La veria storia del piatto più amato del mondo. Riacceso a Capodimonte l’antico forno borbonico
di Kasia Burney Gargiulo
La versione ufficiale della storia ha sempre voluto che la pizza napoletana nota come Pizza Margherita – con pomodoro, mozzarella e basilico – fosse stata inventata nel 1889 in omaggio alla Regina Margherita di Savoia, consorte del re d’Italia Umberto I. A renderle omaggio il pizzaiolo Raffaele Esposito, imparentato con i Brandi (quelli dell’omonima pizzeria ancora esistente a Napoli) il quale, convocato alla Reggia di Capodimonte, avrebbe creato questa pizza ‘intitolata’ alla Regina ispirandosi ai tre colori della bandiera italiana. La pizza avrebbe quindi la veneranda età di 126 anni. In realtà, una più attenta ricerca nelle fonti storiche permette di assegnare alla pizza più conosciuta ed amata nel mondo un’età ben più vetusta, pur senza negare il reale – ma solo successivo – coinvolgimento della Regina Margherita.
Ne saranno felici i militanti delle diffuse ”fronde” neoborboniche, perchè risulta che la pizza con le caratteristiche della Margherita veniva già preparata circa un secolo prima per la regina Maria Carolina d’Austria, consorte di Ferdinando IV di Borbone re Napoli (Ferdinando I delle Due Sicilie, dopo il congresso di Vienna). Pare infatti che costei, ‘iniziata’ alla pizza dal marito Ferdinando, fosse diventata un’estimatrice in particolare di quella preparata con pomodoro e mozzarella di bufala proveniente dalla regia tenuta di Carditello, e che le piacesse talmente tanto da ordinare la costruzione di un apposito forno nella propria Reggia, cosa che anni dopo fece anche Ferdinando II di Borbone, il cui forno – successivamente utilizzato per la Regina Margherita di Savoia – in questi giorni tornerà a funzionare a Capodimonte, come vi raccontiamo qui di seguito.
Circa la data di origine, si può verificare infatti come la stessa Commissione Europea, nell’assegnare alla pizza napoletana il marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita), riporti che la Margherita è nata a Napoli negli anni tra il 1796 e il 1810. Questa pizza, pertanto, ha più di due secoli, e Raffaele Esposito non fece altro che ‘riciclare’ un vecchio must napoletano del gusto fingendo di ispirarsi ai tre colori della bandiera italiana e facendone omaggio alla regina d’Italia che a quella pizza avrebbe dato per sempre il suo nome. Certo se Maria Carolina avesse solo immaginato che la pizza da lei tanto amata avrebbe finito con l’acquisire il nome di una rappresentante del casato reale destinato a spodestare i Borboni, come minimo ne avrebbe bandito la cottura da ogni angolo del Regno.
In base al canone fissato dalla Commissione Europea attingendo alla tradizione napoletana, la vera Margherita si presenta come una pizza di forma tonda, dalla consistenza morbida, caratterizzata da un bordo alto, conosciuto con il termine di “cornicione”. L’impasto deve essere realizzato con sola acqua, farina, lievito e sale. Deve essere infine condita con pomodoro e mozzarella STG o mozzarella di bufala D.O.P. Fondamentale è la cottura in forno a legna, non essendo ammesso l’uso di quello elettrico.
Ma vediamo cosa racconta la versione ‘borbonica’ della leggenda sulla nascita della pizza al pomodoro, mozzarella e basilico: pare che ad aprire alla pizza le porte della reggia di Capodimonte, durante il regno borbonico, sia stato proprio Ferdinando IV, popolarmente noto come Re Nasone, sovrano amatissimo dalla plebe cittadina per il suo fare molto ‘alla mano’. Si racconta che Ferdinando, nel 1778, incuriosito dal modo in cui veniva offerta la pizza ai napoletani, si fece condurre a sorpresa in una pizzeria della salita S.Teresa, per la precisione quella molto dimessa gestita da un certo Antonio Testa, detto ‘Ntuono da amici e clienti, il quale si sentí onoratissimo di far assaggiare all’illustre ospite le diverse pizze di sua produzione. Pare che però a colpire maggiormente il sovrano sia stata una pizza molto semplice, condita con pomodoro, mozzarella e qualche fogliolina di basilico.
