CALABRIA | Da un’asta spagnola spunta fuori un Mattia Preti. Sgarbi: «Un’opera calda, sonora, sorprendente, innovativa nell’ambientazione»

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San Gerolamo, 1640-1645 ca.

Mattia Preti – San Gerolamo, 1640-1645 ca.

di Redazione FdS

La storia che stiamo per raccontarvi inizia in Spagna nel giugno dell’estate scorsa, presso una casa d’aste di Barcellona dove un dipinto raffigurante San Gerolamo – scrittore, teologo e santo romano, nonché padre e dottore della Chiesa – genericamente indicato come “opera di scuola italiana del XVII secolo”, viene battuto partendo da una valutazione molto bassa, 2-3 mila euro. Eppure intorno a quel quadro,  un olio su tela che misura 135×102 cm,  si scatena subito un frenetico interesse ed il Lotto 32 (così il dipinto era numerato) diventa oggetto di una vera e propria escalation di offerte che porta la quotazione a salire di oltre 100 volte la base d’asta, venendo alla fine aggiudicato ad un compratore estero per la cifra di 350 mila euro. E’ questo il risultato di una vera e propria guerra a colpi di euro tra gli aspiranti acquirenti in sala, quelli sulla piattaforma web e quelli al telefono, affannatisi a partecipare da Inghilterra, Francia e Italia per aggiudicarsi un dipinto che molti reputavano di scuola napoletana del XVII secolo, assegnandolo inizialmente al circolo di Jusepe de Ribera, celebre pittore spagnolo attivo a Napoli,  ma in seguito – pare sulla base di sopravvenute informazioni che lo vorrebbero collocato in origine nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma – orientandosi per l’attribuzione ad un ipotetico discepolo di Caravaggio, pur sempre di ambiente napoletano.

Ma ecco che – come ha sottolineato il critico d’arte Vittorio Sgarbi in un suo bell’intervento su Sette dello scorso 21 agosto – lo sguardo “avvertito” di chi sa districarsi fra pennellate, stili personali, atmosfere, composizioni, e ogni altra chiave di lettura possibile e immaginabile fra quelle capaci di suggerire la paternità di un’opera d’arte, ha permesso alla fine di riscoprire in quel dipinto un capolavoro del grande pittore calabrese Mattia Preti. Di lui, come si ricorderà, nel 2013 si è celebrato il quarto centenario dalla nascita con due grandi mostre, a Taverna (Cz) sua città natale e a Venaria Reale (To), che hanno permesso di rinnovare l’interesse generale verso questo straordinario artista, per l’occasione posto in relazione con i grandi pittori del suo tempo, da Caravaggio a Ribera, a Guercino, a Luca Giordano. Ne è emersa una figura che – scrive Sgarbi – “nei suoi momenti più alti non teme il confronto con nessuno”, risultando spesso “innovativo nell’esecuzione pittorica”.

E questo San Gerolamo a suo avviso incarna proprio uno di quei “momenti alti” dell’artista di Taverna. In questo dipinto il critico ferrarese ravvisa l’ossequio verso Caravaggio “nel potente chiaroscuro”, ma al tempo stesso trova che Preti sia stato decisamente innovativo nell’ambientazione, così svincolata da ogni precedente iconografia del soggetto, del quale i seguaci di Caravaggio pur offrirono numerose interpretazioni. In particolare Sgarbi evidenzia i segni “sintetici ed espressivi” che rendono vibrante “la definizione della roccia” alle spalle del Santo; una soluzione che secondo il critico mette in risalto il maggiore realismo con cui Preti delinea la testa di Gerolamo, posta ben in luce e circondata da un’aureola appena accennata.

E se il Santo compare in questo dipinto chiuso nello spazio di una grotta con tutti i suoi consueti attributi – il manto rosso, il libro ed il teschio – purtuttavia non passa inosservata la incredibile modernità della postura e dell’espressione, che ci mostrano un uomo pienamente immerso nella lettura, con gli occhiali sul naso e nel quale – scrive ancora Sgarbi – “la spiritualità è subordinata alla psicologia del lettore appassionato”. Insomma una figura semplice e profondamente umana protagonista di un’opera che il critico non esita a definire “calda, sonora, sorprendente”.

Sgarbi reputa l’opera di altissima qualità e si sorprende che essa sia rimasta ignota ai repertori pretiani, a partire dal catalogo generale redatto da John Spike fino ai più recenti lavori di Keith Sciberras. Ad ogni modo ritiene che essa sia ascrivibile al primo soggiorno romano dell’artista, di preciso al periodo compreso fra il 1640 e il 1645, quando Preti è ancora fortemente influenzato dal Caravaggio, non è ignaro delle opere di Guercino,  ma è ancora “estraneo ad ogni languore o drammaturgia”.

Al di là di ogni altra valutazione, a svolgere un ruolo determinante nell’attribuzione del dipinto a Mattia Preti, è la presenza nell’Archivio Fototeca della Fondazione Federico Zeri di una immagine in bianco e nero che raffigura proprio il dipinto venduto nell’asta spagnola [il dato è facilmente riscontrabile sul sito web della Fondazione]. Dalle informazioni di inventario – spiega Sgarbi – emerge che si tratta di una foto precedente al 1946, inizialmente registrata con l’indicazione “opera di autore anonimo” e successivamente corretta in “Mattia Preti”, segno che il grande e compianto critico d’arte aveva raggiunto la necessaria certezza sull’attribuzione. Non è dato purtroppo sapere dove l’opera fosse ubicata all’epoca della catalogazione effettuata da Zeri nè come o quando sia approdata in Spagna. Non è da escludere che il dipinto, restaurato di recente, sia stato messo in vendita in Spagna “con l’intenzione – osserva Sgarbi – di dargli una provenienza non italiana per garantirne la libera esportazione”.

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