di Redazione FdS
Dal 15 dicembre 2018 all’22 aprile 2019, a Napoli, presso il Madre · Museo d’arte contemporanea Donnaregina della Regione Campania, è visitabile la mostra Robert Mapplethorpe. Coreografia per una mostra, a cura di Laura Valente e Andrea Viliani, organizzata in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York. La mostra, dedicata a uno dei maestri della fotografia del XX secolo  [leggi la sua BIOGRAFIA], coincide con il trentennale della personale itinerante The Perfect Moment, il cui primo capitolo fu presentato nel dicembre 1988 all’Institute of Contemporary Art/ University of Pennsylvania di Philadelphia, pochi mesi prima della scomparsa dell’artista, avvenuta il 9 marzo 1989, all’etĂ di 43 anni.
Più di 160 opere, comprese quelle provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e dalla Reggia di Caserta (Collezione Terrae Motus), grazie ad una collaborazione virtuosa tra istituzioni. Un ideale dialogo tra antichità e modernità , fra gli scatti del fotografo e opere archeologiche, antiche e moderne, tra fotografia e danza, che al Madre va in scena non solo nella sezione espositiva, ma anche attraverso un programma di performance dal vivo commissionate per la mostra ad alcuni dei più importanti coreografi della scena internazionale. Il catalogo Robert Mapplethorpe. Coreografia per una mostra / Choreography for an Exhibition, a cura di Laura Valente e Andrea Viliani, è edito dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli, in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation, che per l’occasione ha concesso l’utilizzo esclusivo delle foto.
Apre il cartellone performativo Olivier Dubois, Direttore della Compagnie Olivier Dubois, ed ex Direttore Ballet du Nord dal 2014 al 2017, incluso nella lista dei venticinque migliori ballerini al mondo nel 2011, che sarĂ autore di una creazione originale commissionata e prodotta per il museo Madre, In Dialogue with Bob, in occasione dell’opening (14 dicembre), con una seconda messa in scena il giorno successivo. La nuova creazione di Dubois vedrĂ la partecipazione di performer scelti dal coreografo in audizioni pubbliche a Napoli. Questa esperienza porta per la prima volta al museo d’arte contemporanea il format Abballamm’!, ideato da Laura Valente – coordinamento Gennaro Cimmino, collaborazione di Susanna Sastro – progetto con cui da tre anni la direzione artistica danza del Ravello Festival, prodotto dalla Regione Campania, coinvolge i migliori talenti del territorio, a cui viene data l’occasione di prendere parte a residenze e progetti speciali che hanno coinvolto fino ad ora artisti come Dimitris Papaioannou, Marie Chouinard, Bill T. Jones.
“Le opere del fotografo americano non erano mai state poste in un confronto diretto, prima d’ora, con quell’evidente componente performativa che sembra animarle – spiegano i curatori Laura Valente e Andrea Viliani – La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee afferma così la sua vocazione di collettore fra diverse espressioni creative che si congiungono, qui e ora, per ripensare e rimodulare sperimentalmente la fruizione e la natura stessa di un museo. Una “danza” fra opere e azioni coreografiche, che propone un’esperienza conoscitiva nuova delle opere dell’artista newyorkese, reinterpretate alla luce del dinamismo che scaturisce dai corpi ritratti, dai riferimenti alla scultura e alla pittura, dal trasporto sensuale e immediato suggerito proprio dalla ricerca di quella proporzione e perfezione formale che è una cifra costante della sua produzione. Sono caratteristiche, queste, che si accordano con la rigorosa disciplina fisica e con le evoluzioni dinamiche proprie della danza. Non è un caso, infatti, che i corpi di Bill T. Jones, Gregory Hines, Molissa Fenley e Lucinda Childs siano il doppio danzante delle piĂą significative opere di Mapplethorpe.
