Mi sembra un atto di protervia profanare la sacralità del silenzio e contaminare i suoni della natura con il rombo dell’auto. È come se volessi arrecare il minor disturbo possibile, mortificata per il senso di colpa collettivo di sei secoli di abbandono. Quasi nel cuore della Basilicata, Uggiano è un luogo surreale o, meglio, soprannaturale.
Sospeso su un territorio selvaggio come un nido d’aquila, il Castello di Uggiano, l’antica Obelanum-Oblanum, s’intravede a distanza dopo le ultime case di Ferrandina (Matera), per riapparire poi all’improvviso nella valle del torrente Salandrella , in una svolta tra i tornanti della strada provinciale in direzione Stigliano. Ad un certo punto la strada è sbarrata da un cancello privato. Cerco il passaggio altrove. Ben presto mi rendo conto che i ruderi di uno dei castelli più antichi della regione, un castrum risalente ad età bizantina (IX secolo), predisposto come roccaforte di difesa contro l’avanzata dei Longobardi, si trovano all’interno di un’azienda zootecnica bovino-ovino-caprina, che impiega i suoi ettari di superficie, compreso il pianoro su cui sorge il castello, come zona di pascolo.
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La degustazione di caciocavallo podolico, scamorze e trecce fresche, pecorino, ricotta e cacioricotta caprino dell’azienda in questione dovrebbe predispormi a più miti considerazioni sullo stato della gestione del nostro patrimonio culturale e a farmi ingoiare più facilmente un sapore di disappunto mai rassegnato. Indignatio fecit versus, faccio mia l’espressione di Giovenale mentre scrivo questa nota, benché non riesca a trovare neppure il distacco necessario per stemperare lo sdegno in satira. C’è poco da ironizzare o da muovere critiche. Lo stato delle cose è legittimo, bovini e capre possono pascolare indisturbate tra le rovine di uno dei posti più suggestivi della Basilicata interna, come in un’incisione del Piranesi. Per quanto i privati che gestiscono il bene abbiano grandissimo rispetto per la storia, riconoscano l’importanza del monumento e con la più cordiale ospitalità concedano il permesso di visita e l’accesso al sito, non possono, tuttavia, essere abbandonati a se stessi nella messa in sicurezza del percorso di visita, nel dispensare un servizio di guida e realizzare i necessari cartelli informativi.
La sorpresa non termina qui: mi chiedo perché mai non sia stato tentato se non un restauro – cosa impensabile – almeno un consolidamento e un intervento di tutela di quello che c’è, visto che una foto degli anni ‘70 dimostra che era in piedi la torre sud-est della fortezza, in prossimità dell’arco a sesto acuto di età angioina (F. Lafranceschina, Il Castrum di Uggiano: un abbandono di sei secoli, In “ Basilicata Regione Notizie”, 119-120). Come per altri insediamenti (T. Pedio, Centri scomparsi in Basilicata, Venosa 1991), abbandonati per catastrofi naturali o per ragioni socio-economiche, che contribuiscono ieri come oggi in maniera decisiva al depauperamento della popolazione, anche Uggiano andrebbe segnalata tra i paesi fantasma. Ma ai cataclismi umani non c’è rimedio. L’ultimo anno sembra essere stato il 1478, come attestato su un’epigrafe, proveniente da un corpo di fabbrica, murata sulla facciata della masseria su cui si legge: MCDLXXVIII MENSIS MARCII, forse la data di un intervento di restauro.
La condizione di rudere di Uggiano presenta analogie con il castello di Castrocucco, una frazione di Maratea, ma lì almeno con la costituzione di un comitato di Iniziativa Cittadina si è posto il problema della tutela e del controllo del sito e, sulla scorta dell’interesse turistico del tratto tirrenico lucano, giungerà a buon fine. Uggiano la devi andare davvero a cercare: se è vero che le difficoltà di raggiungimento fanno del sito una meta di “nicchia”, non mi sembra neppure corretto giocare con il paradosso della marginalità che alla fin fine preserva, protegge e rappresenta un valore aggiunto, come garanzia di inattingibilità da parte del turismo di massa. La fatica sarà ripagata dalla contemplazione del paesaggio, uliveti di majatica, varietà di arbusti della macchia mediterranea, fioriture straordinarie di cardi selvatici, e soprattutto del complesso monumentale, che regala all’occhio un alternarsi di scorci panoramici a 360 gradi.