La nuova ‘scoperta’ del re ebbe ampia risonanza a corte, coinvolgendo anche la Regina Maria Carolina, e il gossip dell’epoca racconta che Ferdinando sia stato visto spesso girare per le pizzerie napoletane fino alla morte, avvenuta nel 1825. Si racconta inoltre che la visita e l’approvazione da parte del Re abbiano fatto la fortuna di ‘Ntuono, il pizzaiolo di S.Teresa, il cui piccolo locale venne preso letteralmente d’assalto da nobili, dame e cavalieri, ansiosi di imitare la scelta del Sovrano. Da cibo dei poveri la pizza era dunque stata promossa a regale status symbol dell’intera corte. L’interesse borbonico per la pizza tornò successivamente a rifiorire sotto Ferdinando II, nipote del vecchio Re Nasone, il quale fece a sua volta costruire nella Reggia di Capodimonte un grande forno a legna la cui realizzazione fu affidata a Domenico Testa, figlio dell’ormai anziano ‘Ntuono, il primo pizzaiolo amato dai Borboni. Di questa nuova ‘investitura’ esiste la cronaca scritta dal grande letterato napoletano Salvatore Di Giacomo che raccolse testimonianza dallo stesso Domenico Testa:
Il forno fu fabbricato nello stesso bosco di Capodimonte: le pizze furono preparate e le si mise al forno mezz’ora dopo la mezzanotte. Dopo due o tre minuti eccoti lì, con quattro o cinque dame di Corte, la regina: arrivano poco dopo altre dame velate e in tutto don Domenico ne conta venti. La regina mangia con buon appetito una pizza da due grana, le dame la imitano ridendo, i domestici servono vino bianco e arance, ricomincia il ballo in Palazzo e la visione scompare.
Resta accanto a don Domenico un bel signore bruno e alto, che gli domanda sottovoce: – Che impiego vorreste? Don Domenico era vanitosetto: preferì d’ avere un’ onorificenza e rispose al signore misterioso: – Vorrei chiamarmi munzù! “ [denominazione francesizzante riservata ai cuochi delle famiglie aristocratiche – NdR]
dalle Opere di Salvatore Di Giacomo
Tornato a funzionare l’antico forno borbonico della Reggia di Capodimonte
Memori di questo lungo passato storico della specialità italiana più famosa nel mondo, e soprattutto per rispondere con un gesto simbolico alle polemiche sollevate di recente dalla trasmissione di Rai 3 Report che accusava molte pizzerie di non curare bene la salubrità di questa pietanza, domenica 8 febbraio 2015 alle 12.30, nel corso della trasmissione di Rai1 Linea Verde, è andata in onda in diretta da Napoli la riaccensione rituale del forno borbonico del Palazzo Reale di Capodimonte. A raccontare la grande tradizione gastronomica partenopea i pizzaioli Enzo Coccia, Eduardo Ore ed Emanuele Corona, i quali hanno rievocato la nascita ‘ufficiale’ (almeno nominalmente) della pizza Margherita sotto i Savoia, ma senza dimenticare che il forno acceso per l’occasione fu voluto da Ferdinando II° di Borbone, continuatore di una tradizione di famiglia nata con Ferdinando IV e Maria Carolina, come ho raccontato sopra.
Eduardo Ore, che ha già utilizzato in un’altra occasione il forno di Capodimonte, dichiara di aver provato una forte emozione nel riaccendere questo forno storico, al punto che nel dar fuoco al piccolo cumulo di fascine e legna nel forno si sentiva tremare le braccia, le mani e il cuore, soprattutto ripensando alla storia secolare che si cela dietro un alimento semplice e gustoso come la pizza.
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