“La Calabria è un grande giardino, uno dei luoghi più belli che si possano trovare sulla terra…”
Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi, 1852
di Redazione FdS
C’è stato un tempo in cui in uno degli estremi lembi della costa calabrese jonica, a Brancaleone (Reggio Calabria), nelle notti tardo primaverili ed estive, parevano concentrarsi i profumi di tutti gli antichi giardini arabi di Cordova e Palermo. Un sottile ed avvolgente profumo di gelsomino aleggiava fra il borgo sulla collina e il mare, quello stesso azzurrissimo mare dove oggi depongono le uova le sempre più rare tartarughe marine e dove visitatori d’ogni parte del mondo s’immergono nei periodi di vacanza. A ricondurci in questi luoghi è stata una nostra conversazione con Domenica Minniti Gonias, docente di linguistica italiana all’Università di Atene e calabrese doc nonchè membro del Comitato d’Onore della nostra rivista.
Il gelsomino fece a Brancaleone la sua prima apparizione solo nel 1927, quando arrivarono le prime piante, ma nell’arco di qualche decennio, vaste aree del territorio comunale furono dedicate a questa coltura che, successivamente, grazie al clima favorevolissimo, si diffuse anche nella vicina Bruzzano Zeffirio, a Bova Marina e negli altri centri della zona circostante, cioè da Palizzi fino a Siderno. In realtà è probabile che il suo sia stato solo un ritorno, perchè il gelsomino non fu ignoto alle antiche popolazioni che abitarono queste terre. In particolare lo Jasminum officinalis – il cui olio i Persiani usavano offrire agli invitati nei banchetti – fu noto anche agli antichi greci e romani, che in materia di raffinatezze non erano secondi a nessuno. Ma la storia legata a questo straordinario fiore e a questo tratto di costa calabrese nota come Riviera dei Gelsomini, è una storia tutta novecentesca. E soprattutto è una storia legata alle donne, le gelsominaie, donne di un’età compresa fra i quindici (e a volte anche meno) e i cinquanta anni. Le loro piccole mani e la delicatezza dei gesti necessari a staccare dallo stelo quei preziosi fiori, le rendevano particolarmente adatte al ruolo. Fu un mestiere che a quel tempo – parliamo soprattutto del periodo compreso fra gli anni 40 e 60 – queste donne calabresi affrontavano con la convinzione e l’impegno di chi sapeva che nella vita nulla poteva darsi per scontato e che tutto andava guadagnato, anche a costo di grandi sforzi.
Ed il mestiere delle gelsominaie era tutt’altro che leggero. La loro giornata iniziava alle due del mattino, quando in gruppi raggiungevano i terreni di coltura prima che il sole giungesse a rovinare i teneri fiori, a quell’ora nel massimo del loro profumo. Il gesto correva dalla pianta alla grande tasca sul grembiule, che poi veniva svuotata in ceste di canna o vimini con cui si portavano i fiori alla pesatura. Il tempo trascorreva fra la raccolta, la potatura, la preparazione di talee per nuovi impianti e la cura dei neonati che le mamme senza un aiuto tenevano con loro, spesso addormentati nelle stesse ceste adagiate fra i solchi. Ogni tanto si fermavano per dissetarsi ed allora i filari di gelsomini si popolavano di ragazzini, i portatori d’acqua fra gli otto e i quattordici anni che porgevano gli orci per il refrigerio. Nelle otto ore di lavoro (si terminava alle 10 del mattino) il profumo si mescolava al canto che scandiva il ritmo delle mani su quei piccoli, fragili, fiori.
Ci sono immagini dell’epoca che ci mostrano queste donne chine fra i lunghi filari convergenti verso l’orizzonte ancora immerso nelle brume mattutine, disposti parallelamente per circa un centinaio di metri, da cui ogni giorno venivano raccolte grandi quantità di profumatissimi fiori. Un lavoro immane se si pensa che per farne un chilo se ne dovevano raccogliere circa 7300; eppure v’erano donne capaci di raccoglierne fino ad 11 o 12 chili al giorno. Nelle giornate di pioggia la raccolta diventava particolarmente difficoltosa perchè i piedi nudi (le donne usavano lavorare scalze) affondavano nel fango rallentando i movimenti. Eppure resistevano: stanche, provate, ma fiere del loro lavoro.
Con la coltura del bergamotto e di altri agrumi, i gelsomini hanno caratterizzato al lungo il borgo di Brancaleone costituendo una importante risorsa economica per gli abitanti del luogo e per le migliaia di gelsominaie che a frotte arrivano dagli altri paesi per la raccolta. Grazie a queste donne, quella preziosa materia prima e il nome stesso di Brancaleone viaggiarono per decenni in tutta Europa. Sebbene oggi la produzione sia in via di estinzione a causa degli alti costi, esistono ancora nel borgo calabrese le distillerie in cui si lavoravano il gelsomino e il bergamotto, la cui essenza veniva esportata anche all’estero e utilizzata in profumeria, farmacia, gastronomia e nell’artigianato dolciario. Un successo che si dovette soprattutto a quelle donne temprate dalla vita e dal lavoro, emblematico esempio del carattere indomito delle donne di Calabria. Ad esse va il grato ricordo di Fame di Sud.
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