di Kasia Burney Gargiulo
Sono circa 43 anni che i celebri Bronzi di Riace sono venuti alla luce dalle azzurre acque del Mar Jonio calabrese e in questi decenni è stato tutto un susseguirsi di teorie sull’identità dei personaggi rappresentati e su quella dell’artista o degli artisti a cui se ne deve la creazione. Fra le varie ipotesi formulate fino ad oggi da studiosi italiani ed esteri, una delle più accreditate è quella dello storico dell’arte greca e romana Paolo Moreno basatosi su una consistente quantità di dati certi riguardanti lo studio delle terre di fusione ed alcuni documenti storici. Secondo Moreno, lungi dal rappresentare eroi, atleti o altri personaggi storici, le due grandi statue (di 205 e 198 cm.) sarebbero la raffigurazione di personaggi mitologici appartenenti ad uno stesso gruppo statuario.
Analizzando la terra estratta dalle cavità interne, si è scoperto che quella presente nel bronzo A proviene dalla pianura dell’antica città di Argo del V secolo a.C., mentre quella presente nel bronzo B proviene dall’Atene dello stesso periodo. A questo dato Moreno assomma lo studio dei documenti storici di Pausania, che tra il 160 e il 177 scrisse una specie di guida turistica della Grecia, nella quale ad un certo punto parla di un monumento presente nell’agorà di Argo e dedicato all’impresa dei Sette contro Tebe, gli eroi che fallirono l’impresa, e agli Epigoni (i loro figli) che affrontarono nuovamente l’impresa con successo; un gruppo scultoreo formato da una quindicina di statue, delle quali avrebbero fatto parte i due Bronzi di Riace, adornate di lance, elmi, spade e scudi (come si evince anche da alcune caratteristiche dei Bronzi e da frammenti metallici emersi dagli stessi fondali di Riace). Il Bronzo A (detto il giovane, coi capelli lunghi e inanellati) raffigurerebbe Tideo, feroce eroe dell’Etolia, figlio del dio Ares e protetto dalla dea Atena. Il Bronzo B (detto il vecchio) sarebbe invece Anfiarao, il guerriero che profetizzò la propria morte sotto le mura di Tebe. A realizzarli sarebbero stati rispettivamente Agelada, scultore di Argo che lavorava presso il santuario di Delfi verso la metà del V secolo a.C. e Alcamene, scultore originario di Lemno, onorato della cittadinanza ateniese per la sua bravura artistica.
La teoria di Moreno, come altre, ci riporta ad una origine ellenica dei Bronzi, sebbene non sia mancato chi, come l’archeologo Daniele Castrizio, ha parlato invece di una origine magno-greca delle due statue. Castrizio, in particolare chiama in causa lo scultore Pitagora di Reggio, che – come scrive Plinio il Vecchio – era “capace di rendere come nessun altro i riccioli di barba e capelli, e per fare “respirare” le statue, cioè rendere perfetta l’anatomia dei vasi sanguigni”. In particolare i personaggi raffigurati sarebbero Eteocle (bronzo B) e Polinice (bronzo A), figli gemelli di Edipo.
Ma l’affascinante ”gioco” delle attribuzioni e delle identità non finisce qui. Nel numero di gennaio 2015 (n. 359) della nota rivista archeologica Archeo, è stata avanzata una nuova e rivoluzionaria ipotesi interpretativa che certamente farà molto discutere. La nuova tesi cerca di dare una risposta anche ad altri aspetti finora poco presi in considerazione, come ad esempio quello del luogo del ritrovamento, della assenza di tracce della nave che avrebbe trasportato le due statue e presumibilmente naufragata, dei presunti luoghi di partenza e di destinazione della nave stessa. A tali quesiti qualcuno aveva già risposto ipotizzando, in alternativa all’idea del naufragio, quella dello scaricamento in mare delle due pesanti statue al fine di alleggerire il carico della nave, inquadrando il tutto in quel periodo di intensi traffici dalla Grecia all’Italia, fra il I° sec. a.C. e il I° sec. d.C., volti ad acquisire alle collezioni di ricchi cittadini romani preziosi pezzi di antiquariato sottratti in Grecia alle loro sedi originarie. Senonché, a parte la stranezza del luogo del ritrovamento, ci si chiede come mai, in un caso del genere, quelle opere abbandonate a pochi metri dalla riva, non siano poi state più recuperate. Altro spunto di riflessione viene dalla constatazione che parte delle braccia del Bronzo B rivelano una fusione diversa dal resto della statua e sicuramente di epoca successiva, evocando una sostituzione di parti danneggiate a seguito di qualche evento avvenuto nel luogo originario di esposizione.
