di Kasia Burney Gargiulo
Anche quando ferita dalle calamità naturali e dall’azione dei secoli la grande arte continua ad emozionare grazie alla potenza della forma e dell’espressione in cui il genio creativo si fa materia viva e pulsante. A darne conferma, se mai ce ne fosse bisogno, è il gruppo di opere provenienti dal monumentale altare-ciborio che nel 1631 fu commissionato da Ambrogio Gasco, priore della Certosa calabrese di S. Stefano del Bosco a Serra San Bruno, allo scultore e architetto bergamasco Cosimo Fanzago, un artista che in età barocca ha disseminato il Sud Italia di capolavori spaziando fra cappelle, altari, chiese, conventi, palazzi, guglie. Se condusse gran parte della sua esistenza e della sua attività artistica a Napoli – città in cui si trasferì stabilmente dal 1612, alla morte del padre – sono diverse nel Mezzogiorno le testimonianze del suo eccellente lavoro: dalle decorazioni per la Certosa napoletana di S. Martino, per il Gesù Nuovo e la Basilica di Santa Maria Egiziaca, al Palazzo Carafa di Maddaloni, gli altari maggiori delle principali chiese di Napoli, e poi ancora la Basilica della Madonna dei Miracoli ad Andria, il maestoso altare maggiore della Basilica Concattedrale di Sant’Agata a Gallipoli e l’altare del Sacramento nella Cattedrale di Palermo, solo per citare alcuni esempi.
UN CAPOLAVORO PER LA CERTOSA CALABRESE
Il gruppo di sculture che formavano l’articolato ciborio della Certosa istituita nell’XI secolo sull’Altopiano delle Serre calabresi da S. Bruno di Colonia – fondatore dell’ordine certosino qui vissuto fino alla fine dei suoi giorni – è miracolosamente scampato al devastante terremoto che nel 1783 distrusse il complesso conventuale, peraltro già riedificato a più riprese nel corso del Cinquecento, lasciando in piedi solo l’ordine inferiore della facciata della chiesa conventuale, 34 arcate del chiostro grande e la vera da pozzo al suo centro. In quella occasione il ciborio – notevole col suo meraviglioso tabernacolo templiforme in marmo, pietre dure e argento – fu smembrato e pressoché integralmente rimontato, intorno al 1837, nella chiesa di Maria SS. dei Sette Dolori. Dell’imponente opera del Fanzago restano oggi nel Museo d’Arte Sacra del duomo di Vibo Valentia 11 mirabili manufatti in bronzo dorato che raffigurano quattro angeli oranti; due angeli reggicanestro; san Lorenzo, santo Stefano, san Bruno, san Martino e un frammento architettonico.
Nel 2011 a questo straordinario corpus di opere, la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria dedicò la mostra “Arte svelata. Capolavori di Cosimo Fanzago. Il restauro delle sculture dal ciborio della Certosa di Serra San Bruno” tenutasi a Cosenza presso la Galleria Nazionale di Palazzo Arnone. L’esposizione curata da Fabio De Chirico con il coordinamento scientifico di Rosanna Caputo, è stata la prima speciale occasione per ammirare i capolavori del ciborio serrese riportati all’antico splendore dopo un attento restauro curato da Giuseppe Mantella, e per conoscere la complessa figura di Cosimo Fanzago, artista che ha dominato il panorama della scultura napoletana del ‘600.
