Trasferiamoci per un attimo nell’Europa settentrionale, fra le nevi artiche di Rovaniemi, capoluogo della Lapponia, nella parte più a nord della Finlandia, sulle tracce di uomo il cui nome in quasi 1000 anni ha percorso centinaia di migliaia di chilometri in giro per il mondo. A poca distanza da questa piccola città del Polo Nord si trova il celebre Santa Claus Village, meta ogni anno di turisti provenienti da tutto il mondo oltre che destinazione finale delle migliaia di lettere che i bambini spediscono da ogni angolo del pianeta nella speranza che il Grande Vecchio con la slitta e il sacco dei regali in spalla esaudisca a Natale i loro desideri. Lui è lì, in carne ed ossa, a ricevere gli ospiti mentre decine di elfi, quando non sono nel loro laboratorio segreto, lo aiutano a gestire l’intensa attività epistolare. Detto così sembrerebbe l’inizio di una fiaba tutta nordica, concepita in una rigida notte d’inverno da un cantastorie lappone, e invece è solo il punto estremo di arrivo di una storia nata tra i flutti del Mediterraneo, sotto il sole del profondo sud europeo: in Italia.
Cambio di scena. Siamo a Bari, città della Puglia affacciata sul mare Adriatico, quello stesso mare sulle onde del quale, il 9 maggio del 1087, giunsero – trasportate da 62 marinai in caravella – le ossa del vescovo turco Nicola di Myra, vissuto fra il 270 e il 343 d.C. e così chiamato prima che la nuova patria lo tramutasse in S. Nicola di Bari, città italiana dove oggi riposano i suoi resti venerati da cattolici, ortodossi e numerose altre confessioni cristiane. Da questa città del Sud è iniziato il suo lungo viaggio verso una notorietà universale che già da secoli lo vede, oltre che nel resto d’Italia, sugli altari di luoghi come Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Olanda, Romania, Danimarca, Islanda, Svezia, Russia, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Asia, Africa ed Australia. Nicola, da santo protettore dei marinai quale è considerato, è dunque approdato in ogni ‘porto’ diventando il santo più popolare della cristianità.
In questi stessi luoghi però, ad un certo punto della storia, è comparsa quella che per certi aspetti possiamo considerare la controfigura di San Nicola, ossia Santa Claus (metamorfosi anglosassone di Sinterklaas o Sint Nicolaas, come è chiamato in Olanda), per gli italiani Babbo Natale. E’ ormai accertato che la figura del vecchio barbuto vestito in calzoni rossi e giubba rossa orlata di pelliccia bianca – abito ispirato a più antiche raffigurazioni di S. Nicola vestito di rosso ma con gli attributi vescovili ancora ben in vista (come nel Sinterklaas olandese) – sia stato ideato dallo scrittore e linguista newyorkese Clement Clarke Moore, il quale nel 1822 compose la poesia Account of a visit from St. Nicholas descrivendolo come un elfo paffuto, con barba bianca, vestiti rossi, alla guida di una slitta trainata da renne e carica di un sacco di giocattoli. Il testo fu pubblicato in forma anonima sul quotidiano Daily Sentinel Troy della città di Troy (New York) del 23 dicembre 1823, accompagnato da un’illustrazione di Myron B. King, che mostrava Santa Claus in cima a un tetto con la slitta e le renne. In realtà Moore, per la figura di St. Nicholas/Santa Claus è in parte debitore del celebre scrittore Whashington Irving, grazie al quale la figura di San Nicola, particolarmente cara alla comunità olandese di New York, fece il suo ingresso nella letteratura popolare attraverso la sua satirica A history of New York, che pubblicò nel 1809.
