di Enzo Garofalo
Per quanto Call me by your name (Chiamami col tuo nome), uno dei film più acclamati dell’ultima stagione cinematografica internazionale, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman, sia il risultato di uno sforzo corale al quale si deve il mirabile equilibrio raggiunto fra elementi narrativi, visivi e musicali, esso ha fra i suoi massimi punti di forza il ruolo svolto da due cineasti che, partiti dal Sud Italia, hanno da sempre lo sguardo rivolto al mondo. Mi riferisco al regista siciliano Luca Guadagnino e al montatore pugliese Walter Fasano, protagonisti di un sodalizio professionale e umano che dura da oltre vent’anni e che ultimamente ha ricevuto una più ampia e meritata consacrazione grazie ad un film che può fregiarsi di 150 nomination e più di 50 premi conquistati in tutto il mondo, fra cui l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale andato a James Ivory a fronte di ben 4 nomination (fra cui quella per il miglior film, il miglior attore protagonista e la miglior canzone). Muovendo da questa premessa e dal fatto che la figura del montatore, rispetto a quella del regista, tende ad essere lasciata un po’ in ombra dai media, forse perché erroneamente considerata più tecnica che artistica, vi proponiamo una breve conversazione con Walter Fasano reduce, per questo stesso film, da due prestigiose nomination per il miglior montaggio (Chicago Film Critics Association e Independent Spirit Awards).
Attraverso le sue parole cercheremo di conoscere un po’ più da vicino un mestiere che, come ci confermerà egli stesso, non è un semplice metodo per giustapporre scene e fotogrammi prodotti dal regista, ma sopratutto uno strumento per condurre lo spettatore attraverso un’esperienza intellettuale ed emotiva che può avere a volte la potenza di un’inattesa rivelazione. E’ quanto accaduto proprio con il film di Guadagnino, delicata elegia sulla scoperta dell’amore, del desiderio erotico e delle relative inquietudini, recepita dalla maggior parte del pubblico internazionale alla luce della sua oggettiva valenza universale, a prescindere dal rapporto omoerotico fra i due protagonisti, Elio e Oliver.
Barese, classe 1970, una figlia nata dal legame con l’attrice napoletana Fabrizia Sacchi, Walter Fasano coltiva la passione cinefila fin dall’adolescenza. Passione che dopo un mirato percorso di studi si è trasformata in professione con la cura di oltre 40 film e documentari. E al tempo dei suoi studi romani risale l’inizio dell’amicizia con Luca Guadagnino, preludio a una collaborazione artistica intrapresa a fine anni ’90 con il film d’esordio del regista The protagonists, con Tilda Swinton, e proseguita, fra gli altri lavori, con i documentari Mundo Civilizado e Bertolucci on Bertolucci e i film Melissa P., I Am Love e A Bigger Splash. Dopo il successo di Call me by Your Name (che, si è appreso di recente, avrà un sequel), Fasano sta ultimando il proprio lavoro su Suspiria, personale ‘rilettura’ di Guadagnino del film culto di Dario Argento, maestro dell’horror italiano con cui Fasano ha collaborato per il montaggio dei film Il cartaio, Ti piace Hitchcock e La Terza Madre. Diverse le collaborazioni anche con altri registi fra i quali ricordiamo Ferzan Özpetek, Maria Sole Tognazzi, Marco Ponti e Lucio Pellegrini.
Fasano, il recente successo che pubblico e critica hanno tributato a Call me by your name, film di cui lei ha curato il montaggio, ci è parsa l’occasione ideale per parlare un po’ di un lavoro che nel cinema è determinante non meno della regia: “tutto quanto precede il montaggio è semplicemente un modo di produrre una pellicola da montare” diceva in proposito il grande Stanley Kubrick. Vuole spiegare ai nostri lettori in che cosa consiste esattamente?
