di Kasia Burney Gargiulo
L’Italia, si sa, è la nazione delle migliaia di comuni, molti dei quali di piccole dimensioni (l’85% ha meno di 10 mila abitanti), disseminati fra monti e vallate. Una realtà territoriale e urbanistica a volte di straordinaria suggestione che però nel corso del tempo, causa ampie sacche di disoccupazione, disattenzioni amministrative e mancanza di infrastrutture, è andata soggetta a veri e propri fenomeni di spopolamento, con conseguente degrado dei vari contesti. Celebri sono rimasti i casi di interi borghi messi “in vendita” a prezzi irrisori se non simbolici pur di evitarne il definitivo abbandono e il conseguente ingresso nella triste lista dei paesi fantasma. Ma da qualche anno, altrettanto celebri sono diventati i casi di borghi tornati a nuova vita dopo l’attuazione di eccezionali progetti di recupero volti a valorizzarne le potenzialità turistiche e occupazionali. Ci si è improvvisamente resi conto – purtroppo non ancora abbastanza – che in questi luoghi risiede l’anima più autentica dell’Italia, non circoscritta al perimetro delle sole città d’arte. Su quest’ultimo sfondo si inserisce il caso di Castel del Giudice, paese di 351 abitanti dell’Appennino molisano che dall’essere sull’orlo della sparizione ha finito col diventare un modello di recupero per tante altre realtà analoghe.
Ridotto al lumicino il numero degli abitanti, certamente non aiutato da un tasso di natalità pari a zero, dismessi i terreni agricoli e abbandonate molte delle case, Castel del Giudice sembrava votato a diventare uno dei tanti ghost village di cui sono pieni gli Appennini. Senonchè la caparbietà della residua popolazione locale e l’azione coraggiosa e decisa dell’amministrazione, ha permesso di portare a segno ben tre progetti di recupero che hanno ridato nuova linfa al borgo mutandone il destino.
Innanzitutto la nascita della Rsa San Nicola, residenza sanitaria assistenziale sorta all’interno di una scuola chiusa da trent’anni e dotata di ventidue dipendenti, numero destinato a crescere a seguito di un progetto di ampliamento in un’altra struttura in corso di recupero. Ha il primato di essere l’unica struttura di questo tipo nell’intera regione ed ospita anziani provenienti sia dal Molise che dall’Abruzzo. Inoltre attraverso l’utilizzo dell’azionariato popolare la Regione Molise ha un considerevole risparmio sui costi per ogni singolo degente, se rapportati ai costi degli ospedali. Il secondo progetto ha riguardato la rimessa in produzione di trentacinque ettari di terreno agricolo dismesso, trasformato in un meleto biologico con quattro dipendenti stabili e circa venti stagionali. Melise è l’azienda che cura la produzione e che vede la compartecipazione di cittadini, investitori e pubblica amministrazione. L’altro progetto ha riguardato la parte forse più macroscopica dell’assetto del borgo, ossia il recupero di decine di edifici abbandonati, riscattati e ristrutturati secondo criteri di fedeltà al loro carattere originario. E’ la rinascita di Borgo Tufi, il cuore antico di Castel del Giudice, trasformato in un affascinante albergo diffuso in grado di ospitare fino a cento persone. Un punto di partenza utile per conoscere il territorio circostante di incontaminata bellezza e per raggiungere anche mete più note come Agnone o Roccaraso.
E’ così che Castel del Giudice, paese che oggi può legittimamente vantarsi di importare lavoratori, si è guadagnato l’apprezzamento di soggetti attenti alla salvaguardia del territorio come Legambiente che ha definito il borgo “un modello di rinascita per tutti i borghi italiani” assegnando al sindaco Lino Gentile il Premio Angelo Vassallo 2014. Un riconoscimento accolto con entusiasmo dal primo cittadino che ha voluto sottolineare come la soluzione di tanti problemi delle aree più interne del nostro Paese non sia impossibile e che anche piccole comunità possono, con l’impegno di tutti, ottenere grandi risultati. Alessandra Bonfanti del direttivo nazionale di Legambiente, ha peraltro evidenziato come l’esempio di Castel del Giudice sia purtroppo un modello non ancora sufficientemente diffuso in Italia. C’è ancora molto da fare – ha aggiunto – per incrementare la cultura del recupero di luoghi e strutture abbandonati, con effetti importanti anche per la lotta al dissesto idrogeologico, e a tale scopo l’esempio di Castel del Giudice – efficace soprattutto sotto il profilo della coesione tra pubblico e privato con in più una determinante partecipazione popolare – può sicuramente essere di grande aiuto per far comprendere come difficoltà e limiti oggettivi possano trasformarsi in risorse vantaggiose per il territorio.
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