Corso Vittorio Emanuele II, a Crotone, è parte del circuito viario che gira intorno al centro storico occupando quella che fu fascia di rispetto tra l’abitato e le mura spagnole. Vi si affacciano alcune delle più belle chiese cittadine e il monastero di Santa Chiara, gli imponenti palazzi ottocenteschi della nobiltà locale, il vecchio Municipio, il Museo Nazionale Archeologico, il Castello di Carlo V e, purtroppo …, le mura del kastron voluto dai Bizantini durante la guerra greco-gotica (VI sec. d.C.) per proteggere gli uffici amministrativi e, forse, la sede del vescovo.
Lo storico di quello scontro epocale, Procopio, attesta espressamente che nel 547 la flotta giustinianea non si trattenne nel porto perché la città era priva di fortificazioni – dismesse le mura di Kroton fin dal III sec. a.C., non si era più reso necessario costruirne di nuove fino ad allora –, mentre appena cinque anni più tardi le milizie imperiali e la popolazione resistettero per mesi all’assedio dei Goti asserragliandosi nella cittadella, in attesa dell’arrivo degli aiuti partiti dalla Grecia.
Ha del miracoloso la sopravvivenza fuori terra di un lembo non irrisorio di quel circuito murario che, in coerenza con le pratiche edilizie del VI secolo, reimpiega esternamente spolia sottratte all’edilizia monumentale anteriore, nel caso specifico magno-greca, per realizzare un possente muro a sacco entro doppio paramento di blocchi in calcarenite locale messi in opera su assise regolari, disposte alternativamente di testa e di taglio.
La ‘scoperta’ risale agli anni ’90 del secolo scorso e presuppone il bombardamento aereo alleato che il 23 febbraio del 1943 colpì, tra gli altri edifici cittadini, anche le Case Cammariere e Cantafora, riducendole in macerie. Quelle macerie rimasero intatte fino al 1997, quando il Comune di Crotone, di concerto con la Soprintendenza Archeologica, acquisita la proprietà dell’area, decise di musealizzarla e dare evidenza alla persistenza in situ, parallelamente a Corso Vittorio Emanuele II ma arretrato di pochi metri, di un muro corrente in senso E/O per una lunghezza ca. 15 che le Case citate avevano inglobato al proprio interno benché poderoso.
La larghezza attuale (spessore m 1,90), peraltro, risultò essere poco meno di metà di quella originaria, pari a ben 4 m, dato emerso nel piccolo saggio di scavo condotto sul versante interno della fortificazione. Fu appurato, infatti, che precocemente la struttura muraria aveva subito un taglio longitudinale utile a dimezzarne l’ingombro, sul versante nord (= verso la città), fino ad una quota costante, per poi subire sorte diversa in rapporto con gli edifici residenziali sorti in suo luogo dopo la dismissione.
Quest’ultima non rimonta, altresì, all’alto Medioevo, poiché le strutture della cittadella bizantina ebbero una lunga vita: è probabile che il tratto riemerso fortunosamente nel 1997 coincida con il rebellino de S.cta Clara attestato dalle fonti documentali tardo-quattrocentesche, corpo avanzato che doveva proteggere la porta ovest del borgo prima della costruzione della munitissima cinta bastionata cinquecentesca, più ampia delle precedenti. Finito intra moenia, il possente muro rettilineo d’impianto proto-bizantino ma che in parte aveva mantenuto la sua funzione fino al ‘400 fu poi fagocitato dall’edilizia residenziale privata dei secoli XVII-XX.
Dal 1997, dunque, il centro storico di Crotone vanta anche questo tra i suoi monumenti e finalmente nel 2016, con il POR Calabria – FESR 2007/2013 – Prog. “Circuito delle aree archeologiche urbane” Arkeo Urbe, “Valorizzazione delle aree archeologiche urbane nei siti di Banca Popolare di Crotone, Municipio e Mura Bizantine”, si è tornati a mettere mano nel sito, degradato dalle conseguenze dell’incuria totale in cui l’amministrazione comunale l’aveva lasciato precipitare.
