco, così come le più spoglie radure, ospitano – fra muschi e foglie secche – quella bizzarra categoria di esseri viventi che vanno sotto il nome di funghi, vera gioia per i gourmet che amano consumarli in tutte le salse, non meno di alcune pregiate locali varietà di tartufi. Diverse le varietà commestibili, in cui è possibile imbattersi soprattutto nei giorni in cui la pioggia si alterna ai caldi raggi solari: da quelli più prelibati come ovoli e porcini, veri re della tavola, ad altri meno pregiati, ma non privi di un loro caratteristico gusto, come le mazze di tamburo, i lactarius, i gallinacci e le russule che popolano soprattutto il sottobosco di faggio o cerro. Non mancano i funghi inadatti all’uso gastronomico, perchè tossici o semplicemente privi di sapore, ma ugualmente affascinanti nel loro aspetto a volte inusuale, oltre che elementi utili agli equilibri dell’ecosistema. Di questo ricco e variegato habitat potete trovare un suggestivo spaccato nelle immagini del fotografo calabrese Stefano Contin proposte nella seguente gallery, anteprima della visita ad uno straordinario territorio accessibile (preferibilmente in compagnia di una guida) da uno dei numerosi comuni che rientrano nei confini del Parco (da Alessandria del Carretto o Saracena, per il versante calabrese, a Terranova di Pollino o Viggianello, per il versante lucano, solo per citarne alcuni). [Rocco Mazzolari]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
N.B.: alcune delle varietà di funghi raffigurate nelle immagini non sono commestibili.