di Kasia Burney Gargiulo
Continuano a far parlare di sè i Bronzi di Riace, capolavori assoluti della statuaria antica custoditi nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, dopo il caso esploso con la pubblicazione delle immagini (fotografiche e video) realizzate dal reporter francese Gerald Bruneau e uscite in anteprima italiana sul sito Dagospia. Un’ondata di indignazione si è legittimamente sollevata in tutta Italia per l’umiliante trattamento riservato dal reporter alle due sculture, abbigliate secondo il più volgare e banale stereotipo gay, con slip leopardati, tulle nuziale e boa di piume di struzzo color fucsia, con la supponente pretesa di aver compiuto un’operazione artistica di denuncia dell’ipocrisia e del pregiudizio in materia di costumi sessuali.
Le critiche hanno investito, com’era ovvio e prevedibile, anche la Soprintendente Simonetta Bonomi che in prima battuta si era dichiarata all’oscuro dei contenuti del servizio fotografico di Bruneau, passato quindi (inverosimilmente) per un abusivo all’interno del Museo reggino. Peccato che a smentire la cosa ci sono le immagini in cui si vedono nettamente alcuni impiegati del museo supportare il fotografo durante operazioni che hanno previsto persino l’uso di una scala per fissare sulla testa del Bronzo A un improbabile e ridicolo velo da sposa oltre a manovre che in condizioni normali avrebbero fatto scattare gli allarmi collegati con la questura reggina. La Bonomi è stata contattata ieri dall’Ansa a cui ha rilasciato dichiarazioni giustificatorie che hanno il sapore del “rattoppo” improbabile di quello che appare più che altro un oggettivo errore di valutazione da parte sua. Inverosimile anche la sua tesi del ”complotto’ in merito all’uscita delle immagini disposta artatamente in un momento in cui spira il vento della polemica sulla eventualità (finora negata) che i Bronzi di Riace vadano in trasferta a Milano per l’Expo 2015.
Ma vediamo di analizzare le sue dichiarazioni. Iniziamo col dire che Bruneau non è nuovo a questo genere di boutades spacciate per performance artistiche, essendo la stessa persona che in tempi recenti ha avvolto con tulle e nastri rossi la Paolina Borghese del Canova nell’omonima Galleria romana trasformandola in una cocotte da bassofondo parigino. Eppure la Bonomi non risparmia parole di ammirazione per quella trovata di Bruneau, anzi afferma che proprio quel precedente “lavoro” e la sua fama di “ottimo fotografo”, lo hanno reso ai suoi occhi meritevole di attenzione quando le ha richiesto di effettuare uno scatto al Bronzo A con un tulle bianco sulle spalle. In altri termini Bonomi sostiene che era quello l’unico scatto a cui ha prestato il suo consenso mentre il fotografo avrebbe poi abusato della situazione per fare anche gli altri scatti ed il video che oggi tutti conoscono. Ha aggiunto inoltre che il personale del Museo avrebbe bloccato il fotografo una volta resosi conto di quello che stava facendo. Giustificazione quest’ultima che regge poco al confronto con i fatti, considerato che c’è un video di due minuti in cui si vede chiaramente Bruneau essere lasciato libero di scegliere tutte le pose fotografiche, anche quelle più volgari, e persino assistito dal personale, per nulla innervosito dalla boiata in corso d’opera.
Considerata dunque – a dire della Bonomi – la natura abusiva di quegli scatti, lei ha dato per scontato che quelle immagini non sarebbero mai state pubblicate. Non solo, la Soprintendente attribuisce la loro uscita ad una manovra tempestiva studiata a tavolino in un momento in cui i Bronzi sono nell’occhio del ciclone in relazione ad una loro eventuale trasferta a Milano per Expo 2015, sebbene poi ammetta di non aver ricevuto ancora alcuna richiesta ufficiale dal capoluogo lombardo. Sinceramente questa tesi complottistica fa acqua da tutte le parti se raffrontata con l’ampia disponibilità operativa avuta dal reporter nel realizzare il suo servizio, per cui è inverosimile pensare – a meno di non essere davvero degli ingenui – che quegli scatti fossero destinati a rimanere celati in un cassetto; se fosse stato così il gioco della provocazione gratuita di cui Bruneau è maestro, sarebbe andato a farsi friggere.
Viceversa le dichiarazioni della Bonomi diventano interessanti e condivisibili nel momento in cui toccano proprio l’argomento trasferta dei Bronzi, a Milano o in qualunque altro luogo. Come già il restauratore Nuccio Schepis intervistato mesi fa da Fame di Sud, anche la Bonomi ha confermato l’estrema fragilità delle due statue, sensibili ad ogni sollecitazione meccanica e fisico-chimica non controllata. Le sculture soffrono infatti di microfratture del bronzo a partire dalle quali possono innescarsi processi corrosivi noti come ”cancro del bronzo” a scatenare i quali basta un semplice incidente climatico. A Reggio Calabria i Bronzi sono infatti ospitati in una sala con microclima controllato, poggiano su basi antisismiche e sono visitabili previo filtraggio dei visitatori. “Per spostarli – ha dichiarato la Soprintendente – occorrerebbero mezzi speciali e particolari accorgimenti nelle sale in cui dovessero essere ospitati. Ed i rischi ci sarebbero lo stesso…Una volta innescatasi la corrosione è difficile da bloccare perché all’inizio si manifesta all’interno, quindi è più difficilmente individuabile”.
Le affermazioni della Bonomi tornano infine a creare perplessità quando – nel parlare del flusso di visitatori e degli incassi del museo reggino, da lei definiti positivi (diversamente dai dati riportati dalla stampa nazionale) – respinge l’idea che intorno ad un museo o a delle opere come i Bronzi di Riace possa farsi un discorso di tipo economico, discorso al quale riconosce un carattere meramente accessorio. Ebbene, che un Museo sia innanzitutto un luogo di cultura non ci piove, ma in un paese nel quale il denaro pubblico investito in cultura è sempre stato di entità più che marginale, e che tratta il proprio patrimonio come una palla al piede da abbandonare al proprio degrado (vedi Pompei, Caserta, Kaulonia, ecc. ecc.), un ragionamento così sterilmente idealistico sembra davvero fuori luogo. Il discorso della Bonomi sarebbe accettabile se in Italia si avesse almeno la capacità della Francia di rendere il patrimonio storico-artistico oggetto di crescente interesse internazionale e quindi anche una rilevante fonte di guadagno, ma purtroppo ciò non accade. L’Italia, un tempo celebre paese dell’Arte e della Cultura, perde colpi ormai da anni, come dimostra la sua scivolta dal 1° al 5° posto della classifica internazionale sui flussi turistici, superata persino da Stati Uniti e Cina.