“Voglio ringraziare tutti coloro che, lungo il mio viaggio, hanno contribuito a mantenere vivo il fuoco della musica. Mi auguro che quanti hanno l’dea di poter scrivere, suonare, esibirsi o altro lo facciano. Se non lo fate per voi stessi almeno fatelo per noi. Il mondo non solo ha bisogno di più artisti, è anche molto divertente esserlo. E ai miei fantastici amici musicisti che sono stati come una famiglia per me da quando li conosco: è stata una benedizione e un onore imparare e suonare con tutti voi. La mia missione è sempre stata quella di portare la gioia del creare ovunque ho potuto, e averlo potuto fare con tutti gli artisti che ammiro è stata la ricchezza della mia vita.”
Chick Corea, 2021
di Redazione FdS
Sono state queste le toccanti parole con cui Armando Anthony “Chick” Corea, una delle leggende del Jazz internazionale, ha preso commiato da questo mondo dopo aver avvertito l’inesorabile avvicinarsi della fine, sopraggiunta in Florida lo scorso 9 febbraio, a 79 anni, a causa di una rara forma di tumore che lo aveva colpito di recente. “Era un amato marito, padre e nonno, e un grande mentore e amico per tanti. Attraverso il suo lavoro e i decenni trascorsi in giro per il mondo, ha toccato e ispirato la vita di milioni di persone”, è stato invece il messaggio di cordoglio diffuso da coloro che lo hanno conosciuto da vicino e frequentato. Una lunga carriera dagli esiti eccezionali ne ha fatto uno dei più importanti pianisti jazz della seconda metà del ‘900 e del nuovo inizio di millennio insieme a Herbie Hancock e Keith Jarrett: oltre 80 album pubblicati (di cui 53 da solista), 67 nomination e 23 vittorie ai Grammy Awards (l’ultima è del 2020, nella categoria migliori album di musica jazz latina, con Antidote, registrato insieme alla Spanish Heart Band, e non è escluso possa conquistane due postumi essendo candidato per il 2021 in due categorie: miglior solo jazz improvvisato per All Blues e miglior album strumentale per Trilogy 2).
Fondamentale – come compositore ed esecutore – il suo contributo allo sviluppo del jazz nella seconda metà del secolo: sue composizioni come Spain, 500 Miles High e La Fiesta sono ormai considerati veri e propri classici del jazz. Alla fine degli anni ’60 ha suonato nella band di Miles Davis, collaborando ad album storici come In a Silent Way e Bitches Brew. La sua esperienza nel mondo della musica era in realtà già iniziata alcuni anni prima con il trombettista Blue Mitchell e con alcuni grandi della musica latino-americana come Mongo Santamaria e Willie Bobo. Nel 1966 lo troviamo in quintetto con Woody Shaw alla tromba e Steve Swallow al contrabbasso. Di due anni dopo è il primo album che lo ha visto come leader, Tones For Joan’s Bones, seguito poco dopo dal leggendario Now He Sings, Now He Sobs in cui suona con Roy Haynes alla batteria e Miroslav Vitous al contrabbasso [nel video seguente Chick Corea con Miles Davis in concerto a Copenaghen, 1969].
Ai primi anni ’70 risale la sua collaborazione con il gruppo Circle, un complesso jazz d’avanguardia in cui militavano Anthony Braxton, Dave Holland e Barry Altschul. Nel ’71 ha fondato i Return to Forever, uno dei maggiori gruppi del movimento jazz-fusion dell’epoca, col quale ha vinto il suo primo Grammy nel ’75 con l’album No Mistery. Anche dopo il loro scioglimento nel 1977 (il gruppo si è poi riformato nel 2008) Chick Corea ha proseguito nella sua prolifica attività di compositore e strumentista collaborando verso la fine degli anni settanta con il vibrafonista Gary Burton, con il quale ha inciso numerosi album, nonché formando e capeggiando gruppi come Chick Corea Elektric Band e Chick Corea Akoustic Band, veri vivai di nuovi talenti jazz come John Patitucci, Dave Weckl, Eric Marienthal e Frank Gambale. Non si contano le collaborazioni con numerosi altri artisti del calibro di Herbie Hancock, Keith Jarrett, McCoy Tyner, Michael Brecker, Stanley Clarke, Bobby McFerrin, Pat Metheny e numerosi altri. Una straordinaria apertura al sodalizio artistico quale inarrestabile stimolo e fucina di creatività. Del resto – come Corea ha dichiarato in un’intervista del 2018 per la serie Jazz Night in America – ha sempre coltivato l’idea che agli artisti spetti “il compito di essere un antidoto alla guerra e a tutti i lati oscuri di quello che accade sulla Terra”, essendo coloro a cui tocca “ricordare alle persone il valore della propria creatività” [nel video seguente Chick Corea con John Patitucci (basso) e Vinnie Colaiuta (batteria) in Tumba, 1992].
La sua musica ha portato Chick Corea a esibirsi in tutto il mondo e a intrecciare rapporti anche con musicisti locali. Un percorso che non poteva non fare tappa anche in Italia, terra in cui affondano le radici della sua famiglia: i nonni paterni (Antonio Corea, calzolaio, ed Ernestina Antonia Fotino, casalinga) approdarono rispettivamente nel 1896 e nel 1900 a New York (destinazione Boston) da Albi (Catanzaro), paesino calabrese della Sila Piccola (la nonna era però nativa della vicina Magisano), mentre i nonni materni (Salvatore Zaccone e Caterina Donato) originari di Messina, giunsero negli USA nel 1907. Suo padre, Armando Giambattista (“John”, 1906), trombettista nei night club in una formazione Dixieland, e la madre Anna (1909), sarta, nacquero entrambi a Boston; nei loro confronti l’artista ha avuto parole di grande affetto in un video-post pubblicato su Facebook nel 2020: “I miei genitori sono stati i migliori di sempre. Ho scritto un tango per mia madre Anna intitolato Anna’s Tango. Ecco una piccola versione di Armando’s Rhumba scritta per mio padre che mi ha così dolcemente introdotto nel mondo della musica”.
