Charles Lucien Moulin: da pittore a genius loci di un Molise incantato

Veduta di Castelnuovo al Volturno, alle falde del Monte Marrone, nel gruppo delle Mainarde, Rocchetta al Volturno (Isernia) - Ph. Gianfranco Vitolo | ccby2.0

Veduta di Castelnuovo al Volturno, Rocchetta al Volturno (Isernia) – Ph. Gianfranco Vitolo | ccby2.0

Allievo di Bouguereau a Parigi e amico di Matisse, Moulin trovò in Molise il suo «buen retiro», il luogo in cui esplorare, tramite una vita semplice a contatto con la natura, le leggi della luce e del colore, ma soprattutto l’essenza stessa del vivere

“Vorrei rendere il mio pensiero attraverso la natura, esprimermi secondo quanto mi detta dentro lo scenario meraviglioso che mi circonda e nel quale io trovo la pace dello spirito…”
Charles Lucien Moulin

di Alessandro Novoli

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Charles L. Moulin con un bambino di Castelnuovo al Volturno

«Mssiù Mulà, mssiù Mulà!….». Il piccolo Vincenzo correva in salita e la sua voce riecheggiava sonora tra gli anfratti rocciosi del Monte Marrone, che maestoso sovrasta il borgo molisano di Castelnuovo al Volturno. Il vecchio un po’ curvo, la candida barba incolta e i capelli arruffati, lo salutò da lontano con un sorriso e un cenno della mano. Lo aspettava per la consueta lezione di francese che da tempo impartiva ai bambini del paese. Intanto, piegato fra i cespugli, raccoglieva erbe e radici da trasformare in rimedi per i malati o in colori per dipinti che puntualmente regalava alla gente, grato dell’ospitalità ricevuta. Vincenzo ne era irresistibilmente affascinato, soprattutto da quando suo nonno gli aveva raccontato la misteriosa storia del “Cierv”, l’uomo-cervo che d’inverno seminava terrore fra la gente del posto. In quel vecchio gli sembrava di rivedere Martino, lo strano personaggio un po’ mago un po’ folletto che, sceso dai monti con fune e bastone, riusciva alla fine a catturare quell’essere minaccioso…

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Charles L. Moulin, Apollo e Marsia, olio su tela, con cui nel 1896 vinse il Prix de Rome – Image by E.N.S.B.A.

A portare quell’uomo dallo sguardo mite e profondo in quella contrada di montagna, lontanissima dagli affollati e rumorosi boulevard di Parigi, erano stati il destino e il desiderio di una vita semplice e meditativa. Cosa ne avesse determinato l’esigenza non è dato sapere: se una delusione d’amore oppure gli orrori della Grande Guerra vissuti da vicino quando, ufficiale degli Spahis, servì il proprio Paese, o magari più semplicemente il voler penetrare l’intima essenza della Natura per riportarla sulla tela. Eppure un talento di prim’ordine aveva assicurato a Charles Lucien Moulin la visibilità più alta a cui un artista del suo tempo potesse ambire, la vittoria del Prix de Rome per la pittura, la prestigiosa borsa di studio che nel 1896, a ventisette anni, gli garantì un soggiorno formativo di quattro anni presso l’Accademia di Francia nella romana Villa Medici. Fu l’importante punto di arrivo di un percorso iniziato all’Ecole des Beux-Arts di Parigi, condiviso con amici come Henri Matisse e Georges Henri Rouault e con maestri come William-Adolphe Bouguereau, Gabriel Ferrier e Olivier Merson.
 

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Charles L. Moulin, Ninfa e Amore alla sorgente, olio su tela, Coll. Priv.

Moulin dipinti simbolisti

Charles L. Moulin, Agape di Amore, Ninfa e Bacco, olio su tela, Coll. priv.

