di Anna Laura Orrico*
Un weekend come tutti gli altri può facilmente trasformarsi in un piacevole viaggio e questo accade anche spostandosi di pochi chilometri. Arrivati a Civita non ti aspetti tutto quello che può offrire questo splendido borgo, tra l’altro classificato tra i più belli d’Italia. Un piccolo paesino arroccato sul Pollino, tra comignoli e case Kodra (le case antropomorfe) che si affacciano sulle Gole del Raganello tra natura incontaminata e gustosi prodotti gastronomici locali.
Arriviamo a Civita in un pomeriggio di fine ottobre e per fortuna in Calabria l’autunno è spesso una nuova primavera e così decidiamo di incamminarci verso il Ponte del Diavolo scendendo a picco verso le gole del fiume Raganello. La camminata è tutta in discesa e lungo il selciato incontriamo un’antica filanda. Sono eccitata: e quando mai avrei pensato di visitare una filanda incastonata nel canyon del Raganello, quasi in bilico tra terra e cielo, in Calabria? Mi riempio di aspettative pronta a mettere mano al portafogli per fare il mio giro nell’antica Filanda…se non fosse che la filanda è chiusa, tra erba alta e saracinesche abbassate e il Mulino ad acqua accanto al Ponte del Diavolo è senza porta, e il suo interno mostra i segni evidenti di un incendio e di abbandono, la prima promessa viene tradita.
Tuttavia sono una calabrese e sono abituata, ahimè, a trovare musei chiusi e aree archeologiche cementificate, così senza scoraggiarmi vado avanti fino a raggiungere il Ponte del Diavolo: la natura non delude e lo stupore fa breccia nel mio cuore, lo spettacolo dall’alto è sensazionale tra i laghetti e le cascate che si creano per la lotta tra la forza impetuosa dell’acqua e le rocce della montagna che maestosa incombe su di noi. Vorrei non staccare più gli occhi da quello che vedo, la pace di un silenzio interrotto solo dai rumori della natura…ma la risalita mi aspetta e per fortuna che c’è la navetta! La risalita è spettacolare e ad accoglierci troviamo una buona degustazione di prodotti locali in una simpatica boutique della gastronomia calabrese. La serata ha fatto il suo ingresso accompagnata da uno splendido crepuscolo e diverse tartine ai sapori piccanti che la mia terra generosamente offre ai viaggiatori affaticati.
La nostra cena è affidata alla padrona di casa nel B&B Il Comignolo di Sofia che ci ospita e ci rapisce in un turbinio di sapori nostrani tra peperoni cruschi, formaggio e capicollo con marmellata di peperoncini, un buon vino della casa e siamo pronti per lasciarci andare ai racconti, alle storie dell’anima e dei cuori che pulsano tra le vette del Pollino. Sulla terrazza l’ennesimo stupefacente effetto: un cielo stellato così farebbe invidia al film Interstellar…è un tripudio di costellazioni e pianeti incorniciati tra le montagne e il mare invisibile all’orizzonte. Mi verrebbe voglia di comprare un telescopio e di dormire tutta la notte sotto le stelle…ma dopo tutto è sempre autunno e siamo quasi a 800 metri di altezza.
La domenica mattina decidiamo di passeggiare tra i vicoli di Civita, dopo aver fatto una colazione creativa preparata con amore tra crostate di marmellata rigorosamente home made e un pasticcio cremoso di frutta e miele di fico. Alla ricerca delle Case Kodra e dei comignoli di Civita! Questa la nostra missione. Tra un vicolo e una piazza scopriamo le fontane apotropaiche, ci inerpichiamo fino alla parte più alta del borgo per vedere una delle più belle Case Kodra che si chiamano così per via della stretta somiglianza con i dipinti del famoso pittore albanese Ibrahim Kodra. E così le Case Kodra diventano un brand per costruire marketing territoriale e rendere unico un borgo che in Calabria potrebbe essere come tanti altri. Chi non ha mai visitato Civita non può capire il fascino che cela ogni comignolo che sembra guardarti dall’alto arrabbiato o piuttosto guardingo, pronto a spaventarti perché la loro funzione era proprio quella di mettere paura agli spiriti maligni.
