Capolavori sconosciuti. Il Crocifisso di Belvedere Marittimo: mistero di un viaggio dalla Puglia alla Calabria

Calabria - Particolare del Crocifisso ligneo della Chiesa del SS. Crocifisso - Ph. courtesy Francesco Samà

Calabria – Pietro Frasa, particolare del Crocifisso ligneo della Chiesa del SS. Crocifisso, 1711, Belvedere Marittimo (Cs) – Ph. courtesy Francesco Samà

“Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.  Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come  agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.”
Isaia 53, 5-7

di Rocco Mazzolari

Veduta di Belvedere Marittimo (Cs) - Ph. Loloieg | CCBY-ND2.0

Veduta di Belvedere Marittimo (Cs) – Ph. Loloieg | CCBY-ND2.0

Chi di voi non ricorda The Passion, il film che nel 2004 girò a Matera l’attore e regista statunitense Mel Gibson, una pellicola che della rappresentazione cruda e realistica della passione di Cristo fece le sua principale cifra morale e stilistica. Ebbene, una analoga raffigurazione – nella quale i rivoli di sangue, le ferite alle mani, ai piedi, al costato, i lividi, le lacerazioni, evocano il ritratto del Cristo di Isaia (Is. 53,3-12), l’immagine umanissima di dolore e sofferenza di chi ha espiato i peccati degli uomini attraverso il martirio – la ritroviamo in una serie di eccezionali sculture devozionali in legno del periodo tardo barocco riconducibili a Pietro Frasa (1678-1711), un chierico e predicatore milanese che progettò, rifinì e dipinse diversi crocifissi di cui affidava l’intaglio a scultori di professione fra cui si ricordano l’Antignati e un anonimo napoletano. Se alcune sue opere sono custodite in chiese del nord, tre dei suoi lavori hanno invece trovato dimora nel Sud Italia: di questi, il crocifisso più antico (1709) nonché uno dei più espressivi del ‘700, è quello custodito nella Cattedrale di Troia (Foggia),  scolpito in legno di pioppo su croce in legno d’abete; gli altri, coevi (1711), sono collocati rispettivamente nella cattedrale di Foggia e nella Chiesa del SS. Crocifisso di Belvedere Marittimo (Cosenza) e sono legati all’ultimo periodo della vita dell’artista, morto di pleurite a soli 33 anni.  Qui ci occupiamo in particolare di quello custodito in Calabria, oggetto di un recente studio che ha cercato nei limiti del possibile di ricostruirne la storia finendo con approdare a quella terra di Puglia in cui Frasa finì i suoi giorni. Del resto l’artista si trova sepolto nella Cattedrale di Foggia sotto l’altare della Cappella del Crocifisso, accanto alla sua opera, una scultura cinta di un’aura di miracolosità a partire dal 1933 quando, portata in processione per le strade della città, fu vista prodigiosamente sprigionare scintille dalle stigmate del corpo.

Ma spostiamoci in Calabria per raggiungere Belvedere Marittimo, pittoresco borgo di origine medievale situato su una rupe rocciosa a circa 150 m sul livello del mare e affacciato sul litorale tirrenico dove sorge Marina di Belvedere, frazione marinara e nota località turistica. Percorrendo le stradine tortuose del borgo antico arriviamo alla Chiesa del SS. Crocifisso eretta ai margini dell’’abitato, a ridosso delle antiche mura della città, sul pendio che ripido declina verso il fondo della stretta valle dove scorre il fiume Soleo. A vederla dall’esterno la chiesa ha un’aria semplice, quasi dimessa, che non lascia trapelare la sua lunga storia, iniziata nel 1599 quando ne fu avviata l’edificazione dai confratelli della Congregazione di Santa Maria del Pianto, grazie al sostegno delle laute elemosine dei cittadini, e ne furono approvate le Regole dal Vescovo di San Marco Argentano, Mons. Giovanni Girolamo Pisani.