Moulin dipinti simbolisti

Charles L. Moulin, Agape di Ninfe e Amore

Moulin dipinti simbolisti

Charles L. Moulin, Ninfe e Amore

Moulin dipinti simbolisti

Charles L. Moulin, Ritratto di ragazza, olio su tela, 1891, Coll. priv.

 
Originario di Lille, Moulin frequentava ancora quell’istituto quando nella sua città conobbe un giovane zampognaro molisano, Nicandro Coia, di Castelnuovo al Volturno, che in Francia sbarcava il lunario posando come modello. L’uomo gli parlò della sua terra come di un luogo incantato, toccando le corde della sua sensibilità, ma Moulin non poteva certo immaginare che quel luogo sarebbe diventato la sua dimora d’elezione; e ciò neppure quando il Molise tornò a riaffacciarsi nella sua vita nell’incontro a Parigi con Vincenzo Tomassone, anch’egli zampognaro di Castelnuovo.
 
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Scorcio della valle del Volturno con il gruppo delle Mainarde molisane sullo sfondo – Ph. Proloco Rocchetta

ITALIA: AMORE A PRIMA VISTA

“Se amo l’Italia? L’adoro. Quando partii da Parigi per venire a Roma, sul treno un mio compagno di viaggio mi chiese quando saremmo entrati in Italia. Risposi: quando vedi il sole oltre il finestrino. E se è notte?, replicò. Quando vedi le stelle! aggiunsi.”

Il suo primo viaggio in Italia, oltre che a Roma, lo portò ad Anticoli Corrado, minuscolo borgo laziale celebre per essere meta, fin dal primo ‘800, di numerosi pittori stranieri, giunti dal nord Europa alla ricerca dei paesaggi più suggestivi della campagna romana. Nel 1911 tuttavia Moulin decise di recarsi in Molise a visitare Castelnuovo al Volturno, il paese d’origine dei due zampognari conosciuti a Parigi, uno dei quali – il Coia – si era premurato di annunciare l’arrivo dell’artista a suo fratello Giovanni, titolare di uno spaccio di vino e altri generi sulla piazza del paese.
 

Scorcio di Rocchetta Alta, Rocchetta a Volturno, comune di cui fa parte Castelnuovo – Ph. Fiore S. Barbato

Scorcio di Rocchetta Alta, Rocchetta a Volturno, comune di cui fa parte Castelnuovo – Ph. Fiore S. Barbato | ccby-nc.nd2.0

Moulin rimase talmente folgorato dalla bellezza del luogo da prolungare fino a un anno quella sosta che doveva durare solo pochi giorni. Seguirono altre visite alternate con lunghe permanenze ad Anticoli e varie partecipazioni al Salon di Parigi. Presto però la Grande Guerra sarebbe arrivata con le sue brutture a fare da spartiacque tra il passato delle grandi potenzialità di successo e un futuro volto alla ricerca dell’armonia, interiore ed artistica, attraverso l’immersione nell’incantevole natura delle Mainarde molisane.

UN’ESISTENZA FRA NATURA E ARTE

” Per fare il bello occorre vederlo. Ora noi non vediamo se non quello che possiamo capire. Non si capisce se non quello che si sa. Per vedere occorre sapere (…). La via vera è quella della Natura.”

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Charles L. Moulin, Baigneuse aux figues, olio su tela, 1909, Coll. priv.

Quella sui monti dell’Alto Volturno fu per Moulin un’esperienza totalizzante che avrebbe avuto fine solo con la sua morte nel 1960 e nella quale l’arte – complice la natura con la sua luce e i suoi colori –  sarebbe stata lo strumento per scoprire e vivere il divino che è nell’uomo e nel mondo che lo circonda: “Ciò che mi guida – diceva Moulin –  è l’amore, il bello. Ma tutte le cose hanno una ragione d’essere (…) L’arte dà il segno del divino che è in te. Tu lo intuisci, lo cerchi – se vuoi. Nella natura, nella comunione di spirito con essa, lo vivi… Questa sola è la mia verità: l’amore per il prossimo, la natura e tutto, tutto ciò che è bello!…”.

