di Alessandro Novoli
Ahmed si addormenta sull’erba dopo la mezzanotte, trascinando la sua borsa nel corso del viaggio che la famiglia sta percorrendo a piedi. Suo zio, che si prende cura di lui da quando suo padre è stato ucciso in Siria, dice che Ahmed è coraggioso e piange solo di rado, la sera. Quella di Ahmed è solo una delle toccanti storie dei tanti bambini rifugiati che nel loro lungo viaggio verso una nuova casa, dormono dove possono. A raccontarle, fra gli altri, è il fotografo svedese Magnus Wennmann, uno dei fotografi selezionati per l’edizione 2016 della celebre mostra internazionale World Press Photo visitabile a Bari, presso la Sala Murat in P.zza del Ferrarese (ticket di ingresso 3 euro) fino al prossimo 23 ottobre.
Quello dei migranti è un tema scottante, soprattutto per l’Italia e per l’Europa in generale, che ritorna anche nell’opera vincitrice del primo premio riservato alle immagini singole: si tratta di Hope for a new life (Speranza di una nuova vita), foto con cui l’australiano Warren Richardson ha immortalato un neonato passato da mani adulte attraverso la barriera di filo spinato che separa l’Ungheria dalla Serbia, scenario evocato anche dall’allestimento realistico con cui l’immagine viene presentata all’interno della mostra barese, straordinaria panoramica fotografica sugli scenari di un mondo in profondo mutamento. “Quella notte – racconta l’autore – dopo cinque giorni in un campo profughi ho visto un gruppo di circa 200 persone che si muoveva nascondendosi tra gli alberi, lungo la barriera del filo spinato. Abbiamo giocato tutta la notte al gatto e al topo. Erano circa le tre del mattino quando ho scattato la foto senza utilizzare il flash per evitare che la polizia se ne accorgesse. Scattai al chiarore della luna”.
Bellezza assoluta di una natura sempre più minacciata e immani tragedie umane da luoghi del pianeta di cui non di rado arriva sino a noi solo un’eco ovattata, si fondono, in questa selezione di immagini, con storie più intime e personali di sentimenti dal segno contrastante. Certo è una mostra che non lascia indifferenti, soprattutto nel suo focalizzare l’attenzione sull’incisività, per lo più negativa, esercitata dall’azione umana sui destini del pianeta e di interi popoli. Un’esposizione di 150 scatti, selezionati tra gli 85mila sottoposti alla giuria da fotoreporter di 128 Paesi, da cui ci si allontana carichi di inquietanti interrogativi su quello che il futuro, e l’uomo chiamato a costruirlo, potranno riservare al mondo.
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