Cambiamento, resistenza e azione collettiva. L’Università del Kent rileva i nuovi fermenti in atto nel Sud Italia

Kent University, Canterbury, UK

Kent University, Canterbury, UK

di Rocco Mazzolari

Qualcosa di nuovo sotto il sole. Un ribaltamento del vecchio adagio negativo per esprimere quella diffusa voglia di cambiamento che serpeggia fra le nuove generazioni del Sud Italia, ed il riferimento è soprattutto a quelle fasce giovanili che per esperienza diretta di ciò che accade nel mondo ”fuori dai recinti”, o grazie alla Rete intesa come finestra spalancata sul mondo, stanno cercando di piantare nella propria terra il seme del cambiamento. Un processo che sarà senza dubbio lungo e difficile – le resistenze sono ancora troppe e pervicaci –  ma che passa attraverso lo scardinamento di logiche politiche, economiche e sociali che hanno fallito il bersaglio su tutta la linea. Ad accorgersi di quanto sta avvenendo a Sud è la prestigiosa Università britannica del Kent dove a settembre scorso, presso il Darwin College, a sud di Londra, si è tenuto il convegno “Change, resistance, and collective action in Southern Italy: a multidisciplinary symposium” (Cambiamento, resistenza e azione collettiva nel Sud Italia: un convegno multidisciplinare), che ha voluto riaprire il dibattito sulla ‘questione meridionale’ italiana vista attraverso diverse e multidisciplinari prospettive.

“Sfidando la visione convenzionale di un Sud retrogrado in opposizione ad un Nord civico e moderno, questo simposio è il primo a dare risalto al Mezzogiorno d’Italia come un’arena importante per la definizione di decisivi processi culturali di livello nazionale e transnazionale.” Sono queste le parole con cui l’Università del Kent ha comunicato l’iniziativa del convegno.

“Questo approccio – prosegue la nota – getta nuova luce sulle regioni del Sud Italia come aree in cui le dinamiche di cambiamento, la resistenza e l’azione collettiva sono costantemente in gioco. Esso riunisce per la prima volta un ampio insieme di contributi provenienti da ambienti diversi e prospettive disciplinari, tra cui studi postcoloniali, la psicologia sociale, la sociologia, la storia, la politica e la medicina (…) Attraverso la proposta di un dialogo produttivo tra passato e presente questo simposio presenta il Sud d’Italia come un esempio paradigmatico di come potenziali dinamiche di azione collettiva possono promuovere una migliore comprensione delle disparità sociali, culturali e politiche che interessano le società subalterne”.

Fra i relatori – provenienti da diverse università del mondo oltre che da quella del Kent – anche alcuni italiani, tra i quali ricordiamo il prof. Franco Cassano, ordinario di Sociologia e Sociologia dei Processi culturali e comunicativi all’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, e il dr. Giovanni A. Travaglino, ventinovenne di Napoli, Lecturer in Social & Organisational Psychology presso l’Università del Kent, nonché uno degli organizzatori del simposio.

Giovanni A. Travaglino, il giovane ricercatore italiano fra gli organizzatori del simposio presso l'Università del Kent

Giovanni A. Travaglino, il giovane ricercatore italiano fra gli organizzatori del simposio presso l’Università del Kent

“Contestando la consolidata tendenza a dipingere un Sud arretrato in contrapposizione con un Nord civico e moderno – spiega Travaglino – questo convegno respinge l’immagine delle regioni meridionali italiane come luoghi che resistono alla modernizzazione e allo sviluppo. Il Sud – aggiunge il giovane ricercatore – non è immobile nel suo sottosviluppo ed è falso che non ci siano azioni collettive. Un cambiamento di mentalità negli ultimi anni c’è stato e trasformazioni sono in atto, ma non vengono mai messe in luce”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il prof. James Newell dell’Università di Salford: “A dispetto delle differenze sociali, politiche e economiche tra il Nord e il Sud, il nuovo associazionismo, ad esempio, – espresso da un vasto numero di piccoli gruppi, cooperative, associazioni no-profit e organizzazioni di volontariato – è aumentato ed è diventato caratteristico tanto del Sud quanto del Nord, scontrandosi con quegli stereotipi che vedono il Sud come un territorio caratterizzato da mancanza di impegno civile”.

