Un fenomeno particolarmente in voga negli ultimi anni in Italia e in espansione soprattutto nelle regioni del Sud, è quello della produzione di birre artigianali. Con questa denominazione ci si riferisce a un prodotto realizzato il più possibile con ingredienti naturali, spesso utilizzando orzo e luppolo provenienti dallo stesso territorio del produttore. Tutto questo contribuisce a creare prodotti unici e assolutamente irripetibili. La birra viene prodotta principalmente con il malto d’orzo e/o con il malto di frumento (e in alcuni casi anche con altri cereali maltati), elementi base ai quali vengono aggiunti luppolo, lievito ed acqua. A questo punto la birra è pronta per essere bevuta ma ha una durata limitata nel tempo.
Per aumentarne la conservazione, nella produzione industriale, il prodotto viene sottoposto ad alcuni trattamenti come la pastorizzazione ed il filtraggio. Vengono così inattivati i microrganismi contenuti nel lievito e filtrata la bevanda, aggiungendo poi degli additivi conservanti e stabilizzanti. Dopo questo trattamento il prodotto può essere movimentato e stoccato senza alcun problema. Le birre prodotte con tecniche industriali, pertanto, si differenziano sostanzialmente da quelle artigianali ad un esame organolettico. La presenza di lieviti attivi, rende invece le birre artigianali un alimento vivo che si evolve nel tempo. Se il tipo di birra lo consente, è possibile addirittura un invecchiamento in cantina per alcuni anni.
Il fenomeno dei birrifici artigianali è rinato negli anni ’80 negli Stati Uniti, dove molti immigrati europei sono riusciti a mantenere in vita alcuni vecchi prodotti europei che altrimenti sarebbero andati perduti. Ma ormai anche in Europa ed in Italia si sta affermando questo fenomeno che ha portato sul mercato prodotti artigianali di elevata qualità.
Sparsi un po’ in tutta Italia esistono molti piccoli birrifici artigianali che producono ottime e talvolta eccellenti qualità di birre. La produzione di un microbirrificio è limitata (in genere si pone il limite a 5000 ettolitri annui, più di recente a 10000 ettolitri). Si possono dividere in due categorie: le MICROBIRRERIE, che in genere non dispongono di un locale di mescita e la cui produzione è in tutto o in gran parte destinata alla vendita a locali e negozi; e i BREWPUB ovvero locali che producono birra per il consumo interno, spesso abbinato ad attività di ristorazione.
Il numero di microbirrifici è in progressivo aumento: nel 2010 hanno superato le 300 unità arrivando a coprire circa l’1% della produzione di birra italiana. Il trend di crescita non accenna a diminuire. Dal 2005 vengono pubblicati una serie di libri volti a una catalogazione del crescente fenomeno.
La produzione dei microbirrifici italiani nel complesso presenta una varietà notevolissima con birre ispirate ai più diversi stili internazionali. Frequente è anche la creazione di birre comprendenti ingredienti inusuali sia come materia fermentabile che come aromatizzazioni, spesso integrando produzioni locali (ad esempio farro, frutta DOP e IGP). Esempio significativo l’uso delle castagne, utilizzate in un numero di birre che non trova riscontri in altre nazioni produttrici, tanto da diventare quasi un simbolo della birra artigianale italiana. In forte crescita anche le contaminazioni con il vino, utilizzando sia botti di legno di secondo passaggio, che mosto d’uva con i suoi lieviti autoctoni. L’uso di produzioni locali in certi casi è esteso anche agli ingredienti tradizionali, con uso di malto ottenuto da cereali locali, maltazione effettuata in proprio e esperimenti con la coltivazione del luppolo. Una grande diffusione sta ottenendo anche il mais, spesso utilizzato dall’industria per contenere i costi, ma che in ambito artigianale diventa una materia prima di alto pregio utilizzando varietà antiche come lo “sponcio”, il “pignoletto” o il “marano”.
Da qualche anno diversi microbirrifici italiani hanno cominciato un’attività di esportazione dei loro prodotti, principalmente sul mercato USA, anche se il mercato europeo si sta dimostrando molto interessante e attento ai prodotti italiani. Alcune delle produzioni artigianali italiane hanno ricevuto un ottimo apprezzamento da parte degli appassionati di birra americani e non, come documentato dai più importanti siti di rating. La continua crescita del fenomeno ha portato ad analisi anche economiche come quella riportata da Fermento Birra a cura di Lelio Bottero o la ricerca congiunta UnionBirrai-Altis che, per la prima volta analizza in modo statistico microbirrifici e brewpub. In Italia si possono contare oggi almeno 517 microbirrifici dislocati su tutta la penisola, con una netta tendenza in crescita nelle regioni meridionali.
LA BIRRA RIULI’ DELLA CALABRESE “NABBIRRA”
In Calabria, regione in cui il fenomeno della birra artigianale è in crescita (fra microbirrerie e brewpub se ne contano almeno una decina), si è fatta notare da un paio di anni per le sue eccellenti qualità organolettiche la BIRRA RIULI’ prodotta da NABBIRRA il ‘beershop con cucina’ di Eraldo Corti con sede a Cosenza in C.so Garibaldi 42. Nabbirra distribuisce la sua preziosa bevanda oltre che presso la propria sede, anche on line (www.nabbirra.it) e presso una serie di ristoranti, pub e agriturismi della zona. Noi abbiamo avuto occasione di assaggiarla la scorsa estate, nel corso di una mega-panzerottata accompagnata appunto da questo ambrato nettare.
Questa birra è stata il frutto di svariate prove casalinghe fatte nel corso di circa cinque anni. E’ ambrata, rifermentata in bottiglia, dal profumo gradevole di pane, miele ed agrumi, con un impatto morbido in bocca che fluisce in maniera naturale verso un amaro elegante, in un finale lungo e soddisfacente. Per farla realizzare, NABBIRRA ha scelto il microbirrificio Aeffe di Castel San Giorgio (Salerno). La scelta è stata dettata soprattutto dalla serietà, precisione e rispetto per il prodotto, che contraddistingue questa piccola realtà.
La birra RIULI’ ha ricevuto un’entusiastica recensione sul sito Beeremotion.com che propone un’ampia panoramica sul fenomeno-birra nel sud Italia e che l’ha così descritta: “…la Riulì sa di “buono” già dall’etichetta. Aldilà dell’accattivante grafica, contiene chiare indicazioni sul lotto di produzione, sulla quantità di IBU presenti (International Bitterness Unit – unità che misura l’amarezza delle birre), sullo stabilimento in cui è prodotta (lo Stabilimento A.F. di Salerno) e addirittura sull’abbinamento ideale. E’ una birra color ambra scuro con riflessi rubino, sormontata da una cremosa schiuma color zabaione. L’olfatto è ammiccante con miele e un prolungato agrumato in prima linea, seguite a ruota da percezioni più scivolose che tirano in ballo una punta di tostato e una di coriandolo. L’avvio è dolce, con il malto che detta legge fin quando la birra scivola in bocca al primo sorso. Frenata finale e irruzione amarostica di scuola americana. Sicuramente concentrato di passione, originalità ed esperienza, la Riulì è una birra moderna, da portare come modello per i giovani homebrewers calabresi che chiedono continuamente “ma ci sono buone birre calabresi?” o da poter finalmente far inorgoglire i gestori delle migliori birrerie calabresi di fronte a qualche avventore che ancora crede che la birra artigianale buona si fermi al Belgio.”
Link utili: www.nabirra.itwww.beeremotion.com