di Redazione FdS
“Potrà anche darsi che il bisso morirà con me…ma la seta di mare, però, non sparirà; in un altro tempo, in un altro luogo troverà nuovamente la sua espressione, con altri Maestri, perché nell’arte le energie spirituali, così come nella natura le energie chimiche, hanno una loro intrinseca necessità di esplodere e di manifestarsi.”
Chiara Vigo
“Indossai alla svelta i miei abiti di bisso…Gli feci sapere che erano intessuti di quei filamenti lucidi e serici che fissano alle rocce le nacchere, specie di conchiglie frequenti intorno al Mediterraneo. Una volta, se ne facevano belle stoffe, calze, guanti, essendo questi filamenti nel tempo stesso morbidi e calorosi.”
Jules Verne, in Ventimila leghe sotto i mari, 1870
Quella che stiamo per raccontarvi è una storia straordinaria, una di quelle storie in cui realtà e mito si fondono in qualcosa di unico che ha il sapore magico della leggenda. La realtà è quella di un’arte millenaria, la lavorazione del bisso, fibra tessile di origine animale e marina, mentre il mito è quello delle origini di quest’arte, origini che si perdono nella notte dei tempi legandosi a figure, vicende, simboli, la cui memoria si affida alla potenza e alla fragilità della tradizione orale. La straordinarietà di questa storia si collega però anche alla vicenda esistenziale di una persona, una donna sarda nostra contemporanea che ha il primato di essere l’unico Maestro europeo, e forse l’unico rimasto al mondo, capace di lavorare una fibra impiegata per millenni nella realizzazione di capi e accessori per Re, Imperatori e figure sacerdotali. Una tecnica che ha origini remote, circa dieci mila anni fa, nella terra di Mesopotamia, e che ci riconduce a manufatti leggendari come il famoso Vello d’oro cercato da Giasone, le vesti del re Salomone e della regina Ecuba, i bracciali di Nefertari e il copricapo di Keope, che la tradizione considera realizzati con il prezioso bisso. Lei è Chiara Vigo (su Maist’e Pannnu, Maestro di tessuto), originaria della cittadina di Sant’Antioco, sull’omonima isola sarda, e la sua storia personale farà da filo conduttore di questo nostro racconto.
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Immaginate una donna di 58 anni, volto mediterraneo dai tratti decisi e dall’espressione volitiva, mentre in una notte di primavera inoltrata si immerge al chiarore della luna nelle acque di Sant’Antioco, un’isola nell’isola di Sardegna, collegata alla terraferma da un antico ponte di origine fenicia. Immaginatela mentre lo fa senza usare né bombole da sub né pinne, con la stessa abilità di un pescatore di perle della Polinesia. Siamo a sud-ovest, nella regione del Sulcis-Iglesiente, in un territorio ricco di storia diviso fra il borgo di Sant’Antioco, il più popoloso e sorto sulle rovine dell’antica città fenicio-punica di Sulci, e quello di Calasetta, secondo centro abitato più importante dell’isola, a sua volta circondata da due isolotti disabitati, detti, il più lontano, Il Toro, e il più vicino alla costa, La Vacca, affiancato quest’ultimo da uno scoglio denominato Il Vitello. In queste acque Chiara si immerge a 13 metri di profondità per raccogliere i bruni filamenti prodotti da un mollusco: la Pinna Nobilis. Con essi ottiene quella “seta” del mare che utilizzerà per creare tessuti e ricami, ormai presenti in alcuni dei più importanti musei del mondo; manufatti che, a parte la finezza di ogni dettaglio, hanno la particolarità, se esposti alla luce del sole, di assumere una magica aura dorata. Il filo di bisso sembra infatti giocare con la luce, mostrandosi color bronzo in penombra, color oro se illuminato e quasi invisibile se esposto in controluce.
Chi ha avuto occasione di conoscere Chiara la descrive materna e accogliente e conserva di lei l’immagine di una Penelope dei nostri tempi, intenta al telaio di tipo mesopotamico su cui lavora per portare a compimento quella che per lei è una ‘missione’, e non per ingannare l’attesa di un Ulisse di cui non ha bisogno dato che la protagonista del mito è lei e soltanto lei. Le sue mani, ora lentamente ora velocemente, sfiorano sapienti quella fibra che la tradizione popolare definisce ‘seta marina’ o ‘capelli d’angelo’, ossia quei sottilissimi filamenti che la Pinna Nobilis, la più grande conchiglia del Mediterraneo, produce con estrema lentezza. Questo mollusco è stato dichiarato a rischio di estinzione nel 1992, e quindi protetto, da quando una dissennata pesca a strascico ne aveva messo a repentaglio la sopravvivenza. E’ un bivalve che può superare la lunghezza di un metro e si trova nelle praterie di alga ‘posidonia’ che circondano l’isola di Sant’Antioco dove l’animale è tornato a prosperare grazie a una raccolta del bisso che non prevede più la sua uccisione.
