di Enzo Garofalo
Ascoltare Mozart rifugiandosi nella sua serenità trasfiguratrice – diceva lo scrittore francese Romain Rolland – è come “rifugiarsi sulla cima di un Olimpo dalle linee armoniose e contemplare lontani, nella pianura, il mondo come un vasto mare dai flutti frementi”. Un potere di celebrare la vita e sublimare in musica il dolore e la parte oscura dell’esistenza che traspare già nelle opere adolescenziali del genio di Salisburgo. Di esse, tre esempi sono stati presentati in concerto al Teatro Petruzzelli di Bari, la cui orchestra è stata diretta da Ottavio Dantone, celebre direttore musicale della Accademia Bizantina di Ravenna nonché frequentatore di preziosi repertori più e meno conosciuti. Si tratta di due sinfonie e di alcuni estratti di un oratorio, opere composte durante o subito dopo il primo trionfale viaggio che Mozart compì in Italia insieme al padre nel biennio 1770-1771 e che lo portò fino a Napoli. Era appena un imberbe quattordicenne quando Mozart arrivò nel nostro Paese, ma raccolse grande successo negli ambienti musicali, ritornando a Salisburgo carico di riconoscimenti oltre che reduce dal suo primo successo operistico italiano con Mitridate, re di Ponto andato in scena al Teatro Regio Ducale di Milano nel 1770. Non arrivarono invece quelle commissioni importanti e quel posto stabile nei quali pure aveva sperato; una disillusione che non gli impedì di serbare un caloroso ricordo del nostro Paese.
Ha aperto il concerto barese la Sinfonia n. 10 in sol maggiore K74 composta a Milano all’età di 14 anni, proprio mentre scriveva il Mitridate. Concepita per due oboi, due corni e archi presenta la forma di Ouverture o Sinfonia Italiana ed è articolata nei movimenti Allegro-Andante, Allegro, in cui l’Andante non è un movimento separato, ma costituisce parte integrante del primo movimento, seguendo l’Allegro senza cesure. Freschezza e leggiadria sono le cifre distintive di questo piccolo lavoro, sufficiente peraltro a testimoniare la straordinaria capacità dell‘enfant prodige di conferire alle note un equilibrio e una simmetria di forme che già raggiunge la perfezione. Il tutto eseguito da orchestra e direttore con vivacità di accenti ed una sapiente sottolineatura della ricchezza melodica e contrappuntistica del pezzo.
Cambio di atmosfere e incremento degli strumenti (i corni diventano quattro e compaiono anche due fagotti) nella Sinfonia n. 25 in sol minore K183, composta nel 1773 e detta anche “la piccola in sol minore” per distinguerla dalla K550 che è nella stessa tonalità. Composta in quattro movimenti secondo i canoni del Classicismo, essa è espressione della già vasta esperienza e maturità raggiunte dal compositore ancora diciassettenne. Toni di delicata malinconia ma anche di più incisiva drammaticità riportano alla fase Sturm un drang del compositore austriaco Joseph Haydn, per cui Mozart nutrì sempre grande ammirazione, e in particolare alla sua Sinfonia n. 39 in sol minore che secondo gli studiosi mozartiani avrebbe ispirato nel giovane salisburghese la scelta della tonalità. Anche in questo caso Dantone è riuscito a rendere omaggio con indiscutibile maestria ai ritmi serrati e allo svolgimento ricco e drammatico di un’opera considerata da molti l’inizio della più importante produzione sinfonica di Mozart.
Sempre al periodo giovanile appartiene anche La Betulia liberata K118, azione sacra in due parti per soli, coro e orchestra composta nel 1771 (all’età di 15 anni) in occasione di un viaggio a Padova, su un libretto che Pietro Metastasio aveva scritto a Vienna per i riti della Settimana Santa. Il testo si ispira al biblico Libro di Giuditta, personaggio che per fascino e forza drammatica aveva attratto già da oltre un secolo una miriade di poeti, pittori, compositori. Di questo lavoro, formato da sedici arie con parti per solisti o coro, recitativi accompagnati da archi e basso continuo, a Bari sono state presentate la splendida Ouverture, 3 delle 4 arie di Giuditta e due brani corali. Nella parte solistica della protagonista il contralto francese Delphine Galou si è distinta per nitidezza ed eleganza di emissione, controllo tecnico e chiarezza di pronuncia, ma non ha convinto quanto a temperamento, più che mai indispensabile nella resa di un personaggio oscillante fra leggerezza – nei passi d’agilità – fermezza e drammatico furore; sfumature rimaste alquanto inespresse nella fredda uniformità di carattere impresso al canto. Ancora un’ottima prova per l’Orchestra così come per il Coro della Fondazione Petruzzelli preparato dal M° Franco Sebastiani.
Chiusura in meraviglioso equilibrio fra leggerezza e solennità con l’esecuzione del mottetto per coro a quattro voci ed archi Ave Verum Corpus K618, una delle ultime creazioni della breve vita di Mozart (anticipa di poco il celebre Requiem rimasto incompiuto). Basata sul testo omonimo del XIV secolo – un inno ispirato al credo cattolico della presenza del corpo di Cristo nel sacramento dell’Eucarestia – la musica di questo piccolo ma preziosissimo gioiello fluisce delicatamente sommessa e sublime, attenta al significato di ogni singola parola, con una disadorna semplicità espressiva ancor più accentuata dalla scelta di Dantone di proprorla in un tempo molto lento e con un canto quasi sussurrato. Una vera carezza per l’anima.
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