All’origine del soprannome ”Chick” fu proprio il nonno calabrese Antonio che, tenendolo sulle ginocchia da bambino, lo dondolava ripetendogli come una nenia “chick, chick, chick, chick…’’ Il primo contatto con la musica fu invece favorito dal mestiere del padre che lo accostò al pianoforte alla tenera età di quattro anni. Il suo rapporto con questo strumento diventò presto viscerale proseguendo con gli studi accademici a New York, sua città di adozione (lui era nato a Chelsea, vicino Boston) e trampolino di lancio per il suo ingresso nel mondo del jazz, quella musica sincopata che, nata anni prima a New Orleans, aveva subito affascinato molti immigrati italiani pronti, con il loro talento, a contribuire alla sua evoluzione [nel video seguente Chick Corea col suo Vigilette Trio allo Scullers Jazz Club di Boston, 2018].
L’Italia è tornata in diverse occasioni nella vita di Chick Corea, come quella volta in cui, nel 1993, Pino Daniele – col quale aveva condiviso il palco nel 1992 al Concertone del Primo Maggio – lo volle al suo fianco per una riedizione di Sicily, pezzo composto e inciso da Corea negli anni Ottanta e inserito dal cantautore partenopeo nell’album Che Dio ti benedica, vincitore di una Targa Tenco. È questo il brano col quale, durante un suo concerto a Napoli nel 2016, ha voluto ricordare Pino Daniele e rendergli omaggio. Diverse anche le collaborazioni con Stefano Bollani col quale ha inciso nel 2011 l’album Orvieto, versione discografica del duo formatosi nel 2010 a Umbria Jazz Winter Festival; e proprio nel prossimo Umbria Jazz 2021 era prevista una nuova data insieme. Il luogo delle origini, Albi, torna invece con forza alla sua attenzione nel 2012, quando proprio con Bollani è stato ospite del Festival Armonie d’Arte nel parco archeologico di Scolacium, a Roccelletta di Borgia (Cz). In quell’occasione una delegazione di albesi (numerosi i Corea presenti) riuscì a salutarlo dopo il concerto. Per l’artista, che pure 30 anni prima aveva raggiunto in incognito il paese dei nonni insieme ai genitori e al figlio, quella visita è stata occasione di forti emozioni: la delegazione non solo gli portò una ricostruzione genealogica delle sue origini ma anche una statuina di San Nicola da Tolentino, protettore di Albi e molto venerato dagli emigranti sparsi per il mondo; effigie che, molto emozionato, l’artista disse di conoscere bene essendo molto cara al nonno; un regalo finito orgogliosamente in bella vista sul suo pianoforte di casa. Da lì la promessa, rimasta purtroppo irrealizzata, di tenere un giorno un concerto nel paese dei nonni, magari in occasione della festa del Santo [nel video seguente Chick Corea nella versione originale di Sicily].
L’amore di Chick Corea per l’Italia ritorna prepotentemente nel 2014 quando l’artista arriva nel nostro Paese con il tour My Italian Heart, uno show per piano solo partito dal Teatro Bellini di Napoli. In quella occasione, oltre a ribadire il proprio legame con l’Italia, si disse rammaricato di non aver imparato la nostra lingua, ricordando come il nonno Antonio fosse l’unico a non essersi mai arreso all’inglese, a differenza dei genitori nati sul posto e troppo impegnati a integrarsi come americani. Tuttavia ci tenne a sottolineare come nel concerto avesse scelto di inserire, a sorpresa, anche alcune canzoni napoletane, parte di una realtà culturale di cui aveva deciso di riappropriarsi con più forza dopo l’incontro con i parenti sopra descritto e la collaborazione avviata con Pino Daniele della quale si disse molto fiero [nel video seguente un estratto del documentario Cick Corea: The musician dedicato al rapporto del musicista con la città di New York].
Fu questa un’ulteriore riprova di come Chick Corea fosse riuscito sempre a guardare oltre gli steccati dei generi musicali, non a caso da lui considerati un artificioso limite per la musica, che per sua essenza è godimento da vivere e da regalare agli altri, a prescindere dal genere. In una intervista a La Repubblica dichiarò infatti che “provare a descrivere le musiche è qualcosa che somiglia al vapore, che in pochi attimi si disintegra nell’aria”, aggiungendo un breve riassunto delle sue passioni: “la musica spagnola che si balla ad Harlem. Le sonate di Bach. I dischi del quintetto di Miles Davis. La musica per il teatro Kabuki. E Songs in the Key of Life di Stevie Wonder”. In quest’ottica si inquadra anche il suo mai sopito interesse per il repertorio classico, come dimostrano le sue collaborazioni con la London Philharmonic Orchestra e la Sydney Symphony Orchestra e, da ultimo, il concerto tenuto ad ottobre 2020 a Clearwater, in Florida – dove abitava da anni – con un programma per piano solo che andava “da Mozart a Monk”, tratto dal suo album più recente, Plays, nel quale spazia da Scarlatti e Gershwin a Stevie Wonder, evitando di lasciarsi ingabbiare da categorie preconcette, come ha fatto in tutta la sua straordinaria carriera.
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