di Redazione FdS
Dal 21 dicembre 2018 al 15 maggio 2019, ha luogo a Napoli, presso il Museo e Real Bosco di Capodimonte (2° piano), la mostra “Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere”: in esposizione 1220 opere (tra dipinti, sculture, arazzi, porcellane, armi, e oggetti di arti decorative ) per raccontare il patrimonio racchiuso nei depositi di uno dei più importanti poli museali d’Italia. Gli oggetti d’arte esposti corrispondono al 20% per cento del totale delle opere contenute nei 5 depositi di Capodimonte, identificati come Palazzotto, Deposito 131, Deposito 85, Farnesiano e GDS (Gabinetto dei Disegni e delle Stampe). La mostra è a cura di Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano con Linda Martino, Patrizia Piscitello, Alessandra Rullo, Maria Rosaria Sansone, Alessandra Zaccagnini.
In molti pensano che i depositi di un museo siano universi chiusi, sotterranei polverosi, custodi impenetrabili pieni di tesori nascosti e ignorati. Sono infatti un mito associato, nell’immaginario collettivo, al sepolto e al mistero come se fossero la caverna di Alì Babà o la tomba di Tutankhamon. Luoghi pieni di capolavori sconosciuti, di opere dimenticate, di capolavori ai quali è stata sottratta la consacrazione della presenza nelle sale. Questo è vero solo in parte perché essenzialmente, il deposito di un museo moderno è il risultato di una selezione fatta dai direttori e dai curatori, che riflette lo stato della storia dell’arte in un dato periodo. Nella stessa selezione delle opere da esporre o da non esporre si riflette un gusto, una ragione storico artistica, per la quale si decide di non fare vedere, di individuare una nuova corrente che merita essere valorizzata.
Naturalmente anche questo percorso espositivo è il risultato della selezione effettuata dai curatori, dettata, per lo più, da ragioni legate ai limiti degli spazi espositivi (10 sale), allo stato conservativo delle opere e alla loro qualità, ma il numero elevatissimo di dipinti, sculture e oggetti presentati evidenzia l’intento principale: mostrare al pubblico quante più opere è possibile e, soprattutto, quelle poco o per nulla conosciute che, forse, sorprenderanno visitatori, connaisseurs, studiosi stimolando dibattiti, riflessioni, nuove proposte attributive. Questa mostra non è la presentazione di un percorso di studi e, per questo, il catalogo non viene presentato in occasione dell’inaugurazione, ma sarà edito, dopo un convegno tra museologi sul ruolo dei depositi per accogliere suggerimenti, notizie, in attesa di nuove storie ancora non scritte.
Questa mostra è il secondo capitolo del ciclo di esposizioni che sfida il principio costitutivo del museo, proponendolo non più come entità statica e immobile, presunta lezione magistrale, ferma nel tempo, ma come luogo di libertà, di creatività, di potenziale espressivo, di vivace diversità della conoscenza e del gusto: dieci personalità diverse, provenienti, per formazione e professionalità, da ambiti eterogenei dello scibile umano, hanno reinterpretato le collezioni del Museo attraverso la propria visione. Il terzo capitolo del ciclo sarà C’era una volta Napoli. Storia di una grande bellezza (14 giugno 2019 – 15 Aprile 2020) che punterà a dimostrare, con 1000 oggetti, come una mostra oltre ad essere ricerca storica, sia anche uno spettacolo.
OPERE IN MOSTRA
L’allestimento al secondo piano del Museo di Capodimonte presenta un viaggio nel mondo dei cinque depositi del Museo alla scoperta di quello che normalmente conservano. Nell‘atrio, dedicato ai Depositi 131 & ex GDS, troviamo quasi tutta la scultura dell’Ottocento, epoca che in tempi più recenti sta ottenendo una giusta riconsiderazione scientifica, superando pregiudizievoli problemi di gusto. Nella Sala 106, relativa al Deposito Palazzotto Borbonico, è esposta un’importante selezione di opere di tema orientalista ed esotico, gusto che nasce già dal XVII secolo con le spedizioni esplorative, la scoperta di nuovi mondi e la nascita del colonialismo. Nella Sala 105, in continuità con la sala precedente si presentano oggetti etnografici rari del Settecento, come quelli donati al re Ferdinando IV da lord Hamilton e provenienti dalla raccolta del capitano James Cook, oltre ad alcuni manufatti di provenienza extraeuropea della collezione del cardinale Stefano Borgia (1731-1804).
