di Redazione FdS
Le sue origini sono contese da Calabria e Sicilia ma la sua vera patria è da secoli il mondo essendo uno dei poeti antichi più osannati a livello planetario. E’ Stesicoro, “colui che ordina i cori”, appellativo che accompagnò la sua esistenza di poeta considerato padre della lirica corale, antichissimo genere letterario che ebbe il suo culmine nel VI-V secolo a.C. ma si protrasse più a lungo, almeno fino al V secolo d.C. Accompagnati da strumenti musicali e dalla danza, i canti corali greci sono già descritti in Omero. Ne esistevano di diversi tipi, ma in linea di massima si distinguevano fra canti in onore degli dei e canti per gli uomini; ve ne erano poi di carattere intermedio, fra sacro e profano, destinati a cerimonie funebri, a convivii e a cerimonie nuziali, ma tutti erano accompagnati dalla musica della lira, della cetra o del flauto. Considerato dagli antichi come l’Omero della lirica corale, il grande poeta dei miti, Stesicoro era appunto detto poeta citaredo, perchè declamava i suoi componimenti accompagnandosi con la cetra.
Il suo vero nome fu Tisia e la tradizione lo vuole nativo, nel 630 a.C., di Metauros, l’odierna Gioia Tauro (Reggio Calabria), città che avrebbe ad un certo punto lasciato per trasferirsi ad Himera, oggi Termini Imerese (Palermo). L’essere noto anche come Tisia di Himera ha però permesso di ipotizzare che la città siciliana potesse avergli dato i natali, ma nulla vi è di certo in proposito se non il fatto che vi trascorse gran parte della sua vita prima di finire in esilio a Catania, città che gli ha dedicato una piazza, un busto sul “Viale dei Personaggi Illustri” nel Giardino Bellini e la strada che porta dalla città all’Etna, successivamente ribattezzata Via Etnea. Certo è che a Catania Stesicoro trascorse l’ultimo periodo della sua vita prima di essere ucciso dal brigante Nicànore nel 555 a.C. La tradizione vuole che in questa città fosse stato eretto in suo onore un grande sepolcro a pianta ottagonale, in quanto otto erano le opere a lui attribuite, e pare che di esso ci fossero ancora tracce ben visibili nel Cinquecento, come racconta lo storico siciliano Tommaso Fazello.
L’attività poetica di Stesicoro fu accompagnata da un forte impegno sociale e politico, come dimostra la disavventura capitatagli ad Himera, all’origine del suo esilio a Catania. Narra infatti una leggenda tramandata da Aristotele, che Stesicoro si trovava a Himera quando i suoi concittadini pensarono di affidare la difesa della loro città a Falaride, tiranno di Agrigento. Per illustrare i pericoli di quella scelta, Stesicoro raccontò di un cavallo che, per mettersi al sicuro contro il cervo, suo tradizionale nemico, invocò l’aiuto dell’uomo; questi lo protesse dal cervo, ma alla fine lo addomesticò e ne divenne padrone.
La sua produzione comprendeva ventisei libri giuntici tutti incompleti (di alcuni di essi non restano che semplici titoli). Si cimentò nei generi più diversi, dall’epica alla poesia pastorale, alle composizioni di natura erotica. Fra le sue opere, particolarmente citate dagli antichi sono l’Elena e la Palinodia, in quanto una leggenda le ricollega alla sua stessa vita. Si narra che avendo Stesicoro in una delle sue elegie, l’Elena appunto, ispirata alla versione omerica della guerra di Troia, insultato Elena attribuendole le cause del conflitto, come conseguenza avrebbe perso la vista per via di una maledizione infertagli dai Dioscuri o da Era. Capito l’errore commesso, si sarebbe affrettato a cercare il perdono e a ritirare quanto affermato, componendo la Palinodìa di cui si conosce solo il frammento in cui davvero l’autore rinnega quanto scritto in precedenza, aderendo così alla variante della leggenda per cui non sarebbe stata Elena ad andare a Troia con Paride, bensì una sua immagine (εἴδωλον). Secondo questa versione, che ritroviamo proposta da Euripide nella sua Elena, la protagonista del mito sarebbe infatti stata trasportata in Egitto, alla corte di Proteo, per essere tenuta al sicuro durante la guerra di Troia.
Stesicoro è unanimemente considerato un grande innovatore nel campo lirica antica a causa dell’alto interesse manifestato per la psicologia dei personaggi: egli infatti si sofferma spesso sui pensieri dei protagonisti, e così rallenta l’azione accentuando la drammaticità degli eventi narrati.
ALCUNI ESEMPI DELLA GRANDEZZA DEI SUOI VERSI, ANTICHI DI 26 SECOLI
Poiché è raro che la Musa
allieti soltanto, ma richiama alla mente
ogni cosa distrutta,
a me non dà quiete il dolce
sonante flauto dalle molte voci
quando accenna soavissimi canti.
Assurdo e vano è il pianto rivolto ai morti…
Mele cidonie in quantità sopra il cocchio regale gettavano,
e una pioggia di foglie di mirto, ghirlande di rose,
e coroncine intessute di viole.
In un’aurea coppa scendeva
Elio figlio di Iperione fino
al fondo oscuro della notte sacra
per raggiungere, oltre i confini di Oceano,
la madre, la legittima sposa, i figli amati.
E lui s’incamminò verso la macchia buia
fitta di allori, a piedi, il figlio di Zeus.