Qualcuno mi raccontò che Pasolini diceva che il montaggio nel processo creativo di un film ne rappresentasse il destino, e forse è vero. Al montaggio si dà forma alle performance degli attori, si costruisce il racconto scegliendo le inquadrature, si tagliano scene, si aggiungono musiche, se ne decide il suono – che in un film è quasi completamente ricostruito -, si asseconda o si tradisce, volontariamente, lo stile delle riprese. Si tratta di un lavoro meticoloso ed ossessivo per il quale è necessaria molta pazienza, anche perché spesse volte i registi arrivano dalle riprese stanchi, ansiosi, indecisi. Il materiale girato di un film consiste di molte ore: trenta, quaranta, cinquanta, a volte molto di più. Il processo creativo del montaggio forse somiglia a quello della scultura, in cui si cesellano le forme partendo da un blocco di materiale informe.
Mi soffermo subito su Call me by your name, ponendole una domanda in qualità di coautore, insieme a Guadagnino, della sceneggiatura tratta dal romanzo di Aciman poi magistralmente adattata da Ivory. Osservando i commenti di critici e semplici spettatori sui media internazionali, si scopre con sorpresa un filo rosso che li accomuna nel loro incontenibile entusiasmo: una straordinaria empatia verso i due protagonisti e la loro storia, l’apprezzamento per l’assenza di conflittualità fra essi e il mondo esterno, solitamente presente nei film a tematica gay, e per la rappresentazione di un rapporto che segue con naturalezza le dinamiche del desiderio e dell’amore, in cui chiunque può riconoscersi. Il messaggio del film sembra dunque essere arrivato in modo chiaro e diretto. Avevate previsto questo tipo di effetto sulla gente e, soprattutto, vi aspettavate un successo di tale portata?
Personalmente non lo immaginavo. Il cinema vive di un dialogo con lo spettatore, un film monologante può essere un oggetto affascinante ma celibe. Con Luca abbiamo sempre lavorato nel rispetto del pubblico, ignorando le soluzioni facili e le strizzate d’occhio per compiacerlo, anche quando a volte ci siamo indirizzati verso scelte estreme, di stile o di contenuti; la cura del dettaglio formale fa parte di questa forma di attenzione. Call Me By Your Name credo però abbia toccato qualche tasto particolare, una “tavolozza” di colori e situazioni che hanno colpito il pubblico in ogni parte del mondo. Ho ricevuto messaggi e attestazioni di stima ed entusiasmo che ovviamente mi hanno dato grande forza e fatto capire che le intenzioni erano state condivise ed avevano toccato il cuore di molti.
Torniamo al suo lavoro di montatore. Agli inizi del secolo scorso il regista russo Pudovkin affermò che attraverso il montaggio si esprime “il vero linguaggio del regista” e che quindi esso costituisce “un atto creativo cruciale nella produzione di un film”, concetto ribadito decenni dopo anche da Godard nel sostenere che “dire regia è automaticamente dire montaggio” e che “quando gli effetti del montaggio superano per efficacia gli effetti di regia, la bellezza della regia stessa ne risulterà raddoppiata”. Affermazioni forti che alludono a una stretta correlazione fra la figura del regista e quella del montatore. Può spiegare qual è il grado di questa correlazione e come un montatore riesce a conciliare la visione espressiva del regista con la propria, eventualmente difforme?
Nel dibattito estetico è stato spesso individuato nel montaggio lo specifico filmico in quanto procedimento tecnico-creativo appartenente unicamente a questa forma espressiva. Ogni montatore è cosciente di maneggiare qualcosa che preciserà la natura del film in maniera profonda; e, come si sa, da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Quindi all’inizio di un lavoro per me non ha senso sovrapporre immediatamente le mie intenzioni creative a quelle del regista, mi interessa invece conoscerne la progettualità e cominciare un procedimento mentale in cui metto in rapporto il film che il regista immagina e quello che man mano andiamo realizzando. Arriva sempre poi il “momento della verità” in cui eventuali disparità di vedute vanno composte: credo comunque di avere imparato a mettere insieme le diverse visioni di un progetto – aggiungiamoci anche quella dei produttori – in maniera dialettica e propositiva.
Nella produzione di un film, il regista non è dunque l’unico soggetto con cui il montatore deve interfacciarsi…Questo sembrerebbe rendere particolarmente complessa la gestione del suo ruolo. Come ci si destreggia in una fase così delicata del processo creativo?