Una visione della vita che attingeva alla filosofia di Rousseau e ravvisava nell’allontanamento dalla natura l’origine dei mali e dell’infelicità umana. “Non si deve rompere l’equilibrio con la natura – affermava convinto – ma lasciare il mondo così come è stato creato…Il progresso porterà al regresso, alla corruzione, all’autodistruzione dell’uomo. Ma il mondo non finirà: esso si trasformerà in caos, ma nel caos ci sarà sempre la vita e tutto risorgerà… E poi, allo scadere del ciclo – ci saranno altri cicli, di milioni, miliardi di anni – di nuovo e ancora il caos…” . Lui quell’equilibrio con la natura lo cercò nei boschi e nelle radure, fra lupi e camosci, sull’alto Monte Marrone dove, pietra su pietra, costruì per sè una piccola abitazione da hobbit, con la porta di legno grezzo, un tappeto d’erba sul tetto e, all’interno, un grosso ramo di faggio a sostenere quell’unica stanza con due finestre, un giaciglio di paglia per dormire, una pentola di terracotta per il cibo, una seggiola e il cavalletto da pittore: un piccolo eremo che è ancora là, immutato, a 1805 metri, in cima a quella “roccia a picco sull’infinito” da cui la vista spazia fino al lontano mare Adriatico. All’amico Matisse che gli chiedeva come avrebbe fatto a trovarlo scriveva: “Quando vedrai il sole, lì sarò io”.Vivere sentendosi parte del tutto, conservando la capacità di meravigliarsi di fronte alle emozioni che solo la natura e i rapporti umani autentici sanno regalare, divenne dunque per Moulin una ferrea norma di vita oltre che un testamento spirituale di cui oggi, più che mai, possiamo percepire l’attualità.
 

Charles Lucien Moulin in Molise

1. Il rifugio di Charles L. Moulin sul Monte Marrone, Castelnuovo al Volturno (Is) - Ph. Comune di Rocchetta a Volturno

Charles Lucien Moulin in Molise

2. Il tetto in terreno ed erba del rifugio di Charles L. Moulin sul Monte Marrone, Castelnuovo al Volturno (Is) - Ph. Antonella Nigro

Charles Lucien Moulin in Molise

3. Lato posteriore del rifugio di Charles L. Moulin sul Monte Marrone, Castelnuovo al Volturno (Is) - Ph. Antonella Nigro

Charles Lucien Moulin in Molise

4. Interno del rifugio di Charles. L. Moulin - Ph. Antonella Nigro

Charles Lucien Moulin in Molise

5. Ritratto fotografico di Charles L. Moulin a oltre 80 anni

Images credits: photo 2,3,4 by Antonella Nigro | ccby-sa30
 
Negli ultimi anni della sua vita, per motivi di salute dovette abbandonare la cima del monte, ma non rinunciò al contatto con la natura, che ristabilì al Collerosso, un poggio-belvedere alla periferia del paese da cui si godeva una vista a 360 gradi. Anche qui, in una minuscola casetta in blocchi di tufo addossata a un masso, riuscì a ritagliarsi un suo spazio incontaminato, circondato com’era da boschetti di querce, ginestre, uliveti, campi coltivati e da surreali sculture fatte di sassi con cui ricreava immaginarie scene mitologiche.

MOULIN E GLI ALTRI

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Charles L. Moulin, Baigneuse a la tresse, olio su tela, 1909, Coll. priv.