L’obiettivo di questa mostra è, dunque, coniugare l’aspetto espositivo e quello coreografico, attraverso il coinvolgimento di artisti che, per tutta la durata della mostra stessa, realizzeranno degli interventi site-specific in dialogo con le opere e con le suggestioni che esse evocano, restituendo loro nuova forza e ampliando la prospettiva con cui il pubblico vi si avvicinerĂ . A guidare gli autori e gli interpreti delle performance è una rigorosa attenzione ai temi, all’estetica e alla composizione delle fotografie di Mapplethorpe: il richiamo ai canoni dell’arte neoclassica; l’affievolimento delle differenze fra generi e identitĂ sessuali; il continuo concentrarsi sul contrasto bianco-nero; la fragilitĂ (se non l’inesistenza) del confine fra dolore e piacere; il seducente glamour della scena artistica e culturale newyorkese negli anni Settanta e Ottanta, di cui Mapplethorpe fu tra i massimi rappresentanti, mescolato ad un gioco di rimandi ed evocazioni ad una Napoli in perenne oscillazione tra vita e morte”.
IL CONCEPT DELLA MOSTRA
Coreografia per una mostra si concentra in modo inedito sull’intima matrice performativa della pratica fotografica di Mapplethorpe, sviluppata, nel concetto e nella struttura di questa mostra, come un possibile confronto fra l’azione del “fotografare” in studio (nell’implicazione autore / soggetto / spettatore) e del “performare” sulla scena (nell’analoga implicazione performer / coreografo / pubblico). Questa “coreografia” espositiva si articola in tre sezioni fra loro connesse. All’inizio un’Ouverture, nella sala d’ingresso e nelle due sale attigue, che ridisegnano lo spazio-tempo del museo infondendogli un’ispirazione teatrale, tesa nel gioco di sguardi fra le due “muse” mapplethorpiane, femminile e maschile, Patti Smith e Samuel Wagstaff Jr. A seguire, nelle cinque sale iniziali e nelle sei sale finali (prima sezione), il pubblico è introdotto direttamente sul palcoscenico di questo “allestimento per immagini” – fra ballerini, atleti, body-builders, modelle e modelli – esplorando la performativitĂ del soggetto fotografato, che Mapplethorpe riprendeva con un’accurata preparazione nel suo studio.
Le due sale che precedono e seguono la sala centrale (seconda sezione) portano il pubblico in una potenziale platea, analizzando il ruolo del visitatore e il suo desiderio ritrovato nello sguardo di decine di ritratti che, nel loro complesso, non solo ci restituiscono uno straordinario diario personale della vita, degli affetti, amicizie,
incontri, collaborazioni e commissioni dell’artista, ma al contempo ricostruiscono, fra dimensione privata e sfera pubblica, un affresco collettivo della societĂ newyorkese e del jet-set internazionale fra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo. Tra i volti di questa platea “viva”: John Mc Kendry (1975); Arnold Schwarzenegger, Philip Glass con Robert Wilson e David Hockney con Henry Geldzalher (1976); Deborah Harry (1978); Carolina Herrera (1979); Francesca Thyssen (1981); Louise Bourgeois e il gallerista della Pop Art Leo Castelli (1982); Doris Saatchi, Andy Warhol, Francesco Clemente e Lucio Amelio (1983); Susan Sontag (1984); Norman Mailer (1985), Louise Nevelson (1986), Laurie Anderson (1987); oltre alle immagini di ballerini e coreografi come Lucinda Childs, Gregory Hines, Bill T. Jones, Molissa Fenley e i danzatori dell’NYC Ballet.
La sala centrale (terza sezione) – dominata da un tappeto rosso per danzatori e da una sequenza di autoritratti di Mapplethorpe – si trasforma in un vero e proprio teatro tridimensionale, in cui, congiungendo fra loro tutti i temi della mostra, la performativitĂ diviene coreografia contemporanea e attuale, con al centro lo stesso artista. Integrano questa sezione, come due spazi di retro-scena, due sale attigue alla sala centrale: l‘(Un)Dressing Room, un vero camerino allestito, dove i performer si scaldano prima dell’esibizione, che ospita alcune immagini che ci introducono nella dinamica dello studio dell’artista, e la X(Dark) Room (vietata ai minori), in cui sono esposte le opere piĂą “segrete ed estreme” a soggetto erotico, fra cui una selezione del famoso Portfolio X. I vari soggetti di Mapplethorpe, anche i piĂą controversi come le immagini S&M del Portfolio X, sono protagonisti di una messa in scena che rivela continui e sofisticati richiami alla storia dell’arte, in cui evocano archetipi e soggetti universali. Le riprese fotografiche avvenivano, del resto, prevalentemente nell’intimitĂ dello studio di Mapplethorpe, dove l’artista predisponeva accuratamente sfondi ed elementi scenografici, insieme a un rigoroso disegno luci, per astrarre in un “tempo senza tempo” il soggetto fotografato.