Di Irving è debitore anche John Pintard, fondatore della New York Historical Society, il quale nel 1810 pubblicò un opuscolo che proponeva Saint Nicholas quale santo patrono della città di New York e della stessa Historical Society, favorendo la moderna concezione popolare di Babbo Natale basata sulla leggenda olandese di Sinterklaas. Nel libro di Irving, San Nicola porta i doni (per lo più dei frutti) e lo fa in groppa al suo cavallo, secondo la tradizione nordeuropea, ma è con Moore che egli assume le fattezze di un elfo viaggiante su una slitta trainata da renne, inaugurando così la prima immagine moderna del personaggio.Successivamente, nel Natale del 1862, l’illustratore Thomas Nast raffigurò sulla rivista statunitense “Harper’s Weekly” un Babbo Natale con giacca rossa, barba bianca e stivali, immagine che sarebbe presto passata nel mondo della pubblicità fino ad arrivare all’inizio degli anni ’30 alla più nota rèclame della Coca-cola, certo la più famosa elaborazione grafica ma non la prima, curata dall’illustratore Haddon Sundblom. Nasceva così l’immagine moderna di Babbo Natale che altro non è se non il prodotto della fusione, in realtà già da tempo avvenuta, fra alcuni motivi folklorici pagani nordeuropei e le meridionali storie della vita di S. Nicola.
A tale proposito viene spontaneo chiedersi come si colleghi la figura di San Nicola al Santa Claus portatore di doni ai bambini. Per rispondere a questa domanda occorre tornare ancora una volta a Bari, nel Sud Italia. Fino a non molto tempo fa, tra gli abitanti della città adriatica, era diffusa la tradizione secondo la quale S. Nicola, nella notte fra il 5 e il 6 dicembre (anniversario della sua morte), portava doni ai bambini buoni, tradizione simile a quella che si conserva ancora oggi in Olanda dove il Santo arriva accompagnato dal suo asino o da un cavallo (e non dalle renne) e dona caramelle ai bambini che cantano “il lamento di S. Nicola”. Qualcosa di analogo sopravvive anche in Romania dove i bambini la sera del 5 dicembre espongono fuori dalla porta le loro scarpe ben lucidate in attesa che nella notte Nicola le riempia di doni. In quasi tutti i Paesi però questa tradizione è stata poi spostata alla notte della Vigilia di Natale.
Se però nel nord Europa il San Nicola dispensatore di regali riprende anche attributi di altre figure del folklore locale, in Italia questa sua caratteristica si ricollega esclusivamente alla sua fama di persona molto generosa. Alcune sue biografie lo descrivono infatti particolarmente benevolo verso i poveri, e soprattutto verso i bambini. Due episodi in particolare sono rimasti leggendari: quello dei tre sacchetti d’oro donati nella notte ad un pover’uomo che stava per avviare le sue tre giovani figlie alla prostituzione non potendo farle sposare decorosamente, e quello dei tre bambini da lui resuscitati dopo che un malvagio oste li aveva uccisi e messi sotto sale per venderne la carne.
È impressionante notare quale stratificazione di storie, idee, simboli, si celino dietro a quello che oggi è diventato il protagonista di un fenomeno dalle forti connotazioni commerciali. E’ dunque un percorso a ritroso quello da seguire per risalire alle origini ‘meridionali’ del mito di Santa Claus, un mito che a molte persone appare ancora il frutto di una fiaba nordica per bambini, mentre cela in realtà una figura storica – San Nicola di Myra – la cui unica e vera “casa”, da 927 anni, è in Italia, a Bari, pur essendo ormai da tempo immemorabile cittadino del mondo. Lo testimoniano le numerosissime chiese a lui dedicate in tutti i continenti (solo in Italia se ne contano circa 300). Risalire alla vera fonte del mito di Babbo Natale vuole dunque essere un modo per recuperare un patrimonio di fede e di tradizioni in grado di conferire un significato più profondo alla “fiaba” profana, e per scoprire che alla fine del viaggio non c’è una dimora fra le nevi del profondo Nord, ma una splendida chiesa pugliese sulle rive del Mediterraneo.
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ICONOGRAFIA NICOLAIANA FRA SACRO E PROFANO
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