E’ l’aspetto più difficile del lavoro, e quando studiavo montaggio non avrei immaginato che la diplomazia e la gestione del ruolo rappresentasse un aspetto così importante del lavoro. In America tra l’altro il montatore appartiene in pratica agli Studios che producono il film, di cui a diversi livelli ne è il “braccio armato”. In Europa invece quasi sempre il montatore è un uomo – o una donna – di fiducia del regista, e gli rimane a fianco nelle varie presentazioni a produttori, distributori, attori, proiezioni test. Non è facile destreggiarsi nella marea di informazioni e “consigli” che si ricevono in queste fasi della lavorazione.
Può dirci come si è sviluppata la sua collaborazione con Guadagnino e quali sono gli elementi che maggiormente vi accomunano in questo rapporto, diciamo così, di complementarietà?
Ci siamo incontrati tramite un amico comune, Francesco Munzi, il regista di Anime Nere, più di venti anni fa. Luca aveva apprezzato il montaggio di un piccolo documentario che avevo montato con Francesco, ai tempi del Centro Sperimentale di Cinematografia. La nostra amicizia ed il nostro rapporto professionale è nato sicuramente sulla condivisione di passioni cinematografiche, animate da una cinefilia di fondo. Credo però, nonostante l’amicizia, di non avere mai tradito la qualità professionale del rapporto con lui. Nei momenti migliori e peggiori manteniamo sempre un’attitudine professionale piuttosto rigorosa, anche se ci piace farlo in leggerezza e nel cosiddetto understatement. Luca è un uomo vitale e vulcanico, a me in genere tocca il ruolo del richiamo all’ordine, lascio però spazio totale alla riflessione e libertà creativa.
In Call me by your name il racconto visivo scorre fluido e avvolgente grazie a un mirabile equilibrio nel ritmo delle sequenze, fatto anche di lunghi ma splendidi momenti di contemplazione, con gli attori per lo più lasciati liberi di muoversi nello spazio; un ritmo senz’altro garantito dal montaggio, dal sound design e dalle musiche perfettamente armonizzate con i passaggi più significativi della vicenda narrata. Il tutto restituisce al pubblico una bellezza formale ed emotiva fatta di sentimenti reali, passione, carnalità. Dal suo punto di vista di montatore è stato un percorso particolarmente complesso riuscire ad ottenere questo equilibrio?
E’ ciò che volevamo fare, e sono felice quando questo viene riconosciuto. Il film è stato girato in un’atmosfera da sogno – pur non senza difficoltà – ma tutti avevano abbastanza bene in testa cosa stavano facendo. Si pensi alle performance degli attori e alla qualità della luce di Sayombhu Mukdeproom. Al montaggio quindi le coordinate stilistico-emotive pulsavano già nei materiali e si è trattato di farle emergere, per l’appunto, con una specifica attenzione ai tempi del racconto, al lasciar trasudare le emozioni, all’uso della colonna sonora. Non è stato particolarmente difficile, è stato molto bello. E basti pensare che gran parte del tempo abbiamo realizzato il film negli stessi luoghi in cui è stato girato, e ai quali Luca è stato capace, con la sua visione, di infondere una magia speciale.
Come accennavamo prima, lei ha partecipato anche alla stesura dello script di Call me by your name il cui adattamento è valso a James Ivory l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Quali altre pellicole l’hanno vista in questo ruolo decisamente poco frequente fra i montatori?
In termini ufficiali, oltre a Call Me By Your Name ho collaborato alla stesura di Io Sono l’Amore assieme a Luca stesso, Barbara Alberti ed Ivan Cotroneo, ed alla sceneggiatura della Terza Madre di Dario Argento. In più ci sono altri progetti che non hanno ancora visto la luce. In ogni caso se è vero, come si dice, che il montaggio è una riscrittura del film, nel mio caso in particolare si tratta di un contributo abbastanza approfondito anche quando non firmo.