Nella Sala 104 (Deposito 131) dominano invece il tema del paesaggio – nato nel Seicento e considerato a lungo un genere inferiore alla grande pittura di storia, al ritratto e alla natura morta – e quello del ritratto, molto rappresentato da una numerosa serie di dipinti: dal ritratto storico a quello di genere, dall’idealizzazione classicista alla rappresentazione verista. Nella Sala 1043/a (Deposito Grandi Opere – Palazzotto Borbonico) troviamo, fra le altre opere, un dipinto di Solimena e uno dei cavalli in legno fatti realizzare nell’Ottocento da Annibale Sacco, direttore della Real Casa Savoia, per esporre l’Armeria farnesiana-borbonica, mai presentati al pubblico. La Sala 103/b (Deposito 131) ospiterà vari dipinti di genere storico che, dall’inizio del Romanticismo, tende a perdere la sua dimensione morale privilegiando episodi aneddotici, frequentemente ambientati nel Medioevo e nel Rinascimento.
Nella Sala 102 (Deposito Farnesiano) sarà possibile vedere alcuni dei numerosissimi servizi di porcellana e delle suppellettili farnesiane, borboniche e Savoia. La Sala 101 (Deposito 85) ospiterà alcuni dipinti su tavola della prima metà del XVI secolo e dipinti a soggetto religioso di varie scuole e vari periodi. Ancora dipinti del genere storico, considerato al primo grado nella gerarchia accademica dei generi artistici, nella Sala 100 (Deposito 85). Armi e tessuti, compresi alcuni manufatti mai esposti, saranno infine protagonisti della Sala 99 (Deposito 131); le opere sono tutte provenienti dalla Reggia del Museo di Capodimonte, pressoché cancellata nella sua originaria identità quando, nel 1957, diventò una grande Pinacoteca.
FORZIERI DI IDENTITÀ
In Italia questi ”recuperi” sono possibili perché, a differenza dei musei americani, dove vige una logica collezionistica e non patrimoniale, per cui le opere musealizzate possono essere vendute o sostituite, i Musei europei sono responsabili di un patrimonio inalienabile, eredità storica ed identitaria: le collezioni devono essere preservate nella loro unitarietà, ogni singola opera è considerata non solo come esito di un gusto artistico ma anche come testimonianza storica, a prescindere dal valore estrinseco. In quest’ottica, a metà degli anni Novanta del Novecento, è stato possibile identificare ed esporre a Capodimonte una parte degli oggetti d’arte rari e preziosi della collezione Farnese provenienti dalla “Galleria delle cose rare”, una sorta di camera delle meraviglie attigua alla Galleria Ducale di Parma. Le preziose suppellettili, giunte a Napoli con Elisabetta Farnese formarono la Wunderkammer (oggi in parte ricomposta) del “Real Museo Farnesiano di Capodimonte”, meta obbligata degli illustri viaggiatori del Grand Tour, tra cui Winckelmann (1758), Fragonard (1761), il Marchese de Sade (1776), Canova (1780) e Goethe (1787) che lasciarono testimonianze scritte della loro visita.
Nonostante il Museo di Capodimonte sia enorme (15.000 mq organizzati in 126 sale), ha parte del suo patrimonio in 5 grandi e medi depositi, nati fra la fine degli anni’40 e i primi anni ’50 quando venne sancita la definitiva destinazione della Reggia di Capodimonte a Museo, prima che si desse avvio al progetto di risistemazione, cosa che avvenne tre anni dopo. Dall’allestimento furono escluse, e quindi riposte nei depositi, opere non ritenute interessanti secondo il gusto del momento o perché ancora da restaurare. Nel corso degli anni, sotto la guida dei vari soprintendenti succedutisi, opere provenienti dai depositi del Museo sono state riproposte al pubblico con allestimenti diversi che hanno successivamente riscritto la storia della collezione, fino a quest’ultima esposizione voluta da Sylvain Bellenger, dal 2015 direttore del Museo e del Real Bosco.
