di Enzo Garofalo
C’è nell’aria una voglia di recuperare la propria identità, di riscoprirsi consapevolmente parte di quel fiume di idee, esperienze, conquiste, disfatte, sogni, realizzazioni, che viene dal passato e corre verso il futuro, in altre parole delle nostre radici, della nostra storia, della nostra cultura; tappe individuali e collettive di un “viaggio” omettendo le quali non si può immaginare di approdare verso nuovi lidi, verso “terre” sconosciute che è possibile esplorare solo facendo tesoro dell’esperienza derivante dal percorso compiuto fino a questo momento. Urge più che mai rispondere ad alcune domande: come possiamo pensare di modificare in meglio la realtà in cui viviamo, cercando di individuare gli errori da non ripetere, se ignoriamo i passaggi attraverso i quali essa si è formata? Come possiamo – in una società globalizzata – sperare di conoscere e comprendere chi è diverso da noi se noi per primi non sappiamo chi siamo e da dove veniamo? Questa insipienza di noi stessi, della nostra storia collettiva, è uno dei mali più diffusi dell’Italia contemporanea, paradosso vivente di un paese senza memoria che pure racchiude nei suoi confini la memoria del mondo.
Ciascuno tenterà di rispondere a proprio modo a quelle domande, e c’è chi ha pensato di cominciare a farlo utilizzando gli strumenti di comunicazione nati dalla grande rivoluzione digitale, quella stessa rivoluzione che ha ”rimpicciolito” il pianeta annullando le distanze, ma al contempo ha incrementato – quale effetto collaterale – il rischio di una crescente omologazione culturale, capace cioè di fagocitare quelle specificità che al contrario fanno la ricchezza e la bellezza del mondo. Ma poichè il margine di utilizzo di tali strumenti di comunicazione è più che mai ampio, dipende solo da noi riuscire a metterli al servizio di un determinato contesto geografico, umano, culturale, promuovendone le peculiarità, “aprendole” al mondo affinchè tutti possano conoscerle, in un fantastico scambio dal quale non possono che derivare effetti positivi. E’ in fondo da questa idea semplice, ma per nulla scontata, che è nata l’esperienza di Invasioni Digitali. Concepita da due giovani, Fabrizio Todisco e Marianna Marcucci, essa sta alimentando da due anni (l’edizione 2014 si è conclusa lo scorso 4 maggio) un movimento di persone che ha l’obiettivo di supportare il patrimonio culturale “invadendolo” e documentando l’esperienza attraverso il web e i social media. In altri termini dei privati cittadini si stanno sostituendo all'(in)azione dello Stato, decisamente inefficiente nella gestione e promozione dei beni culturali, partecipando attivamente, con i nuovi media, alla narrazione del Patrimonio.
Lo scorso anno Fame di Sud ha ”veicolato” in rete il calendario delle “Invasioni” che hanno costellato l’Italia meridionale. Quest’anno si è invece deciso di raccontare l’esperienza vivendola dall’interno. Abbiamo perciò scelto di partecipare all’Invasione Digitale di Trebisacce, cittadina calabrese magicamente affacciata sull’alto Jonio cosentino. Invitati dai nostri amici e partner di StartUp Calabria, gruppo che aggrega startupper, venture capital, ricercatori, creativi, innovatori, blogger, studenti e chiunque voglia innovare nel territorio calabrese, siamo arrivati a Trebisacce nella mattinata di domenica scorsa con un tempo che minacciava tempesta. Guidati dal vulcanico presidente e co-founder Luigi Mazzei, originario del posto, abbiamo subito avuto occasione di percepire in modo netto il fermento che accomuna tanti giovani calabresi, in controtendenza con i deleterii stereotipi giovanili che quotidianamente vengono riproposti dai mass media. Giovani che stanno puntando sul proprio talento, coltivato attraverso lo studio e l’impegno quotidiano applicati nello sviluppo di idee innovative che mirano ad aprire nuovi spiragli occupazionali in un Sud da cui vorrebbero tanto non dover fuggire. L’uso delle tecnologie digitali occupa un posto di primo piano nelle attuali frontiere dell’innovazione, facendo di questi ragazzi gente che non si limita a navigare, clikkare, chattare e giocare in rete, ma inventa, progetta, crea, costruisce, condivide.