OPERE IN DIALOGO CON MAPPLETHORPE
Il percorso espositivo si trasforma in un museo ipotetico in cui la storia dell’arte è messa in scena come in un teatro, Nell’esposizione una selezione di opere archeologiche provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e una selezione di disegni, dipinti, sculture in bronzo, porcellana e avorio dal Museo e Real Bosco di Capodimonte, entrambe istituzioni partner di questo progetto. “Come giĂ avvenuto per le mostre personali dedicate dal museo Madre a Boris Mikhailov (2015) e Mimmo Jodice (2016) – spiegano i curatori – anche nel caso di questa mostra di Robert Mapplethorpe la ricerca fotografica si approfondisce, e precisa, nel dialogo con la storia dell’arte e con le possibili matrici che essa fornisce alla loro ricreazione fotografica
I torsi di atleti e figure muliebri, l’Antinoo Farnese, un Ermafrodito e un tintinnabulum antichi, così come le sanguigne e i disegni di corpi e le sculture in bronzo e porcellana di divinitĂ e efebi rinascimentali, la sensualitĂ eburnea di un Crocifisso (da Giambologna), l’intreccio teatrale fra corpi nudi del Caino e Abele di Lionello Spada, la morbidezza sospesa delle Ipomee e “boules de neige” di Andrea Belvedere e la muta relazione fra maestro e discepolo del Doppio ritratto maschile di Maso da San Friano, costituiscono nel loro insieme un museo tanto provvisorio quanto ideale, una macchina tanto scenica quanto disciplinare che, attraversando il tempo e lo spazio, fa affiorare i contorni di una pratica artistica colta e raffinata che si nutre, sul filo di una implacabile ricerca di perfezione, dell’incontro ibrido e sottile tra antichitĂ e contemporaneitĂ , idealitĂ apollinea e sensualitĂ dionisiaca, canone classico e tensione barocca.
Relazioni asimmetriche che corrispondono a quella che Mapplethorpe ebbe anche con la cittĂ di Napoli e la cultura campana. Artista presente nella collezione Terrae Motus ideata e costituita dal gallerista napoletano Lucio Amelio – che ospitò la prima mostra personale dell’artista a Napoli nel 1984 (a cui seguì una mostra – omaggio nel 1994, l’anno stesso della scomparsa del gallerista) – Mapplethorpe seppe creare un appassionato e empatico rapporto con l’umanitĂ contraddittoria della cultura partenopea e campana, facendosi ispirare dalla sua costitutiva relazione fra vita e morte e creando straordinarie vedute, tra cui quelle, emblematiche, che ritraggono il Porto di Napoli, i Faraglioni di Capri, l’Antro della Sibilla a Cuma, i teschi o “capuzzelle” e i paesaggi dedicati alle sculture di giardini e parchi monumentali. Immagini che ricorrono nel percorso della mostra insieme ad alcuni materiali documentari provenienti dall’Archivio Amelio-Santamaria, fra cui il disco Ma l’amore no del 1990, che contiene all’interno la riproduzione di un ritratto del gallerista napoletano eseguito dall’artista newyorkese. In mostra viene inoltre approfondita – introdotta e inquadrata dall’accostamento con alcuni disegni e la scultura del Pescatoriello di Vincenzo Gemito – anche l’ispirazione che esercitò su Mapplethorpe l’imagerie del fotografo tedesco Wilhelm von Gloeden, alla cui ereditĂ stilistica e intellettuale proprio Amelio dedicò fra il 1977 e il 1978 una mostra e due pubblicazioni, con prefazioni rispettivamente della critica Marina Miraglia e del semiologo e scrittore Roland Barthes”.
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Via Settembrini, 79
Orario visite: Lunedì e da Mercoledì a Sabato 10.00 — 19.30
Domenica 10.00 — 20.00
Chiuso il Martedì
La biglietteria chiude un’ora prima
Biglietti: Intero: € 8.00 | Ridotto: € 4.00
Informazioni: +39 081 197 37 254 | info@madrenapoli.it
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