Intorno alla sua figura venne così a crearsi un vero e proprio mito popolare che lo voleva amico degli animali del monte, fra cui un serpente con cui si diceva convivesse nella capanna, e soprattutto gli orsi che – secondo la leggenda – andavano quotidianamente a trovarlo, riconoscendo in lui “l’Orso delle Mainarde” come scherzosamente era stato soprannominato. E a chi gli chiedeva se mai avesse visto un orso, lui – uomo gentile e spiritoso – rispondeva: “Ho un pezzetto di specchio, e ogni volta che lo guardo vedo l’orso”. L’equilibrio e la serenità d’animo che il suo stile di vita gli procurava e che irradiava intorno a sè, nonché l’aura di uomo colto e sapiente, gli valsero una sorta di tacita venerazione da parte delle persone comuni. Accadeva addirittura che qualcuno si segnasse al suo passaggio quasi fosse un santo. Certamente gli abitanti del piccolo borgo molisano non mancarono di sostenerlo in tutti i modi, se non altro perchè detestava il denaro e lo aveva dimostrato rifiutando un vitalizio che l’Accademia di Francia aveva deciso di accordargli. A sua volta dedicava alla gente del paese parte del proprio tempo impartendo lezioni di francese ai bambini o preparando decotti per i malati con le erbe officinali che aveva imparato ad usare studiando all’Orto Botanico di Parigi. A tal proposito è divertente ricordare come Moulin – considerato dal popolo una sorta di mago-taumaturgo in grado di preparare pozioni miracolose – fosse stato invece denunciato dal medico di Castelnuovo che mal sopportava di aver perso a causa sua la maggior parte degli assistiti. Ad ogni modo, l’affetto della gente lo accompagnò fino alla morte, giunta la quale una famiglia del posto, i Rufo, volle che il maestro e amico riposasse nella propria cappella di famiglia, dove si trova tutt’ora.

UNA VISIONE ARTISTICA FRA REALTÀ E SIMBOLO

“Io non vivo d’arte, vivo per l’arte (…) L’arte per me è la precisione con forme materiali dell’immateriale, il suo scopo è di commuovere e di incantare.”

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Charles L. Moulin, Autoritratto, pastello, 1956, Collezione Eliseo, Museo di Palazzo Pistilli, Campobasso

La lunga permanenza molisana non impedì a Moulin di mantenere – sia pure saltuariamente – i propri contatti col resto del mondo, come in occasione del lungo viaggio negli Stati Uniti in compagnia di un amico o dei ritorni in Francia per alcune mostre che con gli anni andarono però diradandosi sempre più. Una volta, lontano dal suo amato monte, scrisse: “mi manca tutto questo, la mia montagna, le mie erbe, le notti nella capanna, il sole che spunta dietro il Matese e si riflette, rosa, sul Monte Marrone, l’amico camoscio, che scrutava alle mie spalle il dipinto a cui lavoravo su quella roccia a picco sull’infinito…”. Del resto a Castelnuovo aveva tutto il necessario, a cominciare dalla sua arte che, attraversata la temperie accademica e simbolista della sua epoca, si era attestata su una personalissima forma di naturalismo “emozionale” fatto di paesaggi vibranti di luce e di figure popolari, che lasciano trasparire il profondo rapporto instaurato con il contesto in cui scelse di vivere rapito dalla bellezza della natura di cui si fece appassionato interprete attraverso la tecnica del pastello: “Qui non vi è altro che l’opera della natura selvaggia e incontaminata! – affermava entusiasta – Vorrei riuscire a tradurre in delicati pastelli, riflessi e trasparenze…e in ogni sua mirabile mutevolezza, tutta, tutta la luce delle Mainarde…”. I colori di cui si serviva amava ricavarli da prodotti naturali, pratica a cui si era affezionato partecipando a un seminario di restauro in Accademia a Parigi e osservando i pastelli settecenteschi di Rosalba Carriera, capolavori dall’intatta luminosità.

