di Kasia Burney Gargiulo
L’irrompere del Mistero nella Storia – soprattutto se trattasi di mistero legato alla fede popolare – è quasi sempre destabilizzante. E’ un capovolgimento dell’ordine apparente delle cose a cui seguono reazioni differenziate che vanno dalla tacita accettazione da parte di chi in quel Mistero crede e a volte ad esso si affida, al rifiuto cauto di chi vuol vederci chiaro o viceversa ottuso e aprioristico di chi preferisce non mettere in discussione se stesso e la realtà che lo circonda. Sembra appartenere a quest’ultima ipotesi la storia di un piccolo Cristo ligneo del Cinquecento che un giorno di 75 anni fa – era il 29 giugno del 1939 – scompariva dallo sguardo e dalla venerazione dei fedeli del borgo calabrese di San Nicola da Crissa (Vibo Valentia) per provvedimento del Vescovo di Mileto.
Cos’era accaduto? Durante le funzioni religiose di quel fatidico giorno avvenne un inaspettato prodigio. La piccola statua, semplice ma di affascinante bellezza, attribuita alla devozione di un antico pastore-scultore, mostrò una copiosa sudorazione sul volto e parte del corpo. L’evento creò non poco scalpore fra i fedeli e per sedare gli animi eccitati dall’inspiegabile fenomeno, il prelato decise di interdire al culto quella umile scultura che da sempre aveva costituito l’anima storica e devozionale della Confraternita di San Nicola da Crissa.
Un esilio mai revocato e destinato a durare oltre settan’anni, e certamente anche oltre se nel 2009 lo storico dell’arte Gianfrancesco Solferino non lo avesse ritrovato in occasione del censimento delle opere d’arte appartenenti al seicentesca confraternita. La scultura appariva alterata nell’aspetto da interpolazioni materiche e pittoriche anche se – come ha dichiarato Solferino – “l’esecuzione severa e il drammatico realismo del Cristo alludevano senz’ombra di dubbio ad una scultura più antica, per certi versi arcaica. Ma nulla di ciò che in apparenza era leggibile poteva garantire una lettura così azzardata del manufatto.”
Il Seggio priorale della Confraternita decise così di sottoporre l’opera ad un restauro che ne recuperasse lo status originario. La delicata operazione ha rivelato la presenza di ben sette interventi di epoche diverse con conseguente stratificazione di colori e integrazioni polimateriche come cartapesta, stucco, cuoio, colla e chiodi. Eliminata questa fuorviante ”corazza” la sorpresa è stata enorme nel ritrovare una esile e dolente immagine del Cristo crocifisso, dai lineamenti delicatissimi, rivelando così una testimonianza artistica e storica di grande valore.
Tale recupero nonché l’analisi delle qualità formali e delle caratteristiche tecnico-esecutive ha permesso di datare il manufatto al pieno Cinquecento. Per quanto concerne il contesto artistico di provenienza, uno studio delle testimonianze affini presenti sul territorio, ha permesso di ricondurre il Cristo di San Nicola da Crissa ad una o più botteghe di intagliatori presenti nel XVI secolo nell’area della antica città di Pizzo Calabro, a loro volta sensibili alle influenze di matrice siciliana.
L’indagine condotta con tecniche sofisticate sulla materia in cui l’opera è stata realizzata, ha rivelato una modellazione del Cristo in legno di pioppo, con successivo isolamento della sua superficie utilizzando pece greca e colla animale, materiali probabilmente finalizzati ad impermeabilizzare il manufatto oltre che a creare una compatta base per la stesura del colore. L’autore è quindi passato a dipingere la scultura con abbondante biacca, nero fuliggine (ricavato dalla combustione del legno di vite) e cinabro, colori che gli hanno permesso di ottenere l’effetto livido del corpo esanime del Cristo e le sue piaghe sanguinanti; immagine divina e al tempo stesso drammaticamente umana che tornerà senz’altro a ”parlare” al cuore e alla Fede della gente.