di Margherita Corrado*
Tra i tormentoni estivi – la canzonetta più ascoltata, il ballo più volte ripetuto, la suoneria per cellulare udita più di frequente – c’è anche quello della scoperta archeologica…più vicina al proprio ombrellone. Le pagine dei quotidiani (tradizionali e on line) ne sono piene anche se non è difficile prevedere che il boom, come tutti gli anni, si avrà in agosto. A ben guardare, alcune sono vere scoperte che una fortunata congiunzione astrale ha riservato alla stagione estiva per dare un brivido agli intorpiditi vacanzieri, altri, specialmente quelli subacquei, sono invece recuperi che le condizioni meteorologiche ottimali hanno consigliato di ritardare, in attesa dell’estate, appunto, per limitare al massimo le difficoltà logistiche dell’intervento.
Luglio si è aperto, per la costa ionica calabrese, sempre ricca di simili fortunate evenienze, con il recupero, in quel di Capo Colonna, di un grosso monolito iscritto segnalato da privati alle Autorità già da qualche tempo sulla scogliera di Scifo (fig. 1). Per la vicinanza del sito del ritrovamento alla riva, i tecnici del Ministero Beni Culturali e il Comando Vigili del Fuoco hanno ritenuto più agevole organizzare il trasporto del reperto per mare fino al porto di Crotone, distante poco più di sei miglia marine, invece di tentare la via di terra. Per questa ragione, pur provenendo da Capo Colonna, il masso di calcarenite locale è stato ricoverato provvisoriamente nel Museo Nazionale Archeologico della città pitagorica invece che nel suo omologo sull’antico Promontorio Lacinio. Aperto al pubblico dal 2006, l’edificio si trova ai margini del parco istituito negli anni Ottanta del secolo scorso nell’area del celebre Heraion magno greco, a meno di un paio di chilometri in linea d’aria da Capo Pellegrino o Punta Scifo che dir si voglia.
Nulla di certo è stato fin qui reso noto circa l’originaria destinazione del reperto, il contenuto e la cronologia dell’epigrafe (in caratteri greci) che corre lungo uno dei margini, in attesa di lettura da parte degli specialisti. Il ritrovamento però non stupisce i frequentatori abituali del versante meridionale di Capo Colonna e meno ancora gli archeologi, ai quali è nota la vasta letteratura esistente sull’insenatura di Scifo. Questa è compresa tra i promontori di Capo Pellegrino, ad Est (fig. 1), dominato dalla torre seicentesca un tempo chiamata delle Civette e oggi Lucifero perché acquistata da quella nobile famiglia crotonese nel 1870, quando lo Stato unitario appena costituito dismise, per fare cassa, una serie di opere militari ritenute ormai superflue – la storia si ripete, e con frequenza! – , e Capo Alfieri, ad Ovest (fig. 2), noto specialmente per l’importante insediamento neolitico ivi parzialmente indagato.
Non c’è metro quadrato, in verità, lungo questo tratto di costa, che nel tempo non abbia restituito testimonianze tangibili della remota e pressoché ininterrotta frequentazione umana dell’intero perimetro del promontorio di Capo Colonna (fig. 3) ma specialmente del versante meridionale e della baia in esame, la più favorevole al riparo delle imbarcazioni costrette ad attendere la caduta dei temibili venti di S/E per poter tentare di oltrepassare il capo, oltre che sede della vivacissima sorgiva che con l’abbeveratoio documentato fin dal Cinquecento, c.d. scifo, ha imposto al sito il toponimo corrente. Le belle tavole acquerellate del Codice Romano Carratelli, a fine Cinquecento, illustrano l’una e l’altro (fig. 4) con straordinari vivacità.