Ma quante bellezze che ci sono in questa Civita! Quanta storia non raccontata ma poco a poco sussurrata, quanta identità impregnata nelle viscere di una terra che da più di 500 anni ospita una comunità arbreshe (una delle poche o tante dipende dai punti di vista, che ci sono in Calabria), ennesima promessa mancata dello sviluppo culturale e poi turistico di questa regione. Un tesoro prezioso che nessuna politica, neppure quella nata nei paesini arbereshe, ha voluto valorizzare e trasformare in una grande risorsa quale potrebbe essere. Non basta un Museo delle tradizioni e dei costumi per dare valore ad un popolo che ha un passato tortuoso e che nonostante tutto ha saputo tutelare la propria cultura provando a integrarla con quella calabrese. Dove sono gli eventi dedicati all’identità arbëreshe? Magari basterebbe un caffè letterario dove poter leggere autori e filosofi albanesi e arbereshe, dove studiare i poeti e ammirare i pittori di questa minoranza linguistica, dove tra un caffè e un mate approfondire l’idioma italo-albanese ascoltandone anche la musica.
Ogni volta che visito un paesino arbëreshe, e mia madre è arbëreshe, trovo sempre le stesse promesse mancate che si uniscono a quelle mancate di ogni antico borgo calabrese: gli operatori privati provano e si sforzano per costruire servizi, prodotti e quell’immagine che tanto serve a comunicare l’offerta culturale e turistica di un luogo, e dove il privato non arriva il pubblico ovviamente non arriverà a sopperire: a cosa serve il Museo virtuale della civiltà arbëreshe se neppure il patrimonio culturale reale e tangibile viene tutelato e valorizzato? Poi se questo Museo è chiuso e situato in una piazza completamente deserta…la sua inutilità è ancora più evidente. Perché il Centro ecomuseale del paesaggio della Valle del Raganello – un progetto iniziato con il partenariato di realtà scientifiche e università italiane ed europee, con una metodologia di progettazione partecipata – oggi è un contenitore, aperto solo negli orari del Comune e non svolge il ruolo per cui è nato e per cui è stato finanziato?
Civita è passata alla storia in Calabria perché ad un certo punto ha saputo risvegliarsi dal sonno e costruire un brand accompagnato da un progetto serio di turismo basato sulla capacità di mettere insieme cultura, natura e cibo (ovvero gli asset del turismo made in Italy). Una ricetta con ingredienti molto semplici, differente e migliore di tante altre perché la preparazione è stata fatta differentemente: un’amministrazione pubblica con una visione chiara, una serie di professionisti reclutati e ascoltati, una comunità che si è attivata correttamente per accogliere un metodo diverso di fare le cose offrendo qualità prima ancora che quantità. E tutto questo oggi consente a Civita di avere “un posto al sole” nel panorama dell’accoglienza calabrese, grazie all’impegno dei privati. Ma ad un certo punto tutto questo potrebbe non bastare, è assente una seppur minima visione e azione della parte politico-istituzionale e le tante promesse ancora da realizzare sono diventate progetti vuoti, finanziati con milioni di euro, qualche posto di lavoro promesso in campagna elettorale ed ecco che Civita resta “una promessa mancata”.
Un paio di bar in piazza, luoghi deputati (e finanziati) all’animazione culturale e alla promozione turistica chiusi e una filanda chiusa, invece di impregnare i vicoli del borgo di botteghe artigiane, localetti per incontrarsi con i sorrisi di belle fanciulle e il ritmo delle musiche che l’etnia italo-albanese racconta. E poi, dulcis in fundo, non c’è uno sportello bancomat, a dispetto dei 23 bed and breakfast in paese e dei circa 11 mila visitatori annui provenienti da tutto il mondo (come orgogliosamente i volontari del bel Museo Etnico Arbëreshe dimostrano sul registro visitatori). Per poter prelevare il contante bisogna recarsi a Frascineto (7 Km).
Ma quale visione ha chi amministra questo gioiello che è Civita? Come sostiene l’iniziativa privata che fa passi da gigante? Quale futuro prospetta per chi vive a Civita e investe le proprie risorse? Eppure, tra “promesse mancate” e segni dell’abbandono esistono e resistono persone che ci credono: un Consorzio turistico che convoglia per 8 mesi l’anno viaggiatori americani ogni settimana, gestori dell’ospitalità e dell’accoglienza che attraverso le loro case e la consapevolezza del valore del loro territorio mettono anima e corpo in quello che fanno. Paradossalmente, (ma forse in Calabria è questa la normalità) tutto intorno non segue questa onda di innovazione e la sensazione che accompagna chi vive qui è sempre quella di “resistere” e di non aspettarsi nulla di buono dal fronte istituzionale. Civita è senza dubbio un piccolo miracolo di buone pratiche e di turismo di comunità. Ma non so perché la mia Calabria debba sempre lasciare un retrogusto amaro, probabilmente è la natura di una terra che in fondo è aspra perché popolata da montagne rocciose, ma davvero la natura può in tutto e per tutto definire il nostro destino? Io credo di no.
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