Chiara infatti, nelle sue immersioni si limita a resecare con un piccolo attrezzo tagliente parte di quei filamenti, riportandone a galla poche centinaia di grammi dopo centinaia di immersioni. Pescatrice e vestale di una tradizione di cui custodisce gelosamente i segreti, raccoglie questo regalo del mare generato dal continuo movimento delle valve di un mollusco che nel suo involucro – madreperlaceo all’interno e scabro all’esterno – produce anche fragili perle colorate oltre a celare la ghiandola setacea all’origine dei preziosi filamenti. Ecco come Chiara descrive tale magico processo naturale: “Di tanto in tanto la Pinna secerne una bava a base di cheratina che a contatto con l’esterno si solidifica. Ha l’aspetto di una barba grezza e incolta, ma portata dal buio alla luce si trasforma in bisso, un vello d’oro soffice e biondo con cui venivano tessute e ricamate le vesti pregiate di re e sacerdoti. Ne parla anche la Bibbia che cita il tessuto degli abiti di re Salomone e della regina Ecuba, così come ne ha parlato Aristotele. Più sottile di un capello umano è mille volte più resistente, non si deteriora e non viene attaccato dagli insetti. Gli antichi caldei, egizi, greci, ebrei, lo usavano per creare i loro paramenti sacri”.
L’espressione usata da Chiara “Dal buio alla luce” è anche il titolo di un libro che la giornalista Susanna Lavazza ha scritto al termine di due anni trascorsi al fianco della enigmatica “signora delle acque”. In un’intervista, l’Autrice ha raccontato come sia progressivamente passata da uno stato di iniziale scetticismo rispetto a tutto ciò che aveva sentito dire su Chiara Vigo, ad una illuminante constatazione della veridicità di ogni minimo dettaglio: dalla raccolta del bisso in immersione, nel mese di maggio e con la luna nuova, con indosso una lunga tunica di lino e munita solo d’un paio di occhialini, delle proprie unghie e di un piccolo bisturi, alla necessità di un centinaio di immersioni a 13 metri di profondità per portare in superficie appena 3 etti di filamento grezzo trasformabili in 30 grammi di filo pulito e 18 metri di filo ritorto (è quanto ha impiegato, ad esempio, per realizzare la ‘Natività’ custodita al Museo Pigorini di Roma). Susanna Lavazza è stata anche testimone dei quotidiani momenti che Chiara dedica alla preghiera in riva al mare, all’alba e al tramonto, dei suoi canti in aramaico al cospetto delle onde, delle litanie e dei carmi magici nel misterioso linguaggio del popolo di Nur, plurimillenario abitante dei nuraghi. Ad emergere da questa irripetibile esperienza è un legame inscindibile col mare, elemento di fronte la quale è stata trasmessa a Chiara l’iniziatica arte del bisso: e all’origine di tutto un giuramento fatto sulla riva in cambio dell’acquisizione della “formula segreta della trasformazione”, ossia di quella procedura magistrale che rende malleabile e filabile la bava marina che senza l’arte di un Maestro sarebbe solo un grumo informe di filamenti.
Tutto ciò però ha richiesto delle dure prove preliminari: prove di carattere, di concentrazione, di abilità e di forza; quelle stesse prove che hanno ad esempio permesso a Chiara di resistere alle tentazioni del denaro, come nel caso dei giapponesi che le offrirono due miliardi e mezzo di lire perché vendesse loro “Il Leone delle Donne”, un arazzo ricamato con un bisso pescato da sua nonna nel 1938. “Il bisso – ammette Chiara senza rimpianti – non si può né vendere né comprare, e non soggiace alle leggi di mercato, perché è un bene collettivo: si può solo ricevere o regalare”. Diventare una ‘’vestale’’ del bisso ha però richiesto a Chiara anche l’apprendimento della pesca a mani nude, della estrazione di olii e medicamenti dalle piante, delle 124 tecniche di tintura naturale.
La leggenda narra che il primo maestro di bisso in Sardegna sia stato una donna, Berenice di Cilicia, la nobile ebrea che innamoratasi dell’imperatore romano Tito (I° sec.), avrebbe trascorso il resto della sua vita in esilio sull’isola di Sant’Antioco quando lui salì al trono e le malelingue costrinsero i due a lasciarsi. Sull’isola Berenice avrebbe portato con sè l’arte della lavorazione del bisso e lì sarebbe rimasta fino alla fine dei suoi giorni, come testimonierebbe una misteriosa tomba che reca il suo nome [continua dopo la photogallery].