Le scoperte archeologiche abbondano, dunque, in quel di Scifo, sia in mare sia sulla terraferma: alcune, specialmente eclatanti, sono assurte agli onori della cronaca fin dall’inizio del Novecento – un carico di marmi del III sec., un tesoretto di ori bizantini del VI d.C., un elmo corinzio del VI a.C. –, altre in tempi più recenti – un secondo relitto di navis lapidaria, un luogo di culto arcaico forse legato ad Apollo o ad Afrodite (i numi degli approdi), con reperti oggi murati sulla scala della Torre (figg. 5-6) –, né mancano le periodiche ‘riscoperte’ ad orologeria degli stessi tesori, anche queste specialmente estive.
Ciò che rende peculiare, per certi versi, la baia di Scifo è l’entità dei fenomeni erosivi subiti, tale, nei millenni, da modificare totalmente la morfologia della costa e consentire alle acque, complici i fenomeni di bradisismo positivo che interessano tutto lo Ionio, di guadagnare decine di metri a danno della terraferma. Così, non sorprende che il lembo occidentale della cava greca per blocchi e colonne ben conservata alla punta del Capo Pellegrino, lembo situato sulla spiaggia ai piedi della Masseria Zurlo, costruita a partire dal 1763 e oggi allo stato di rudere, prosegua oltre la linea di riva, per qualche metro, sott’acqua. Né suscita speciale perplessità leggere dalla penna di Paolo Orsi che il citato tesoretto bizantino comparve, nel 1916, entro una cavità presente in un masso ripescato a ben 200 metri dalla spiaggia.
Così la nostra per ora enigmatica epigrafe riemerge dalla scogliera di Scifo senza che la sua apparizione generi troppo sconcerto.
È se mai curiosità, quella che regna, e una certa impazienza: si vorrebbe sapere subito se appartenga ad una delle evidenze già note (sulla terraferma o in mare), e ne arricchisca il quadro, o rappresenti invece un nuovo tassello nel micromosaico della presenza umana sulla costa sud di Capo Colonna. E la fretta non è senza motivo, dal momento che proprio tra Capo Pellegrino e Capo Alfiere si è concentrato, negli ultimi anni, l’assalto armato (di ruspe e cemento) dei finti imprenditori agrituristici alle ultime spiagge intatte della costa crotonese, sì che sempre più di rado, da qui in poi, potremo sperare di rivedere tracce inedite del millenario passato del Promontorio Lacinio.
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Margherita Corrado, calabrese, è nata a Crotone nel 1969. Si è laureata in Lettere Classiche (indirizzo archeologico) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e specializzata presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera. Romanista di formazione, ha prestissimo orientato i propri interessi verso l’età post-classica, con particolare riferimento all’alto Medioevo di marca bizantina. Dopo un lungo tirocinio nel volontariato archeologico, dal 1996 lavora come collaboratrice esterna per la Soprintendenza Archeologica della Calabria. Negli anni, è stata incaricata della catalogazione di migliaia di reperti di diversa origine e cronologia ed ha operato sul campo in tutte le provincie calabresi (saltuariamente anche in Puglia), affiancando la Direzione Scientifica nell’indagine stratigrafica di siti databili dall’età arcaica fino al XIX secolo, compresi importanti cantieri di archeologia urbana, aree santuariali magnogreche ed edifici di culto cristiani. Ha collaborato con l’Amministrazione anche per l’allestimento di mostre temporanee e di esposizioni museali permanenti. E’ autrice di un centinaio di pubblicazioni, una decina delle quali monografiche, eterogenee per impostazione, cronologia e contenuti ma con una spiccata predilezione per la cultura materiale e le arti minori (in particolare l’oreficeria), molte delle quali edite negli atti di convegni nazionali e internazionali. E’ membro della Società degli Archeologi Medievisti Italiani, dell’Istituto per gli Incontri di Studi Bizantini, del Circolo di Studi Storici Le Calabrie e dell’Istituto Italiano dei Castelli. Collabora con l’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina. Referente del Gruppo FAI di Crotone dal 2013, è anche socia fondatrice di un paio di associazioni culturali a carattere locale per conto delle quali svolge attività didattica nelle Scuole e cura visite guidate gratuite tese ad avvicinare la cittadinanza ai temi dell’archeologia e della storia calabrese.