Luce, colore, sentimento, sono dunque i concetti chiave per tentare di carpire il segreto della sua pittura: “Si devono sposare i colori e l’intensità di luce, il matrimonio deve dare la felicità” – sosteneva. “Io cerco la composizione, il momento, l’ora, che meglio permettono di mettere in luce il sentimento del soggetto… Non cerco mai la stranezza nell’originalità: faccio e agisco solo secondo coscienza. Ho potuto conservare la mia libertà e non mi è costato. Ho sempre sentito di non poter diventare ricco e di non veder chiaro nei miei problemi di pittura che in solitudine e molto tardi: adesso comincio a capire il perché delle cose. Se il fine della vita è l’aspirazione alla felicità, l’Arte deve, in misura dei suoi mezzi, contribuire a questo fine, seminando serena commozione e splendore di bellezza…Il principio e il dovere dell’artista è di essere l’archetto del violino delle anime e di farle vibrare: è d’essere un germe di felicità”. Moulin si sforzò di essere fedele a questo principio fino alla fine, persino in quel primo giorno di primavera del 1960 quando, novantunenne, ricoverato alla clinica “Pansini” di Isernia, volle ritrarre per forza suor Pia, la religiosa che lo assisteva, spirando così col pastello in mano.
 

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Charles L. Moulin, Scena pastorale ambientata nelle Mainarde molisane - Ph. courtesy Pierluigi Giorgio

Moulin paesaggi e ritratti

Charles L. Moulin, Scorcio delle Mainarde molisane - Ph. courtesy Pierluigi Giorgio

Moulin paesaggi e ritratti

Charles L. Moulin, Scorcio delle Mainarde molisane - Ph. courtesy Pierluigi Giorgio

Moulin paesaggi e ritratti

Moulin paesaggi e ritratti

Moulin paesaggi e ritratti

Moulin paesaggi e ritratti

Moulin paesaggi e ritratti

 
La sua fu una visione in evidente antitesi con quella pittura che nel ‘900 avrebbe scelto di rappresentare il malessere del proprio tempo, un’arte “piena d’inquietudine e di incertezze – come la definì Moulin, – una pittura da sbandati, che rispecchia il male del secolo, dell’uomo moderno che cerca di salire sulle proprie spalle per non essere schiacciato dal vuoto che ha nel cuore…”. Egli, viceversa, credeva nel potere terapeutico di una natura intrisa di spiritualità e fonte inesauribile di ispirazione per l’artista: “Non è per virtù mia che mi vengono le idee – sosteneva – è una forza, un’energia superiore che me le manda. Il mio Dio? La bellezza, la natura, l’arte, l’intelligenza…Vivere secondo i principi morali della religione, di qualsiasi religione, è per me vivere secondo natura, nel rispetto di tutte le creature, nell’accontentarmi di quanto mi è stato dato, nell’accettare la vita com’è…”.

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Charles L. Moulin in tarda età

Molti hanno cercato di ascrivere la pittura di Moulin a questa o a quella corrente, ma essa non appare affatto classificabile in maniera netta. Certo ha assorbito la duplice lezione della pittura di storia e di quella simbolista (aveva seguito anche i corsi di Gustave Moreau), ma durante il suo periodo italiano accade qualcosa di nuovo: secondo il critico d’arte molisano Tommaso Evangelista, il simbolismo continuò a persistere nei contenuti e nelle raffigurazioni, ma l’artista andò sempre più alla ricerca della realtà oggettiva della luce. Non gli interessava perseguire sperimentazioni formali, ma scoprire le leggi autentiche del colore. Del resto – aggiunge lo studioso – Moulin non si è mai preoccupato di allinearsi alle mode del suo tempo, bensì di indagare la realtà fenomenica fatta di luce per comprenderne le dinamiche e ricavarne bellezza oggettiva e materiale. Arrivato in Molise cominciò così a dipingere aspetti della vita umana che potessero assurgere a concetti universali “quali l’amore, la morte, il destino, la vita”, e ne affidò l’interpretazione a figure reali “vestite all’antica”, nelle quali l’elemento arcaico introduce appunto un carattere di atemporalità e universalità. Col tempo – conclude Evangelista – “tale visione si stempererà sempre di più mentre l’artista darà la priorità alle vedute e ai paesaggi nei quali cogliere luminosità e bellezza”, opere che alla fine della sua avventura umana e artistica cederanno spazio ai ritratti “forse il testamento più intimo e personale lasciato al Molise”.