Forse in pochi sanno che lei, oltre che montatore e sceneggiatore è anche musicista e Dj radiofonico. Ci dica quale spazio occupa oggi la musica nella sua vita e se è intervenuto in qualche modo nella scelta dei pezzi utilizzati come colonna sonora di Call me by your name che – escludendo i due stupendi brani inediti scritti dal cantautore statunitense Sufjan Stevens per il film – provengono tutti dal repertorio classico, contemporaneo e pop…
La musica anima costantemente le mie giornate, compagna fedele da sempre. Frequentare i negozi di dischi di Bari da ragazzo è stato importantissimo, una possibilità di conoscenza e condivisione molto speciale. Adesso in streaming si può accedere a tutta la musica che si vuole ma non viene insegnato come cercare, azione indispensabile per trovare ciò che realmente si desidera ascoltare, e non ciò che viene imposto in maniera più o meno diretta. Sono musicista autodidatta ma lo ritengo più un piacere solitario che altro. Firmo invece sempre il montaggio delle musiche dei film che monto e questo significa avere un ruolo importante nella scelta delle musiche e del loro utilizzo all’interno del film. In Call Me By Your Name la ricerca dei brani degli Anni Ottanta e delle musiche che ne compongono la colonna sonora è stato un processo appassionante. In una proiezione del film a New York Ryuichi Sakamoto, mio idolo da sempre, ha molto gradito l’utilizzo dei due suoi brani presenti nel film.
Parliamo ora un po’ del suo percorso formativo. Qual è stato il tragitto che l’ha portata a diventare uno dei montatori più apprezzati del panorama cinematografico italiano?
Grazie per i complimenti, che spero di meritare. La passione cinefila viene dalla frequentazione delle sale cinematografiche di Bari negli Anni Settanta e Ottanta, un panorama di offerte vivace e attivo, fatto di rassegne, cineforum, sale di prima seconda e terza visione, fra cui la indimenticabile “Selezione Films d’Essai” estiva del cinema Jolly. Ho coltivato la passione negli anni fino a decidere di iscrivermi e laurearmi al Dams di Bologna, e poi vincere il concorso al Centro Sperimentale frequentando il Corso di Montaggio. Da lì in poi ho cominciato un percorso fatto di incontri meravigliosi e film quasi sempre belli, sicuramente sempre ho avuto la fortuna di collaborare a progetti in cui credevo.
C’è grande attesa per l’uscita del remake di Suspiria, film culto del grande Dario Argento del quale, par di capire, Luca Guadagnino proporrà una sua ‘rilettura’ più che un vero e proprio rifacimento. Ci dica a che punto è il lavoro e per quando è prevista l’uscita nelle sale…
E’ stato il più lungo e complesso processo di post-produzione al quale abbia mai preso parte: oltre diciotto mesi, più di un anno e mezzo per elaborare il film assieme a regia, effetti visivi, compositore. La complessità dei processi tecnici mi ha dato il tempo di ripensare continuamente a dettagli di montaggio che sono andato a perfezionare, il film è fortemente onirico e libero ma con una forte logica sotterranea. Dario Argento l’ha visto e gli è piaciuto…Credo uscirà negli Stati Uniti nell’autunno del 2018.
Prima di salutarci mi piacerebbe sapere da lei, che ha scelto di vivere a Roma, che ricordi ha di Bari e della Puglia e che tipo di rapporto conserva con la sua terra d’origine…
Amo la Puglia e provo profonda nostalgia per la mia terra, ogni volta che ci torno sono felicissimo. Ripercorro luoghi del passato e scopro l’evoluzione della città: alcune cose mi sembrano cambiate per il meglio, altre forse un po’ meno. Mi manca il mare, vorrei riuscire a trascorrere sempre più tempo qui, godermi il sole e l’aria di casa.
Per concludere…ci dica quali nuovi progetti si profilano al suo orizzonte e se magari avremo occasione di incontrarla al prossimo Bif&st…
Vorrei realizzare un paio di progetti personali, ad esempio un altro documentario di montaggio sul cinema sulla falsariga di Bertolucci On Bertolucci che ho firmato con Luca, un lavoro che mi ha dato enormi soddisfazioni. Cerco di mettermi nella posizione migliore e scegliere i progetti più interessanti da montare, un film assorbe completamente e spero di fare le scelte giuste. Vorrei anche tornare a fare radio, come molti anni fa quando in Puglia ho collaborato con emittenti locali fino ad arrivare a Radio Norba. Per quanto riguarda il Bif&st non ho mai avuto il piacere di parteciparvi.
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