Ad essere rifiutata dagli studiosi riuniti a convegno è poi innanzitutto l’idea, anacronisticamente lombrosiana, di una diversità genetica fra nordici e meridionali d’Italia: “La questione meridionale – sostiene a tal proposito Travaglino – non può essere trasformata in un fatto antropologico. Se davvero le popolazioni meridionali portassero con sé delle caratteristiche genetiche negative, secondo una visione lombrosiana, allora sarebbe del tutto inutile studiare e cercare di cambiare le cose. Dovremmo tenerci tutta l’arretratezza come un dato ineluttabile…il che non corrisponde alla realtà”.

Talora per certa opinione pubblica avvezza ad esprimersi secondo luoghi comuni o per alcuni politici biecamente pronti a cavalcare il pregiudizio a scopo elettorale, il Sud – con tutte le sue problematiche – sarebbe una sorta di palla al piede per il resto del Paese: “Il Sud non pesa sul Nord – stigmatizza Travaglino – in realtà sul sottosviluppo del Mezzogiorno ci sarebbero da chiamare in causa anche le responsabilità del Nord. Purtroppo in Italia questo non lo si può dire, ma qui per fortuna sì…”

Cerchiamo di approfondire quest’ultimo concetto con Travaglino, nei limiti ovviamente consentiti dallo spazio di un articolo: “Cercherò di essere più chiaro senza però perdere di vista che nel convegno tenutosi in Inghilterra abbiamo ripercorso la cosiddetta “questione meridionale” secondo la prospettiva di diverse discipline (storia, psicologia sociale, sociologia, scienze politiche e studi post-coloniali), passando attraverso la considerazione di diversi problemi (organizzazioni criminali, gestione della cosa pubblica), per cui sarebbe estremamente difficile sintetizzare in poche battute i passaggi chiave e le conclusioni di un convegno decisamente complesso. E’ peraltro possibile fissare qualche punto…“.

“Non c’è dubbio – spiega Travaglino – che un divario tra Nord e Sud esista e sia ravvisabile in molti indicatori sociali. E’ un fatto sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, che questo divario debba costituire una “Questione meridionale” piuttosto che, ad esempio, una “Questione Settentrionale”, vale a dire una messa in discussione del potere del Nord, ciò non è affatto un dato (com’è stato ben evidenziato dai Professori Chambers e Newell durante il simposio). A tal proposito, mi sento di dire che se nel corso del tempo molti studiosi sono andati alla ricerca della magica variabile che rende il Sud differente dal resto della ‘moderna’ Italia – ossia quel qualcosa di sbagliato (cultura, organizzazione sociale, ethos) che lo rende arretrato, – tutta questa attenzione sul particolare è stata ovviamente funzionale ad oscurare i processi storici generali che hanno generato povertà e degrado: dalla logica coloniale dei vecchi regimi, sino ai processi di colonizzazione interna e l’annessione al regno di Italia, durante la quale un’economia più fragile pagò il prezzo della fusione con un’economia più solida e subì malgoverno e violenza per decenni.”

“Se dovessi quindi scegliere un modo per sintetizzare la conclusione del simposio – fermo restando che i lavori sui temi trattati sono intensi e ancora in corso (ad esempio stiamo ora lavorando ad un volume collettivo) –  farei riferimento proprio a questo: non è possibile discutere di “questione meridionale” senza porre attenzione ai processi sociali, storici e politici che conducono alla creazione di un centro (avanzato) e di una periferia (arretrata) e,  soprattutto, senza enfatizzare quanto l’esistenza della periferia sia necessaria affinché il centro possa mantenere il suo stile di vita. In questo senso, il Sud di Italia non è affatto un’eccezione nella storia mondiale”.

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