E’ questo dunque il mondo di Chiara Vigo, donna capace d’altro canto anche di vivere con disinvoltura la modernità del presente, gestendo rapporti con le migliaia di persone di tutto il mondo che ogni anno vanno a visitare il suo meraviglioso Museo-laboratorio del Bisso*; con gli accademici che da Australia, Usa, Svizzera, Francia, Israele (in particolare rabbini paleografi ed epigrafisti), chiedono di conoscere e studiare la sua affascinante realtà; con gli studenti universitari che scelgono lei e la sua arte quali argomenti delle loro tesi di laurea. Mentre l’Italia nicchia (Chiara Vigo nel 2008 è stata nominata Commendatore della Repubblica ma i nostri connazionali che vanno a visitare il suo laboratorio sono purtroppo la minoranza), all’estero le hanno tributato il Premio ‘Un bosco per Kyoto’ quale riconoscimento per il rispetto dell’ambiente, e al tempo stesso la sua arte nel 2005 è stata dichiarata dall’Unesco ‘Patrimonio Immateriale’ dell’Umanità.
Suoi lavori di tessitura e ricamo sono esposti in musei prestigiosi come il Louvre e il British Museum, mentre una preziosissima cravatta in bisso regalata al presidente statunitense Bill Clinton si trova oggi custodita nel Museo Nazionale di Washington. Grata, ma incurante, di tanta notorietà internazionale, Chiara Vigo – immersa fra gli oggetti del suo laboratorio ospitato in un suggestivo ed austero palazzotto ottocentesco – prosegue in quella missione alla quale si sente predestinata e ricorda ancora una volta come a iniziarla e a formarla in questa mirabile arte sia stata la nonna materna Leonilde Mereu, custode degli antichi segreti della lavorazione del bisso. “Io non me ne ero accorta, mia nonna aveva tessuto dentro di me un arazzo che non si sarebbe disfatto mai”, dice Chiara con emozione. Un rapporto, quello di Chiara con la preziosa fibra, che inizia prestissimo e che la vede già a 4 anni intenta a filare, mentre a 13 è già in grado di manovrare l’enorme telaio per la tessitura.
A questo punto viene spontaneo chiedersi chi sarà in grado di farsi carico del suo inestimabile lascito. Chiara dal canto suo spera nella figlia secondogenita Maddalena, 24 anni, che a quanto pare è una provetta nuotatrice come la sua bisnonna e sua madre. Potrebbe essere lei l’erede del misterioso anello che dà il diritto di fregiarsi del titolo di Maestro del Bisso. Forse in un futuro non troppo lontano la ragazza potrebbe essere chiamata a pronunciare lì, in riva al mare, quel giuramento che esordisce con un’invocazione ai venti dal sapore omerico per poi trasformarsi in una solenne preghiera:
«Ponente, Levante, Maestro e Grecale
Prendete La mia anima e
Buttatela nel fondale
Che sia la Mia Vita
Per Essere, Pregare e Tessere
Per Ogni Gente
Che da me và e da me viene
Senza Tempo, Senza nome, Senza Colore, Senza Confini,
Senza denaro.
In nome del Leone dell’Anima Mia e
Dello Spirito Eterno.
Così Sarà.»
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Fonti: “Dal buio alla luce”, di Susanna Lavazza (Cartabianca edizioni)
www.chiaravigo.com
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Documenti:
Immagini di Chiara Vigo al lavoro
Tesi di Laurea di Mario Cubillas: L’Arte della Maestria
Un maestro sardo del passato: Italo Diana
Altro ancora sulle leggendarie origini della lavorazione del bisso e sulla figura di Chiara Vigo
Intervista video a Chiara Vigo per Sardegna Digital Library
Il bisso nella Bibbia
Certo che due paroline su Italo Diana…
Gentile signor Achille, evidentemente lei non se n’è accorto, ma ad Italo Diana abbiamo riservato un link nella sezione Documenti, in calce all’articolo: “Un maestro sardo del passato: Italo Diana”.
Potrei sapere gentilmente da chi avete avuto le informazioni pubblicate nell’articolo? Grazie
Gentile Antonella, la Redazione di una rivista, prima di affrontare un argomento che presenti, come in questo caso, molteplici sfaccettature – di carattere storico, naturalistico, umano – provvede a documentarsi sull’argomento. E lo fa ricorrendo a fonti dirette – in questo caso, la stessa signora Vigo, protagonista del racconto, che abbiamo contattato – oppure indirette, come possono essere pubblicazioni specifiche sull’argomento. Se presta attenzione alla parte finale dell’articolo, noterà che in calce è indicata una delle fonti principali utilizzate per questo servizio, e cioè il libro di Susanna Lavazza “Dal buio alla luce” oppure ancora il sito web della signora Vigo.
Buonasera sig.ra Senis, sappia che siamo in molti a controllare che le pubblicazioni che riguardano il Maestro Chiara Vigo – siano articoli di giornale, video, saggi oppure libri (sia in versione cartacea che digitale) corrispondano a documenti d’archivio o alla sua parola diretta. Marta Romani