Finalmente è stato messo in programma il restauro delle strutture, mancato nel 1997 per carenza di fondi, ma a questo e al ripristino dei discutibili rivestimenti dei muri perimetrali delle Case Cammariere e Cantafora rasati e lasciati in posto si è aggiunta la decisione, del tutto inopportuna, di estendere la pavimentazione dello spazio antistante il prospetto sud del muro bizantino fino ai blocchi del paramento, nascondendo perciò alla vista il più basso dei tre filari superstiti fuori terra. Il magrone e la rete elettrosaldata utile a rinforzare il sottofondo del piancito sono stati addossati ai conci in modo che essi appaiono, oggi, annegati nella pavimentazione stessa.
Che valorizzazione è mai questa che sottrae alla collettività, senza motivo, ciò che le era stato concessi vent’anni prima, mentre in nome della fruizione diretta mette a repentaglio l’incolumità del monumento e dei suoi frequentatori? Eliminata la fascia di rispetto intorno alla struttura, infatti, già delimitata da una balaustra metallica, è ora possibile non solo accostarsi al muro e vandalizzarlo ma anche scalarlo e raggiungerne la sommità. Bipedi e quadrupedi, nonostante lo scarso senso civico dimostrato fin qui da alcuni residenti del quartiere, dato che non sfugge ai progettisti, hanno dunque la possibilità di fruire del monumento senza restrizioni, neppure quelle dettate dal comune buon senso, senza che da parte degli enti preposti alla conservazione del manufatto e alla salvaguardia della salute pubblica si faccia una piega.
Bisogna che i monumenti tacciano, non suscitino emozioni, non si distinguano dagli arredi urbani replicati in milioni di esemplari e messi in opera, spesso, solo per riempire gli spazi. Questo lo spirito che sembra avere animato i tecnici comunali e dell’amministrazione statale dei beni culturali coinvolti nella “valorizzazione delle aree archeologiche urbane” promossa da Arkeo Urbe.
Le associazioni culturali crotonesi Gettini di Vitalba e Sette Soli, con cui la scrivente collabora, hanno scritto al ministro Franceschini una vibrata protesta in nome delle ragioni della tutela dei beni culturali non meno che dell’incolumità dei cittadini. Non hanno mancato di sottolineare, fra l’altro, come il disconoscimento oggettivo dello scopo dichiarato nel titolo del progetto lo renda immeritevole delle risorse erogate dalla UE, che sarà interpellata al riguardo. È stato chiesto al Ministro, pertanto, l’immediato smantellamento della parte ‘eccedente’ della pavimentazione, in modo da liberare dalla stretta mortale del cemento la parte bassa del paramento sud del muro proto-bizantino.
Più in generale, ciò che allarma le Associazioni è il disimpegno del MiBACT nei riguardi dei beni culturali crotonesi intervenuto da qualche mese in qua – la tutela sembra non essere più una priorità del MiBACT, e di questo passo neppure una competenza –, con conseguenze gravissime sia in città sia a Capo Colonna proprio ora che l’attenzione verso il promontorio Lacinio è diventata istanza collettiva, come dimostra il primo posto assoluto nella classifica nazionale provvisoria del censimento FAI “I Luoghi del Cuore”.
Nessun sito, però, può essere sacrificato senza ragione e, tornando alle mura giustinianee di Corso Vittorio Emanuele II, nulla deve distoglierci dalla convinzione profonda che “Bisogna che i monumenti cantino”, come scrive giustamente Paul Valery nei suoi Cahiers. La memoria storica, infatti, “non è un fondo immobile in grado di comunicare comunque” ma “bisogna sapere come farla riaffiorare, va continuamente ri-narrata perché se il patrimonio storico-culturale non entra in relazione con la gente declinando linguaggi diversi e parlando a tutti rischia di morire incapace di trasmettere senso e identità ad una comunità…”
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* Margherita Corrado, calabrese, è nata a Crotone nel 1969. Si è laureata in Lettere Classiche (indirizzo archeologico) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e specializzata presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera. Romanista di formazione, ha prestissimo orientato i propri interessi verso l’età post-classica, con particolare riferimento all’alto Medioevo di marca bizantina. Dopo un lungo tirocinio nel volontariato archeologico, dal 1996 lavora come collaboratrice esterna per la Soprintendenza Archeologica della Calabria.