UNO SGUARDO NEI DEPOSITI
Fra opere dalla attribuzione incerta, copie e altre dalle precarie condizioni di conservazione, non mancano dipinti dalla celebre paternità, come quelli di Sebastiano del Piombo, Battistello Caracciolo, Giovanni Lanfranco, Francesco Solimena, Domenico Morelli. Oppure, cambiando genere, esempi pregiati di arti decorative o applicate come il ricchissimo servizio di Casa Savoia, giunto a noi quasi integro ma impossibile da esporre per il numero elevato di pezzi, preziosa testimonianza della vita di corte ai tempi dei duchi d’Aosta. Oppure ancora la collezione di oggetti esotici provenienti dalle spedizioni del Capitano James Cook in Oceania, donati a Ferdinando IV di Borbone dall’ambasciatore lord Hamilton, Ministro plenipotenziario della Gran Bretagna; un patrimonio ancora poco studiato e che sarebbe da rapportare ad opere analoghe custodite presso il British Museum di Londra.
I depositi non sono tuttavia solo il luogo delle opere non selezionate per l’allestimento ufficiale ma anche uno spazio di conservazione e di studio, talvolta di scoperta come nel caso degli oggetti rari di provenienza Farnese individuati da Linda Martino negli anni ‘90 e attualmente esposti nella Wunderkammer del Museo dal 1995, o della collezione del cardinale Stefano Borgia che dopo lunghissimi lavori di ricognizione sull’antico inventario, è stata esposta in tre sezioni: il Museo Sacro, l’Arabo Cufico e l’Indico. Ai depositi si è attinto, inoltre, per la sezione dell’Ottocento privato, a cura di Serena Mormone e Linda Martino, di oltre duecento opere d’arte tra dipinti, sculture, oggetti d’arredo, tessuti e tendaggi in grado di ricreare la dimensione intima di un appartamento privato di corte. Insomma, alla fine il deposito è il luogo in cui l’attività di un museo è più intensa: qui nascono gli allestimenti, le mostre, gli approfondimenti scientifici degli studiosi ed è grazie ai depositi che si consolida, con i prestiti internazionali, l’autorevolezza di un museo.
NASCE LA SCUOLA DI DIGITALIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI D’ITALIA
In concomitanza con la mostra Depositi, il Museo di Capodimonte ha avviato un progetto scientifico in collaborazione con la Regione Campania e il Mibac, finalizzato alla digitalizzazione progressiva dell’intero patrimonio storico artistico, con bibliografie articolate per facilitare le ricerche degli studiosi di tutto il mondo. Con l’Università Federico II di Napoli, nell’edificio settecentesco detto Colletta e inglobato nel Bosco di Capodimonte, il museo ha avviato la creazione della prima Scuola di digitalizzazione dei beni culturali e paesaggistici d’Italia. Un rapporto, questo con la tecnologia digitale, che il museo napoletano ha intrapreso già dall’estate 2018 con l’immissione di oltre 500 capolavori del Museo di Capodimonte (di cui 200 sono stati fotografati con la tecnica di ultima generazione “Art camera”) sulla piattaforma dedicata Google Arts & Culture, offrendo la possibilità di visite virtuali a 360° delle sale del Museo e dei viali del parco.
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Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napolivia Miano 2, Napoli
dal 21 dicembre 2017 al 15 maggio 2019
Orari: aperto tutti i giorni, dalle 9.30 alle 17 tranne il mercoledì (chiuso il 25 dicembre e l’1 gennaio);
24 dicembre e 31 dicembre, dalle ore 9.30 alle 14
mercoledì 26 dicembre: dalle ore 14 alle ore 19.30
Biglietti: mostra e museo intero 12 euro; ridotto 8 euro
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