Oggi, della produzione artistica italiana di Moulin molto si è disperso in varie collezioni private, data la sua consuetudine di regalare le opere, magari in cambio di un piatto di minestra o di un fascio di legna da ardere. Altro è andato distrutto a causa della guerra. Tre quadri raffiguranti Castelnuovo negli anni ’40 sono tuttavia visibili presso il comune di Rocchetta a Volturno, di cui Castelnuovo è frazione, mentre un Autoritratto e una scena agreste intitolata Il riposo, entrambi a pastello, sono conservati al Museo di Palazzo Pistilli a Campobasso. Fuori dai nostri confini nazionali, sue opere si trovano nei musei francesi di Versailles e di Lille. La difficoltà di reperirne i lavori ha impedito ad oggi un serio studio critico della sua arte, per cui molto scarna è la bibliografia che la riguarda, fra cui il catalogo di una mostra, l’unica finora tenutasi in Italia, organizzata nel 1969 dall’ENAL per celebrare il centenario della sua nascita e svoltasi sulle Mainarde in occasione della XVIII Festa Nazionale della Montagna.

AMORE SENZA FINE

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Charles L. Moulin – Portrait de M.me Pérard (Emilie), Musée de Beaux Arts, Lille

Si racconta che Moulin – per il quale l’amore fu un imprescindibile principio guida nella vita – abbia convissuto col malinconico ricordo di un amore intenso, reciproco, quello per una ragazza francese di nome Emilie. Il suo ritratto, contrassegnato sulla cornice con un emblematico e intimo EMILIE, è visibile al Musée des Beaux Arts di Lille sotto il titolo di “Portrait de M.me Pérard”. Si erano conosciuti poco prima della sua partenza per l’Italia, ma il destino volle che lei fosse già promessa a un altro uomo. Fra i due rimase nel tempo un legame profondo, non scalfito dall’assenza e dalla distanza, un vincolo sottile a suo modo sorprendente per il misterioso epilogo: dopo anni di silenzio, il pittore la rivide in un sogno notturno, salvo poi apprendere da un suo connazionale che la donna era morta quella stessa notte in cui l’aveva sognata. Fu l’estremo commiato tra due anime affini? Chissà. Il mistero è una sfinge che non dà risposte, ma pone solo domande. E se forse non conosceremo mai i risvolti più profondi  del loro legame, certo Emilie sembra incarnare l’archetipo della figura femminile che Moulin ebbe in grande considerazione, sebbene – come traspare dalle sue stesse parole – mai avrebbe sacrificato a una donna il suo amore per l’arte: “La donna – sosteneva – è una creatura sublime, soggetto d’arte. Io avrei dovuto scegliere o l’una o l’altra e ho scelto l’altra; nessuna avrebbe mai potuto capire fino in fondo la mia vita e sarebbe stato ingiusto da parte mia imporgliela. Lega tra loro due uccelli: avranno insieme quattro ali, ma non potranno mai volare…”.

I LUOGHI, LA NATURA, LA STORIA
 

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Scorcio delle sorgenti del fiume Volturno, Roccchetta a Volturno – Ph. Proloco Rocchetta

Parlando di Moulin non ci si può non soffermare innanzitutto sul Monte Marrone (1805 m.), maestoso rilievo del gruppo delle Mainarde molisane dove il pittore mise radici per oltre quarant’anni. Nel 2015 il comune di Rocchetta a Volturno, su proposta dell’Associazione Italiana per la Wilderness, vi ha istituito l’Area Wilderness “Monsieur Charles Moulin”, allargandola al vicino Monte Castelnuovo: 610 ettari sottoposti a tutela speciale per conservare lo stato dei luoghi così come li ha conosciuti l’artista francese. Il luogo ricade nella provincia di Isernia, nell’ultimo lembo del Parco Nazionale Abruzzo, Lazio e Molise, là dove le tre regioni si incontrano, tra faggete, boschi di pino nero, querceti, lecceti e monti di natura calcarea che nascondono sorgenti e verdi praterie d’altura dove ancora, nel periodo estivo, i pastori conducono le greggi. Un territorio fatto di paesaggi suggestivi in cui natura selvaggia e cultura si fondono grazie alla presenza stanziale dell’uomo da sempre favorita da un clima non troppo rigido che ha permesso insediamenti e coltivi in quota.
 

