Altero il mio pensiero spicca il volo, mentre seduto tra i miei cari monti osservo l’orizzonte del Mar Jonio. Le mie radici antiche vibrano al suono dei ruscelli che dall’ombra dei boschi giunge lieto al mio udito…
Ci sono parole dotate del potere evocativo tipico delle immagini e immagini che hanno la forza sottile e penetrante del linguaggio poetico-letterario. Attraverso le une e le altre si può provare a catturare l’eco di una civiltà, quella della Magna Grecia, che per noi ha la consistenza del Mito, tale è la distanza temporale che da essa ci separa, ancor più accentuata dall’oblio e dall’indifferenza. Eppure i luoghi in cui essa è fiorita quasi 3000 anni fa sono ancora là e, anche quando sottoposti a irrimediabili trasformazioni, non smettono di raccontarne la storia. Ed è proprio ai luoghi, ai paesaggi, culla e ispirazione delle azioni umane, che abbiamo rivolto la nostra attenzione, pronti a raccogliere il suono di quell’eco, che la poesia e la fotografia hanno la capacità di amplificare. I testi che accompagnano le immagini sono una rielaborazione in prosa moderna dei versi ottocenteschi, semplici e sentiti, del poeta calabrese Biagio Miraglia*, patriota e poeta d’ispirazione romantica, cantore della sua terra dalla solitudine dell’esilio piemontese, mentre le immagini sono del giovane fotografo Stefano Contin, che nei luoghi dell’antica Magna Grecia trova una delle sue principali fonti di ispirazione.
Il sole che muore manda al colle dei cipressi i suoi ultimi raggi, mentre la rosea e palpitante acqua del mare lo stringe in molteplici abbracci…
Sogno sempre i boschi delle mie montagne, il mio splendido sole, le rive joniche e le campagne, seminate di gigli e di viole, là dove l’aloe gigante e i mirteti coprono la tomba di famose città e dove fra palme, aranci ed uliveti si annidano la tortora e la colomba…
Vedo il nibbio volare alto, e poi in cerchio mentre cerca il nido al morire del giorno. Fra le ombre vedo i fuochi dei pastori brillare di vetta in vetta in un infinito giro…
Quale diletto è la memoria…E’ questa l’ora! Soave è la sera, l’eco dei monti risponde sonora alla preghiera che innalzano al cielo i naviganti, mentre la scura prua fende l’onda che si contorce in ruggenti vortici…
Odo in lontananza il mormorio dei venti fra i pini come il suono di cento arpe, mentre il ruggito dei torrenti risuona nelle valli come fragore di esercito che avanza…
Sullo sfondo del vasto cielo e di aperti orizzonti si stagliano cime coperte di nevi longeve. Bella e sacra è la sommità dei monti, là dove la terra si congiunge al cielo…
Arcane voci, nate nel fondo delle nere foreste e dei burroni, risuonano nell’intimo del mio cuore, come l’eco di misteriose canzoni…
Nelle soavi notti d’estate, con la mente piena di greche fantasie, spesso a cavallo ho seguito te che verso il mare andavi…
E mentre davanti al mio sguardo s’apriva uno scenario di colli e di marine, alla mia mano distratta sfuggì il freno, e il mio cavallo, con la criniera al vento, presto scattò al galoppo, trascinando me avvinto alla sua groppa. Sotto i colpi dei suoi zoccoli ferrati sembrò che il suolo s’aprisse come tomba percossa e scoperchiata, lasciando uscire un popolo infinito di spettri che muto dilagava per i campi, e rividi le antiche città sorgere sulla costa, e apparire sul mare lampi e triremi. Intanto quella folla di fantasmi s’apriva come una falange obbediente e ne udivo lo scalpitio mentre fulmineo procedevo innanzi. Così godeva la mia fantasia, immersa in quelle visioni di tempi ormai morti, e quasi fosse creatrice di mondi, la mia anima popolava quei luoghi oggi deserti…
Abbarbicate sugli altissimi monti, come neri padiglioni vegetali, le foreste Bruzie superbamente agitano al vento le loro chiome. Nell’oscurità delle loro ombre la pelasgica stirpe italica nascose i suoi destini e là, quale vergine mai vinta, ancora siede, e non vista scruta malinconica le onde marine, tumultuose come il tempo che scorre, così come scorrono gli imperi, da un flutto sollevati e da un altro ingoiati trascinando con sé numi, riti e popoli stranieri, dall’audace pellegrino di Troia allo spavaldo Franco…
Sento spirare un vento che come un malinconico canto riecheggia facendosi strada nel chiuso della mia anima. L’avverto intensamente dentro come un tumulto…è la voce della mia Calabria, e come l’ultima brezza dei boschi, l’ultimo suono di un’amata armonia, giunge fino al mio cuore.
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*L’opera di riferimento per i testi è “L’eco della Magna Grecia. Poesie di Biagio Miraglia da Strongoli”, ed. G. Marzorati, Torino, 1858