Il Crocifisso di Pietro Frasa, 1711, Chiesa del SS. Crocifisso, Belvedere Marittimo - Ph. courtesy Francesco Samà

Il Crocifisso di Pietro Frasa (2,45 m.) 1711, Chiesa del SS. Crocifisso, Belvedere Marittimo – Ph. courtesy Francesco Samà

Nella scabra semplicità dell’edificio ecco però improvvisamente imporsi allo sguardo la straordinaria potenza iconica di un gigantesco Crocifisso del ‘700 scolpito in legno di tiglio. Sospeso sull’altare maggiore, impressionante nel suo crudo realismo di dolore e morte, si mostra come la vibrante testimonianza di un più luminoso passato dell’antico tempio ormai cancellato dall’azione erosiva delle manomissioni subite. La presenza di questa imponente opera segnò la chiesa nel nome, come emerge da un documento del 4 luglio 1728, nel quale essa viene definita con la duplice intitolazione di Santa Maria del Pianto e del SS. Crocifisso. Fino al 1708 l’edificio sacro fu infatti indicato come Chiesa di Santa Maria del Pianto, mentre dal 1722 vide mutare il suo nome in Chiesa della Confraternita del SS. Crocifisso. Un mutamento dovuto alla Confraternita laicale della Venerabile Chiesa di S. Maria del Pianto che cambiando il proprio nome finì col determinare anche quello della chiesa. Il motivo di questa variazione ce lo spiega lo storico dell’arte Francesco Samà che ha studiato a lungo il luogo raccontandolo nel libro “La chiesa del SS. Crocifisso – Il Crocifisso di Pietro Frasa e Giacomo Colombo a Belvedere Marittimo” (Tipografia CI.sI, Cosenza, 2012). Lo studioso sostiene che quel cambiamento è da attribuirsi proprio all’arrivo della scultura lignea del Cristo crocifisso oggi collocata sull’altare maggiore. Una nuova intestazione che peraltro trovava piena rispondenza nella stessa ragione ispiratrice dei membri della congrega, ovvero la compartecipazione alle sofferenze di Cristo in veste di fratelli flagellanti, propensi a praticare penitenze severe, soprattutto durante la Settimana Santa, per imprimere sul proprio corpo i supplizi della Passione.

Il Crocifisso di Belvedere Marittimo (Cs), 1711, sull'altare della Chiesa del SS. Crocifisso - Ph. Comune di Belvedere

Il Crocifisso di Belvedere Marittimo (Cs), 1711, sull’altare della Chiesa del SS. Crocifisso – Ph. Comune di Belvedere

In principio fu una semplice croce di legno, davanti alla quale i confratelli sostavano in preghiera, a ricordare loro l’impegno penitenziale assunto,  ma nel 1711 essa venne sostituita dall’attuale Crocifisso in legno scolpito e dipinto, ordinato da un autorevole committente il cui nome è rimasto finora ignoto. “Sicuramente – spiega Samà –  costui doveva avere una grandissima sensibilità artistica ed una notevole apertura verso le novità, oltre che una profonda religiosità. Doveva inoltre mantenere influenti contatti con l’ambiente artistico napoletano o pugliese – territori ove operava in quegli anni l’autore della scultura – o perlomeno con i principali rappresentanti locali dell’Ordine Domenicano, forse attraverso gli importanti conventi di Bonifati o di Guardia Piemontese, dal momento che il geniale artista del Crocifisso, il chierico secolare Pietro Frasa, era legato alla famiglia dei domenicani tramite l’amicizia ed i rapporti di collaborazione con il venerabile P. Ludovico M. Calco, insigne esponente dell’Ordine dei Predicatori, familiarità che si protrasse sino alla morte del Calco, avvenuta a Troia – in Puglia –  il 20 agosto 1709, quando ancora non aveva compiuto 40 anni”.