Da queste considerazioni prende le mosse la nuova tesi di recente formulata da Giuseppe Roma, studioso di antichità cristiane presso l’Università della Calabria, il quale cambiando prospettiva cronologica di ricerca (non più dal presunto naufragio al momento della fusione delle statue, bensì dal loro ingresso in mare fino ad oggi), finisce con l’intersecare alcune manifestazioni locali del folklore e della tradizione religiosa invocando un importante rito che si tiene ogni anno a Riace (Reggio Calabria) nella seconda domenica di maggio e dedicato ai S.S. Cosma e Damiano, noti anche come i Santi Medici.
La cerimonia di Riace consiste in una processione che dal Santuario dei S.S. Cosma e Damiano si dirige verso la riva del mare. Da qui essa prosegue sull’acqua attraverso una barca che conduce le sacre reliquie in un punto detto ”la scogliera dei Santi Cosma e Damiano”, toponimo coincidente con il luogo della scoperta nel 1972 dei Bronzi di Riace. Da uno studio sulle modifiche nei secoli della linea di costa, sarebbe emerso come in antico questa fosse più avanzata di circa 500 metri rispetto a quella attuale, occupando e persino superando il luogo del ritrovamento dei Bronzi. Questo cosa consentirebbe di evincere? Che quelle statue in realtà si trovassero sulla terraferma e che siano finite in mare a seguito della erosione della costa. E’ probabile infatti che fossero state sepolte in una fossa per sottrarle alla reazione cristiana contro i pagani fra il V e il VI secolo. Del resto non sarebbe il primo caso di statue di divinità poste al riparo nel sottosuolo per preservarne il culto.
Giuseppe Roma ritiene dunque che ci sia un collegamento fra il luogo marino di svolgimento del rito cristiano dei Santi Medici e quello in cui per secoli giacquero le due statue dei Bronzi. Non sarebbe pertanto un caso che proprio lì sia prevista una immersione in mare delle reliquie dei Santi Medici, segno di una valenza sacrale antichissima di quel luogo. Ma come sarebbe avvenuto il passaggio dal culto delle due ipotizzate divinità pagane a quello dei Santi Medici? A tal proposito lo studioso chiama in causa il diffuso e noto ‘rimpiazzo’ sincretistico del culto dei Dioscuri con quello dei due santi guaritori cristiani. Questo consentirebbe in sostanza di affermare che i Bronzi di Riace altri non sarebbero che i gemelli Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda, e che il ricordo del loro culto sarebbe filtrato nel rito cristiano dei Santi Medici. Ad ogni modo, Roma prende in considerazione anche l’ipotesi che le due statue greche, di diversa ed ignota identità originaria, possano essere state trasformate con appositi restauri nell’immagine dei due divini gemelli. Del resto, che il culto dei Dioscuri non fosse estraneo a quest’area della Calabria lo dimostra il magnifico gruppo scultoreo del Museo Archeologico di Reggio, proveniente dalla vicina città di Locri Epizephiri e raffigurante Castore e Polluce che scendono da cavallo nella battaglia della Sagra, celebre scontro fra Locresi e Crotiniati avvenuto tra il 560 e il 530 a.C.
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