Ai giovani di Trebisacce – fra quanti nell’ultimo mese hanno pianificato Invasioni Digitali in tutta Italia – va il merito di aver organizzato l’evento del 4 maggio con una cura speciale, perchè sono riusciti a sfruttare l’occasione per comunicare al meglio tre luoghi chiave del loro patrimonio culturale andando un po’ oltre la semplice documentazione visiva tramite cellulare o macchina fotografica affidata ai partecipanti e poi immessa nel flusso dei social network o sulla apposita piattaforma di Invasioni Digitali. Le due associazioni organizzatrici (Rizoma e StartUp Calabria) oltre a condurre i partecipanti in un tour culturale alla scoperta di tre luoghi simbolo del paese – l’Ex-Fornace Aletti, il Parco Archeologico di Broglio e le mura del Bastione del Centro Storico – hanno infatti predisposto una mappa interattiva, creata dal tropeano Cesare Fiamingo, che consente con un click di avere informazioni dettagliate su ciascuno dei luoghi ”invasi”. Hanno inoltre coinvolto l’azienda Semiografica di Trebisacce per stampare dei Qr Code, che letti attraverso un semplice smartphone, hanno consentito di ricevere le stesse informazioni sulle località. Per raccogliere immagini dinamiche è stata invece coinvolta l’azienda Graphidea che ha filmato le bellezze del territorio con un drone radiocomandato dimostrando le potenzialità di questi strumenti in campo turistico e culturale. Il giovane gruppo cosentino di Devoloop ha presentato invece il virtual instrument DynaRage, un software di sound design che ha permesso di elaborare in modo creativo suoni ambientali registrati nel corso dell’ “invasione digitale”. Gli spostamenti della prima invasione digitale a Trebisacce sono stati curati dall’azienda Arcuri Automobili, mentre il produttore di Hide, la prima presa elettrica a scomparsa al mondo ideata da un calabrese, ha messo a disposizione di chi twitta di più con l’hashtag #InvadiTrebisacce una presa con cover personalizzata. Presenti a Trebisacce anche i due pluripremiati ingegneri di Viaggiart, piattaforma web che sta sviluppando e diffondendo un nuovo modello di fruizione dei luoghi della cultura, vincitrice di Next “La Repubblica delle idee” 2014 come miglior Startup italiana in ambito turistico.
Tutto questo è stato mobilitato per accendere i riflettori su tre luoghi che davvero meritavano così tanto impegno di energie. Nulla dunque ha potuto il cattivo tempo che fra, pioggia e raggi di sole a intermittenza, ha alla fine permesso la riuscita dell’evento. Dopo un eccellente piatto di trofie ai frutti di mare, il tour è iniziato dalla ex Fornace Aletti, la cui ciminiera in rossi laterizi spicca sullo skyline di Trebisacce, evocando epoche in cui un impianto industriale riusciva a coniugare produttività e dignità estetica. Dal punto di vista tecnologico, essa costituisce una delle prime testimonianze in Calabria dell’utilizzo del cosiddetto “Forno Hoffmann”. Come ci ha raccontato l’architetto Franca Franco, che ha fatto da guida nella visita, la fornace è stata realizzata tra il 1905 e il 1907 per volontà dell’ingegnere varesino Adone Aletti e dell’imprenditore cosentino Luigi Palermo, che ricevettero in concessione dal comune due terreni, uno che ancora conserva la cava d’argilla servita come approvvigionamento di materia prima per la realizzazione dei laterizi, e l’altro su cui venne eretto l’edificio di trasformazione industriale. L’impresa fu senz’altro favorita anche dalla vicina ferrovia da poco allestita. Recentemente ristrutturato con interventi in vetro e metallo ben coniugati con la restante struttura in mattoni, come quelli che vi si producevano agli inizi del ‘900 impiegando un centinaio di persone, l’immobile ha – nei due livelli disponibili – ottime potenzialità di utilizzo come spazio per attività culturali.
