di Redazione FdS
In una Calabria che sconta ampi ritardi nella narrazione moderna della sua storia e del suo patrimonio culturale, andiamo a scoprire uno straordinario capolavoro d’arte che si trova a Mileto, oggi borgo di poco piĂą di 6 mila anime in provincia di Vibo Valentia ma un tempo splendida capitale di un regno, quello di Ruggero, della dinastia normanna degli Altavilla. Vale dunque la pena soffermarsi un attimo su questo luogo e, ripensando all’epopea normanna in Italia, notare come il nome di Ruggero, figlio di Tancredi d’Altavilla e fratello di Roberto il Guiscardo, venga per lo piĂą associato alla conquista della Sicilia occupata dai musulmani e al suo ruolo di primo Conte dell’isola col nome di Ruggero I di Sicilia (1062); viceversa resta meno nota la sua vicenda calabrese che lo vede legato alla figura del fratello nella conquista del Sud Italia, allora per gran parte sotto il dominio bizantino. Nel 1059 lo troviamo infatti nel castello di Mileto (Vibo Valentia), centro di origine bizantina dove stabilì la sua residenza e la sua corte e dove nel 1061 sposò Giuditta d’Evreux. Sempre a Mileto, dopo aver assunto il titolo di Gran Conte di Calabria e di Sicilia – e pochi anni prima di diventare il vero sovrano del regno normanno, alla morte del fratello di cui era vassallo – chiese ed ottenne nel 1081 da Papa Gregorio VII la fondazione della diocesi di Mileto, prima sede episcopale latina del Meridione. In quegli anni riuscì a rendere la cittĂ Â una dei centri piĂą importanti non solo della Calabria, ma dell’intera Europa, ma di quello splendore – a causa di numerosi e devastanti terremoti – oggi permangono poche tracce, soprattutto nei resti di una cattedrale, fondata nel 1081, e in quelli dell’abbazia benedettina della SS. TrinitĂ , luogo dove si vuole Ruggerò sia stato sepolto dopo esser spirato nel 1101 col conforto di S. Bruno di Colonia, fondatore dell’Ordine Certosino. L’area occupata dalla cittĂ antica oggi è un grande sito archeologico medievale ancora denso di incognite ma prodigo di reperti, ritrovati soprattutto negli ultimi anni con l’intensificarsi degli scavi. Non mancano tuttavia tracce di epoca precedente come i resti di una villa romana del II secolo d.C. ubicata a poca distanza dalla via consolare Annia Popilia, importante via di comunicazione romana che univa Reggio al nord della Calabria ed al resto della penisola italiana.
Tappa centrale del nostro viaggio alla ricerca dell’opera d’arte di cui vogliamo parlarvi è il Museo Statale di Mileto, che grazie a una convenzione tra il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, la Diocesi di Mileto-Nicotera–Tropea, l’amministrazione provinciale di Vibo Valentia e il Comune di Mileto, è stato inaugurato nel 1997 per raccontare la storia civile e religiosa di Mileto. Ubicato a fianco della centrale Cattedrale di Santa Maria Assunta, il Museo è ospitato in un’ala del Palazzo Vescovile,  la cui costruzione, iniziata con il vescovo Capece Minutolo (1792-1824), venne portata a termine intorno al 1860. Le opere esposte abbracciano un arco temporale compreso tra l’etĂ tardo-imperiale e il XIX secolo, e sono distribuite su due piani. Si parte dal piano terra dove sono esposti i reperti di etĂ romana, presumibilmente provenienti dal sito dell’antica Hipponion/Valentia, e quelli medioevali riconducibili all’ex abbazia benedettina della SS. TrinitĂ e all’antica Cattedrale, come frammenti di vetrate policrome e un ricco corpus di capitelli di arte normanna (XI-XII secolo). Al secondo piano (prima sala) troviamo le testimonianze trecentesche, costituite dai resti dei monumentali sarcofagi di Ruggero Sanseverino e di Giovanna d’Aquino e da altre opere attribuite al cosiddetto “Maestro di Mileto”, mentre le altre quattro sale sono dedicate alla collezione d’arte sacra, che comprende paramenti sacri, dipinti a carattere dvozionale, raffinate argenterie, un turibolo del XV secolo, una navicella portaincenso del XVI secolo, i busti di San Nicola di Bari (XVIII secolo) e di San Fortunato martire (XIX secolo) e lo splendido Crocifisso in avorio di Alessandro Algardi (XVII secolo), ossia l’opera di cui vogliamo parlarvi.
Scultore di origine bolognese, Algardi fu attivo anche a Mantova e a Roma dove conobbe il patrimonio classico e l’opera del coetaneo Gian Lorenzo Bernini, ricevendone influssi che lo avvicinarono alla corrente del Classicismo. Il suo Crocifisso presente a Mileto, scolpito in avorio e alto 58 cm, costituisce –  scrive la storica dell’arte Rosanna Caputo – il prototipo delle raffigurazioni del Cristo vivente che, proprio muovendo dall’esempio dell’Algardi, si diffusero nel Sei-Settecento. Ascrivibile al quarto decennio del XVII secolo, l’opera unisce elementi di cultura classica, evidenti nell’attenta e studiata ricerca anatomica, con altri piĂą propriamente barocchi come la resa del perizoma dal panneggio ampio e svolazzante sul fianco destro. La superba figura del Cristo vi appare in posizione frontale sulla croce lignea a cui è inchiodato con quattro chiodi, il piede destro sovrapposto al sinistro, le mani richiuse sulle palme, il capo coronato di spine, leggermente reclinato a destra e rivolto verso l’alto, lo sguardo al cielo, le labbra semiaperte quasi nell’atto di esalare l’ultimo respiro.
“Una resa densa di carica emotiva – scrive ancora Caputo – in cui quasi commuove cogliere l’accettazione della sofferenza in virtĂą della sottomissione alla volontĂ del Padre”. La grande perizia tecnica dell’artista, oltre che nello straordinario realismo anatomico, si percepisce nella realizzazione del perizoma, destinato a diventare un modello di riferimento per numerosi artisti sei-settecenteschi: consiste in un ampio panno con lembo svolazzante sulla destra e riverso sul davanti a formare una piaga ”serpentinata”, tenuto da una cordicella, secondo un motivo giĂ in uso nel XV secolo (lo troviamo nel Crocifisso di Donatello a Padova) e ripreso anche dai Francescani Riformati.
In Calabria quest’opera costutisce un unicum non avendo avuto il tempo di ”fare scuola”: essa fu infatti acquistata a Napoli solo nel 1851 dal vescovo di Mileto Filippo Mincione; la scultura era stata donata dal re di Napoli Ferdinando I al suo confessore monsignor Angelo Porta, vescovo di Termoli, e infine passata al porporato calabrese.
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Riferimento bibliografico:Rosanna Caputo, Il Museo Statale di Mileto, Rubbettino editore, 2002, Soveria Mannelli, pp. 146
Museo Statale, Mileto (Vibo Valentia)
Palazzo Vescovile, via Episcopio 15
Info:Â Â 0963 337680
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