Una ricostruzione assonometrica schematica mi è stata gentilmente porta dai proprietari della masseria ai piedi del castello: si tratta di copia della rielaborazione dell’ing. Giuseppe Apollaro , condotta sulla base della descrizione contenuta nell’inventario dei beni posseduti da Pirro Del Balzo, conte di Andria (1489). La struttura occupa la sommità di una collina di 476 m, con pianta poligonale pseudo-ellittica, contornata da sei torri a pianta quadrata, abitazione a corte interna del castellano, cappella, spazi aperti e cisterne.
Nella ponderosa opera di p. O.F.C. Carlo Palestina (Ferrandina, vv. 1-4,vol.I, La terra di Oblano, Venosa 1994), è raccolta una preziosa documentazione storica e d’archivio: il castello di Oblano risulta esistente già in epoca longobarda, al momento della riorganizzazione amministrativa dell’Italia meridionale tra Radelchi e Siconolfo nell’845. Ampliato in seguito durante la seconda colonizzazione bizantina, la denominazione di castrum o castellum lascia intuire che attorno alle mura si sviluppava un abitato; tuttavia l’assenza di campagne di scavo impedisce di stabilirne la localizzazione esatta, l’estensione e la durata. Il cronista materano Lupo Protospata attesta che nel 1029 Uggiano è assediata e conquistata dai musulmani Rayca e Saffari.
Il castello passa sotto il controllo dei Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1066, data la sua importanza strategica a guardia di due direzioni di transito: dagli Appennini al mare Jonio, parallelamente al corso dei fiumi lucani e lungo un percorso che da Matera taglia trasversalmente le cinque valli lucane per giungere fino al territorio di Senise. Mentre lo strato pre- normanno, quasi certamente bizantino, si individua facilmente in situ in porzioni di rozza muraglia costruita con ciottoli di fiume e pietre di cava a corsi irregolari legati con malta, senza pretese di natura formale, i successivi interventi di rafforzamento e di completamento architettonico tendono a coniugare esteticamente forma e funzione.
L’apice del suo splendore è raggiunto in epoca angioina, nel 1350, some testimonia l’iscrizione del portale: Hoc opus fecit magi/ster Jacobus Trifogia/nus de Astiliano a.D. MCCCL, cui si deve l’innesto sulla cortina muraria di una merlatura regolare, un magister che dirige i cementarii , maestranze locali provenienti in questo caso da Stigliano e specializzate nel taglio e nella lavorazione dei materiali lapidei. L’arco d’ingresso agli ambienti del castellanus è realizzato con conci di arenaria regolari e perfettamente squadrati. A differenza dell’arco a tutto sesto, quest’ultimo a sesto acuto permette di scaricare il suo peso su sostegni più slanciati e leggeri. Il concio di chiave può rischiare di sgusciare e compromettere uno dei testimoni più pregevoli dell’intera struttura. Il fregio con foglie stilizzate e bacche lungo l’imposta dell’arco è una sobria citazione angioina della tipologia decorativa normanna.
A seguito della repressione dopo la Congiura dei Baroni del 1485-86, il feudo viene requisito a Pirro del Balzo da Ferdinando d’Aragona e attribuito a Federico. La tradizione vulgata, messa in discussione e contestata con probanti argomentazioni nell’opera storica del Palestina, vuole che disastrosi terremoti nel 1456 e nel 1492 determinassero il trasferimento degli abitanti di Uggiano nella nuova città di Ferrandina, fondata nel 1494 da Federico d’Aragona. Da quel momento per Uggiano ha inizio l’età dell’abbandono.
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