Ci siamo quindi trasferiti su uno dei colli verdeggianti che circondano Trebisacce per raggiungere l’area archeologica di Broglio, i cui scavi iniziarono nel lontano 1978 e ininterrottamente proseguono a cura dell’Università La Sapienza di Roma. La collina ha regalato testimonianze di un villaggio protostorico – il più antico d’Italia – abitato per circa 1000 anni dal popolo degli Enotri. Ad accompagnarci c’era la giovane Sara Marino, archeologa nonchè presidente dell’Associazione Rizoma, la quale ci ha spiegato come con l’arrivo dei coloni Greci e la fondazione di Sibari (720-710 a.C.) il sito di Broglio di Trebisacce abbia visto terminare la sua frequentazione. Come testimoniano i reperti ritrovati, parte dei quali esposti nel vicino Museo di Sibari e altri custoditi in deposito, gli Enotri di Broglio ebbero intensi contatti commerciali e culturali già con i Micenei. La sommità della collina dove sorgeva l’Acropoli, con l’imminente allestimento di un parco didattico, ospiterà alcuni modelli ricostruttivi delle case-capanna del tempo e una ricca pannellistica che illustrerà la storia del luogo. Sul colle non vi sono invece emergenze architettoniche in muratura dato che le abitazioni del tempo erano costruite in materiali deperibili come legno e argilla. L’area conserva tuttavia numerose stratigrafie, alcune delle quali ancora aperte a future attività di scavo. Al di là del dato storico-culturale, la collina di Broglio è un meraviglioso sogno ad occhi aperti, una terrazza sull’Infinito e sulla poesia della Natura che chiunque vorrebbe avere dietro l’angolo di casa. Insieme alle colline della vicina Amendolara, offre una vista mozzafiato su tutto l’arco jonico settentrionale e la Piana di Sibari. Parlo di luoghi la cui sola visione, insieme a quella dello Stretto di Messina e del Golfo di Taranto, consente di percepire fino in fondo la grandezza culturale e poetica della Magna Grecia, dando un senso a quanto espresso da Goethe quando diceva che solo lo spirito dei luoghi, oltre a quello degli uomini, può spiegare il nascere di certe forme d’arte e di certi Miti che racchiudono le più profonde verità sull’Uomo. Terre che nonostante le gravi ferite inflitte dall’uomo moderno, riescono ancora a parlare il linguaggio del Sublime.
Il nostro “viaggio” alla scoperta di Trebisacce – prima di accomiatarci da tanta bella gente che da vari luoghi della regione ha partecipato all'”invasione” – si è concluso sulla sommità del Bastione che è quanto sopravvive delle antiche mura difensive della cittadina. Costruite intorno al 1530 per difendersi dalla incursioni dei Saraceni, costarono 87 ducati, reperiti fra gli stessi abitanti che vollero garantirsi un po’ di sicurezza. Non c’erano castelli a Trebisacce – ci spiega la simpatica Caterina De Nardi, giunta improvvisamente a farci da cicerone – e le mura che circondavano l’abitato erano fornite, secondo la tradizione, di 4 porte di accesso: Annunziata, San Martino, San Leonardo e Sant’Antonio.Un mondo di leggende, di ancestrali paure da “mamma li turchi!”, sembrano affiorare da queste antiche pietre, mute testimoni di una storia plurisecolare che dei giovani dell’era 3.0 hanno deciso di riscoprire.
Dalla cima del bastione l’occhio corre lungo la linea costiera e verso l’orizzonte coperto di nubi. Il cielo, nonostante l’assenza di sole, è tutto un volo di rondini che stanno lì a ricordarci questa pazza primavera. Lo sguardo non vorrebbe staccarsi dalla visione di quegli spazi immensi, ma si è fatto tardi. Ci concediamo solo il tempo per un rapido saluto agli amici e alle tante persone che abbiamo conosciuto qui. E’ ora di andare. Invasione compiuta.
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