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ALCUNE NOTE SUL RESTAURO
La tecnica che Fanzago utilizzò per realizzare i bronzi destinati alla Certosa di Serra S. Bruno è quella della fusione a cera persa diretta, con modello in cera e stampo in argilla entro cui si versava il bronzo fuso. A questa operazione seguiva la pulizia della superfici bronzee con raspe, ceselli e bulini, al fine di eliminare i residui della fusione e infine si procedeva con le decorazioni esterne e con la doratura realizzata “ad amalgama” di mercurio; si discioglieva cioè l’oro in polvere nel mercurio, formando un impasto semiliquido che aderisce spontaneamente alle superfici pulite del bronzo le quali, riscaldate a 325 gradi, fanno volatilizzare il mercurio trattenendo l’oro sulla superficie. Muovendo da questi dati tecnici, e dopo aver smontato le opere in tutte le parti che le compongono, i restauratori sono intervenuti con procedimenti meccanici e chimici su oggetti in pessimo stato di conservazione, con accentuati processi di degrado dovuti non solo ai naturali fenomeni di deterioramento del metallo, ma anche ai danni provocati dal terremoto come lesioni, fessurazioni e schiacciamento del modellato, e alle conseguenze di maldestre riparazioni effettuate con materiali o sistemi inappropriati. Anche la doratura risultava compromessa in molti punti ed è stato necessario accertarne la tecnica con apposite indagini scientifiche, utili anche per le parti non dorate che, in quanto tali, hanno richiesto un diverso trattamento.
DA SERRA SAN BRUNO A VIBO VALENTIA
Le 11 opere sono finite al Duomo di Vibo Valentia (allora Monteleone) nel 1807, dopo il sisma ed a seguito della soppressione dei monasteri decretata il 13 febbraio di quello stesso anno da Giuseppe Bonaparte. Qui sono rimaste fino al 1988 (data del loro passaggio al Museo d’Arte Sacra) ad adornare l’altare dedicato alle Anime del Purgatorio, noto soprattutto per la presenza di un bellissimo trittico cinquecentesco dello scultore palermitano Antonello Gagini. In tempi non troppo lontani i quattro angeli oranti hanno subito un’avventura che per qualche tempo fece temere il peggio circa il loro destino: trafugati dal Duomo di San Leoluca la notte del 5 maggio del 1973, furono recuperati dalle Forze dell’Ordine solo nel 1979 dopo una sparatoria sulla A3 Salerno-Reggio Calabria. Il gruppo di sculture è ritornato a Serra S. Bruno solo in occasione di una mostra che nell’agosto 1996 si tenne per un mese presso il Museo della Certosa dove esse furono temporaneamente trasferite dal capoluogo di provincia. Sarebbe pertanto da prendere in seria considerazione l’ipotesi di una ricomposizione dell’intero ciborio, riunendo i due gruppi scultorei attualmente smembrati magari dopo un attento studio volto a riscostruire l’assetto originario del monumento fanzaghiano.
IL RIALLESTIMENTO DEL MUSEO DI ARTE SACRA
Dopo quattro anni di chiusura, il Museo d’Arte Sacra di Vibo Valentia, è stato riaperto lo scorso 13 ottobre 2017 con un rinnovato allestimento, riconsegnando alla pubblica fruizione anche il gruppo di sculture di Cosimo Fanzago, senza dubbio fra le opere di punta dell’intera collezione. Ospitato nel Valentianum, Complesso Conventuale di San Domenico del XV secolo (restaurato nel 1982), il Museo è stato fondato il 22 dicembre 1988 per volere dell’arciprete Onofrio Brindisi ed ospita nelle sue sale opere provenienti dall’intero territorio vibonese, databili tra il XV e XIX secolo: oltre alle dieci statue bronzee del Fanzago, possono essere ammirate due statue gaginiane legate al citato “Trittico” del Duomo, alcuni dipinti attribuiti a pittori monteleonesi e napoletani, antichi messali, paramenti sacri di ottima fattura, molti oggetti liturgici, tra cui spiccano per qualità alcune argenterie di scuola napoletana come la mitria di S. Leoluca di Mattia Condursi (1854), il sarcofago di Decio de Suriano del XV secolo e i plastici ottocenteschi dello scultore calabrese Francesco Jerace. Insomma un importante contenitore di testimonianze del vasto patrimonio culturale calabrese, che ancora rimane sconosciuto ai più.
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