Ma chi era Pietro Frasa? Nato a Milano il 27 giugno 1678 da Giosafat ed Eleonora Goldaniga, e morto a Foggia il 9 maggio 1711, fu un noto predicatore “la cui idea di riforma cristiana del mondo – racconta Samà – passava attraverso l’immagine di Cristo in croce, unico modello da imitare per gli uomini”. Un’idea che artisticamente prese forma nel 1708 in due crocifissi fatti intagliare da uno scultore milanese, Giovan Battista Antignati, e poi da lui dipinti con quella crudezza di piaghe che caratterizzano la figura del Cristo martirizzato nelle parole dei Profeti e nel suo stesso rivelarsi agli Apostoli ancora viventi. Oggi quei crocifissi si trovano uno nell’’Oratorio di San Gaudenzio a Galliate (Novara) e l’altro nella Chiesa di S. Pietro a Oggebbio (Novara). Nello stesso anno il Frasa andò a Roma e da lì si spostò in Puglia insieme a Padre Ludovico Calco. Qui, prima che la morte se lo portasse via a soli 33 anni, realizzò i già citati crocifissi per le cattedrali di Troia e di Foggia, più un terzo, poi misteriosamente scomparso, destinato alla cittadina di Biccari (Foggia).

Puglia – Veduta panoramica di Biccari (Foggia) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Puglia – Veduta panoramica di Biccari (Foggia) – Ph. © Ferruccio Cornicello

Secondo Samà, il Cristo crocifisso di Belvedere Marittimo, che con alcune variazioni riprende quello di Foggia, potrebbe essere proprio il Crocifisso che – stando a quanto dichiarato dai testimoni che deposero al processo per la causa di beatificazione di P. Ludovico M. Calco – era destinato alla Chiesa Matrice di Biccari, opera di cui non rimase alcuna traccia al di fuori del racconto riportato da quei testimoni.

Samà ritiene che il Crocifisso di Belvedere e quello foggiano furono basati su uno stesso disegno, “col Cristo morto che presenta il capo abbandonato sulla spalla destra, mentre il corpo si contorce a spirale ed il sangue scorre a rivoli dalle numerose ferite. Una raffigurazione potente e terribile allo stesso tempo, il cui effetto sullo spettatore è ulteriormente accentuato dalle enormi dimensioni della statua: un realismo esasperato, intriso di esaltata drammaticità, ancora legato agli stimoli caravaggeschi, in cui le figure presentano una cruda realtà. Molto probabilmente – aggiunge lo storico dell’arte – si tratta di suggestioni riprese dal dipinto napoletano raffigurante La Flagellazione di Cristo del Caravaggio, già a San Domenico Maggiore, ora a Capodimonte, evidentemente utilizzato dal Frasa come idea per i crocifissi di Foggia e Belvedere, che mostrano la stessa plasticità e struttura compositiva, e dove la resa naturalistica si esprime con forza nella torsione del corpo martoriato del Cristo. È possibile che egli abbia visto il dipinto del Merisi durante i suoi frequenti viaggi a Napoli, dove forse dimorava presso il convento domenicano di S. Pietro Martire, in cui soggiornava anche il compagno di viaggio P. Ludovico M. Calco. Il Frasa si recava spesso nella città partenopea per controllare l’andamento dei lavori d’intaglio commissionati ad uno scultore rimasto anonimo”.

Di questo misterioso scultore, che avrebbe appunto realizzato anche il Crocifisso di Belvedere, il Vescovo di Troia, Mons. Emilio Giacomo Cavalieri – come Samà ha avuto modo di ricostruire –  scriveva: “L’artefice dell’immagine è stato uno scultore di Napoli, ma non mi sovviene il proprio nome, ma so che abita dirimpetto al Regio Palazzo nelle botteghe di Padri della Compagnia, dove l’anno passato v’osservai una simile, quale teneva pubblicamente esposta in vendita.”  Come di consuetudine il Frasa, terminato il lavoro d’intaglio commissionato ad altri su suo progetto ma eseguito sotto suo attento controllo, anche in tal caso riservò a se stesso le rifiniture e la pittura dell’opera. Ma a dispetto dell’amnesia del vescovo, Samà azzarda un’ipotesi sull’identità dello scultore affermando che “considerate le numerose coincidenze che caratterizzano la vicenda, legata soprattutto alla produzione scultorea in ambito pugliese ed in particolare in Capitanata, non è azzardato inserire i crocifissi di Belvedere, Foggia e Troia, nel corpus di uno dei maestri più affermati che dominavano, fra Sei e Settecento, lo scenario della statuaria lignea napoletana, Giacomo Colombo, o della sua bottega”.

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