di Kasia Burney Gargiulo
Ancora sorprese dalla Regio V dell’antica Pompei dove da mesi vanno avanti gli scavi in un’area già esplorata nel Sette e Ottocento, ma in maniera spesso approssimativa e senza criteri scientifici. Strutture e reperti di ogni genere riemergono quotidianamente ”raccontandoci” momenti di quella vita quotidiana bruscamente interrotta nel 79 d.C. dalla furia del Vesuvio. Stavolta a tornare alla luce, con tutti i suoi ambienti decorati, è una delle dimore più antiche e ricche della città, la Casa di Giove. Il nome della domus deriva da un’immagine del dio Giove rinvenuta già nell’800 su un larario collocato nel piccolo pseudo-peristilio del giardino. Di questa dimora è subito balzata all’attenzione degli studiosi la conservazione di affreschi del cosiddetto I° stile che rimanda la sua costruzione al II sec. a.C. Una casa “d’epoca”, diremmo oggi, che al tempo della devastante eruzione del Vesuvio preservava ancora i suoi antichi decori.
Si tratta di uno stile caratterizzato dalla ricorrenza di tre zone decorate: una superiore con elementi in stucco aggettanti; una intermedia con elementi dipinti in vari colori che imitano il marmo, il granito o l’alabastro; una fascia inferiore solitamente di colore giallo. Nelle stanze che circondano l’atrio della Casa di Giove stanno ritornando alla luce, uno dopo l’altro, pannelli di stucco colorato che imitano lastre marmoree (crustae) e le pietre più pregiate d’Oriente con i loro brillanti colori che vanno dal cinabro, al blu lapislazzuli, al verde malachite, al nero africano. E poi raffinate cornici con modanature dentellate, sempre in stucco, insieme a riquadri con scene di vario genere, elementi vegetali o geometrici. Lo stesso atrio sembrerebbe essere stato decorato con un fregio dorico in stucco, con rifiniture in blu e rosso, come si evince da numerosi frammenti rinvenuti in più punti. E’ probabile che il proprietario della casa abbia volutamente scelto di mantenere, negli spazi di rappresentanza, la più antica decorazione in I° stile che, in altre dimore pompeiane, veniva invece rimpiazzata di solito con decorazioni più moderne.
“La casa si trova in Vicolo dei Balconi, accanto a quella delle Nozze d’Argento – spiega il Soprintendente Massimo Osanna. Si tratta di una residenza che solo in parte era stata scavata nel Sette-Ottocento ma di cui ora sta venendo fuori un po’ alla volta l’intera pianta, con l’atrio centrale e le varie stanze tutte decorate nel I° stile. Sul fondo c’è uno spazio aperto colonnato su cui si affacciano altri tre ambienti. Siamo di fronte ad uno degli esempi meglio conservati di case pompeiane con affreschi del I° stile, nonostante il massacro perpetrato dagli scavatori d’epoca borbonica, soprattutto nel ‘700. Non sappiamo ancora se fossero scavi ufficiali o meno, ma ovunque troviamo fosse, cunicoli e trincee che tagliano addirittura i muri. Infatti per entrare nelle stanze non si scavava da sopra ma si realizzavano dei cunicoli che hanno fatto molti danni, soprattutto a pitture e arredi. Spesso – aggiunge – troviamo oggetti che sono stati abbandonati perché ritenuti di scarso rilievo. Per noi oggi è interessante capire le dinamiche di questo scavo d’età borbonica che non immaginavamo fosse arrivato in questa parte remota della Regio V, così come documentare con maggior precisione, grazie agli strumenti di cui disponiamo, la stratigrafia eruttiva, che ci consente di comprendere l’azione devastatrice del vulcano.”
Oltre a pitture e oggetti d’arredo la Casa di Giove sta restituendo tracce della vita quotidiana che vi si svolgeva, come le iscrizioni “incise sulle pareti da abitanti della casa, forse da ancelle, da bambini, da qualcuno che si divertiva a scrivere sui muri” – osserva Osanna. Fra le altre quella che cita un certo “Athenaios Balbus…una strana indicazione che rimanda a un nome latino, Balbus, di qualcuno che però veniva definito ”l’Ateniese”. Considerando la cronologia della casa, che è del tardo II sec. a.C., questa iscrizione – osserva il Soprintendente – potrebbe essere stata incisa un secolo dopo e il Balbo qui citato potrebbe essere il Marco Nonio Balbo che conosciamo ad Ercolano. Era un personaggio del I° sec. a.C., un sostenitore di Ottaviano che fece una carriera straordinaria, diventando patrono di Ercolano sebbene nato a Nocera, ma la cosa interessante è che era stato il proconsole della provincia romana di Creta e Cirene, quindi era stato in Grecia, e forse l’epiteto di Athenaios era un modo per prenderlo in giro chiamandolo “Balbo l’Ateniese”, magari per dire che stava più in Grecia che qui. Sarebbe bello saperne di più di questi personaggi che dovevano avere un richiamo straordinario, anche negli ambienti domestici”.
Ma gli affreschi non sono stati l’unica scoperta degli scavi di questi ultimi giorni. Nella stessa domus, in un ambiente confinante con l’adiacente casa delle Nozze d’Argento, sono riemerse le tracce di un incendio molto probabilmente legato all’eruzione vulcanica: le fiamme, che hanno annerito la parete affrescata, hanno coinvolto anche alcuni elementi d’arredo che oggi risultano particolarmente preziosi per lo studio archeologico: si tratta dei resti carbonizzati di un letto con le stoffe che lo ricoprivano. Un quadretto a tema idillico-sacrale è invece quello rinvenuto in un ambiente della cosiddetta Casa a Nord del giardino: raffigura una scena di sacrificio nei pressi di un santuario agreste, considerata una fra le prime scene figurate di una certa complessità insieme all’affresco dell’Adone ferito con Venere e amorini, tornato alla luce in un’alcova scavata in una casa a poca distanza.
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