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Abbazia di S. Vincenzo al Volturno, VIII sec., Rocchetta a Volturno (Is). In primo piano, i resti di un antico porticato ad archi – Image by Wikipedia

Diversi sono infatti i borghi in cui si addensano le tracce storiche di questo angolo d’Italia: da Rocchetta al Volturno – sede delle copiose e cristalline sorgenti dell’omonimo fiume, così come dell’antichissima abbazia benedettina di S. Vincenzo al Volturno (VIII sec.) con gli affreschi della Cripta di Epifanio (IX sec.), uno dei cicli pittorici altomedievali più importanti d’Europa –  alla vicina Castel San Vincenzo in cui ricade l’area degli scavi annessa al citato complesso abbaziale e sul cui territorio, sospeso su una rupe a strapiombo, si trova l’eremo di San Michele a Foce; al borgo di Scapoli, celebre per l’artigianato delle zampogne, antichissimi strumenti a fiato a cui è dedicato un Museo Internazionale raggiungibile percorrendo il Cammino di Ronda, passeggiata che segue il perimetro della fortificazione longobarda e abbraccia a 360° l’intero centro storico con vista mozzafiato sulle Mainarde e sulla Valle del Volturno.
 

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Charles L. Moulin, Veduta di Castelnuovo al Volturno dopo il bombardamento alleato del ’44, pastello, Comune di Rocchetta a Volturno

Diversi sono nell’area i cimeli della Seconda Guerra – ad essi Rocchetta ha dedicato un Museo Internazionale delle Guerre Mondiali – e i riferimenti a drammatici eventi fra cui lo scontro che proprio sul Monte Marrone, lungo la cosiddetta Linea Gustav, ha visto la sconfitta dei Tedeschi ad opera degli Alpini del Corpo Italiano di Liberazione. Legato all’ultima guerra è anche un incredibile episodio accaduto nell’estate del ’44 a Castelnuovo: all’indomani della vittoriosa battaglia sul Monte Marrone, l’esercito alleato mise in scena una finta battaglia, con finti morti e feriti, conclusasi però con un vero bombardamento che distrusse parzialmente il centro abitato, e ciò al solo scopo di girare un film di propaganda sull’assalto alla Linea Gustav. L’immagine delle case sbrecciate del borgo fu immortalata dallo stesso Moulin su alcuni pastelli oggi custoditi presso il comune di Rocchetta a Volturno, la cui amministrazione ha in programma l’allestimento di un museo che, fra originali e riproduzioni, possa ospitare opere e altre memorie dell’artista.

UN FILM PER RICORDARE MOULIN

Intitolato “Moulin, il poeta del pastello”, nel 2015 è uscito il film-documentario col quale Pierluigi Giorgio – documentarista, ricercatore di tradizioni popolari, fotografo, attore e regista, attento da decenni alle tematiche ambientali e alle tradizioni popolari – ha voluto celebrare l’affascinante figura di Charles Lucien Moulin, l’uomo che abbandonò tutto per vivere in Molise in simbiosi con la natura, i suoi colori e la sua luce, dedicandosi con rinnovato spirito alla sua arte. Il lavoro, che si avvale delle riprese e del montaggio di William Mussini, è frutto di una ricerca decennale che ha portato alla individuazione di documenti, testimonianze, immagini fotografiche dell’artista e di suoi lavori, articoli di stampa e anche la registrazione di un’intervista, materiali che il regista ha scelto di fondere, fra presente e passato, con una ricostruzione sceneggiata di grande suggestione che lo vede recitare nell’intenso ruolo del protagonista. Un percorso di immedesimazione che nasce da una vera e propria passione per questo singolare personaggio, oltre che dall’amore per il Molise, anch’esso protagonista del racconto con i suoi gloriosi paesaggi. Un modo per celebrare un “vate” della natura amica dell’uomo e al tempo stesso per disegnare un ideale percorso turistico-culturale attraverso un territorio di grande bellezza ma poco conosciuto come quello dell’Alto Volturno [nel video seguente il trailer del film].
 

 
Il film*, che ha visto finalmente la luce ben 25 anni dopo quell’accurato lavoro di ricerca, è stato realizzato con il sostegno e il contributo dell’Amministrazione comunale di Rocchetta a Volturno (Is) e la collaborazione di Regione Molise, Parco Nazionale Abruzzo-Lazio-Molise, Comune di Campobasso, Molise Cultura e Provincia di Isernia. Significativo anche l’incoraggiamento giunto da Martine Aubry, sindaco di Lille, città natale dell’artista. Prima ancora di realizzare questo lavoro, la passione per Moulin aveva portato Pierluigi Giorgio ad occuparsi personalmente nel 1990 del recupero della rustica abitazione dell’artista in cima al Monte Marrone, salvaguardando così quella traccia che, insieme alle opere d’arte e ai tanti pensieri lasciati in dono ai suoi interlocutori, testimonia del passaggio terreno di un essere umano speciale, “una creatura solare che – ha scritto Sabino D’Acunto – nella luce del meraviglioso paesaggio molisano trovò motivi sublimi per la sua vita e per la sua arte”.

[*E’ possibile acquistare il DVD contattando personalmente l’autore all’indirizzo email narratoreambulante@yahoo.it o sul suo profilo Facebook]

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Aggiornamento agosto 2019: fortemente voluto dal sindaco Teodoro Santilli, il comune di Rocchetta al Volturno ha inaugurato il 18 agosto 2019, presso la frazione di Castelnuovo al Volturno, il museo dedicato a Charles Moulin, all’interno del quale sono custodite diverse sue opere e vari oggetti legati alla sua vita. Poiché la maggior parte delle opere si trova in collezioni private, l’allestimento di questa esposizione, aperta al pubblico nel centro storico del borgo in cui l’artista trascorse gran parte della sua vita, è stato possibile grazie soprattutto al generoso contributo dell’avvocato Roberto Fiocca, di Castel di Sangro, appassionato di Moulin e collezionista delle sue opere.

Bibliografia:

Massimo Bignardi, Viaggiatori in Molise, Electa, Napoli, 2000, pp. 157
Sabino D’Acunto, Charles Moulin, L’Araldo della Stampa, Roma 1969
Antonia Izzi Rufo, Ho conosciuto Charles Moulin, Ass. Il Cervo, Castelnuovo al Volturno, 1998, pp. 61
Tommaso Evangelista, Oltre il ponte: omaggio a Giaime Pintor e ai caduti della Resistenza, Catalogo della Mostra, Rocchetta al Volturno 2010, pp. 32
Tommaso Evangelista, Charles Moulin. Un’impressione critica in D. Catalano, R. Venditto (a cura di), Pittura in Molise: Luoghi e Personaggi, “ArcheoMolise”, V, 16, Luglio-Settembre 2013

CONTENUTI SPECIALI

1) Nel video seguente il documentario “M’ssiù Mulé. Il mito di Charles Moulin” di Enrica Orlando (2010)
 

 
2) Podcast “Charles Moulin”, di Gianni Palumbo per RAI Wikiradio (2023)

Immagine di anteprima in Home Page: un frame del docufilm “Moulin, il poeta del pastello”, di Pierluigi Giorgio, 2015

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