Non è la prima volta che vi parlo della scrittrice vibonese Titti Preta, quindi mi limito qui a ricordarvi che si tratta di una docente di Lettere Classiche con formazione accademica in archeologia, che oltre ad essersi occupata di epigrafia latina e di beni culturali ha debuttato nella narrativa con il romanzo mistery Il segreto della ninfa Scrimbia (Editore Meligrana), primo passo di un percorso che ha nell’eclettismo la sua cifra distintiva. Prima però di parlarvi di un suo recente lavoro di cui è uscita da poco la nuova edizione, mi piace citare i suoi ultimi successi: dal Primo Premio al concorso letterario “Le donne pensano, le donne scrivono” a Noale (Venezia), alla sua partecipazione come ospite d’onore all’ultima edizione del Festival “Giallo Trasimeno” con “L’abbraccio della notte”, il suo romanzo-inchiesta sul Mostro di Firenze. Al 2017 risale invece “Cercando Yolanda. Vita in controluce di Dalida la “Calabrese di Parigi”, un volume pubblicato in occasione dei trent’anni dalla morte di Dalida, una delle più grandi vedette del pop mondiale. E così, nel mese della sua riedizione, ho pensato di proporre ai lettori del mio blog su Famedisud la storia di questa Diva della musica leggera, titolare di un successo da 140 milioni di dischi venduti in tutto il mondo.
Titti Preta è scrittrice del Sud e come tale fortemente ispirata da storie, figure e realtà legate alla nostra terra, quindi non poteva rinunciare a delineare un ritratto di una donna calabrese che grazie al suo talento e al suo anticonformismo è riuscita a raggiungere la fama internazionale, ovvero Yolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalida, originaria di Serrastretta (Catanzaro). Durante la lettura di questo affascinante lavoro – un mix tra saggistica e narrativa -, scopriamo come l’autrice sia riuscita con grande maestria a trattegiare il duplice profilo psicologico di questa icona pop: quello della ‘diva Dalida’ e quello della ‘persona Yolanda’, consentendoci di conoscere a pieno le sue gioie, i suoi successi ma anche le sue profonde fragilità e debolezze, le stesse che nel 1987 l’avrebbero portata al gesto estremo del suicidio.
Ma come viene ricordata Dalida nell’immaginario popolare? La sua bellezza dall’aura un po’ esotica, piena di fascino e sex appeal, si armonizza con le meravigliose qualità vocali, dando corpo al personaggio Dalida, il cui nome trae origine da quello di Dalilah, l’eroina biblica. E come un’eroina dei tempi moderni a metà degli anni ’50 approda in Francia, a Parigi, in un paese privo di stereotipi, in cui aleggiano gli insegnamenti di Sartre e nei cui boulevard riecheggia in sottofondo la voce di Edith Piaf. Parigi è una città culturalmente all’avanguardia e qui Yolanda trova il vento ideale per far spiccare il volo al suo pensiero d’intrepida attivista contro ogni forma di pregiudizio e di discriminazione sessuale. Nemo profeta in Patria quindi, nel senso che una come lei non poteva essere compresa in un’Italia puritana, catechizzata dal trascorso ventennio fascista, in un paese che non riusciva a concepire l’accettazione degli aneliti di libertà che J.P. Sartre andava propugnando in Francia.
Com’è solita fare nei suoi scritti, l’Autrice alterna la poesia alla prosa dedicando una lirica alla Diva oriunda:
Yolanda “stella cadente”
Nel fulgido cielo della notte
appare e scompare
una scia evanescente
che si perde nel nulla.
Freccia scoccata da un arco invisibile:
Yolanda, stella cadente.
Parabola disegnata dalla Sorte,
avventura d’un fiato,
battito di ciglia,
tenue barlume,
pulsione di un attimo.
Ma il brillìo verso l’apice
è miracolo.
Ne impallidiscono i numi
e si squarciano le tenebre.
Con questa lirica Preta sintetizza l’immagine che ha dell’artista: le appare infatti come un astro, come una fulgida dea pagana che, raggiunto il momento apicale della sua ascesa, si suicida per eliminare Dalida, ovvero quella parte di sè del cui successo Yolanda aveva pagato il prezzo fallendo nella vita i propri progetti di donna, moglie e madre. Del resto è quanto emerge anche dalle parole del fratello Bruno: “Il conflitto tra la donna e l’artista era ormai insanabile. Dalida aveva tutto, il successo, la ricchezza. Yolanda invece era rimasta sola, senza un uomo e senza figli”. Dalida aveva dunque incontrato il male di vivere, trovandosi sola davanti a se stessa, alla sua dimensione più intima e fragile, alle sue passioni irrisolte, alla sua interiorità. Ecco però che la morte la sublima, la rende eterna e immortale creando il mito e trasformandola in un’icona di perfezione e bellezza imperiture.
Per provare così a comprendere più a fondo l’estremo gesto di Dalida, l’autrice ne analizza la vita. Il libro infatti non si concentra sulla sua tragica dipartita bensì sul coraggio, la determinazione, la forza, la ribellione, il conquistato successo, l’emancipazione di una donna forte e al tempo stesso fragile per estrema sensibilità; una donna alla quale non faceva paura il palco ma a cui finì col fare paura la vita. Scorrendo le pagine del libro scopriamo dunque una donna che è testardaggine, voglia di farcela, studio, difesa delle minoranze etniche e sociali, impegno politico. A queste sue caratteritiche va aggiunto anche l’orgoglio di essere un’oriunda, sentimento alimentato dalla memoria delle proprie radici mediterranee e del proprio sangue calabrese [nel video seguente la sua visita a Serrastretta, in Calabria, nel 1962, per il conferimento della cittadinanza onoraria].
Ma verso cosa erano indirizzate tanta caparbietà e passione? Lo si comprende quando dal racconto emerge come essere un’icona della musica non fosse affatto il principale obiettivo della sua vita: la sua scelta di morire dimostra infatti come la mancata realizzazione di quei valori che sentiva propri, come quello di formare una sua famiglia o d’incontrare l’amore della sua vita, non fosse stata compensata né dal denaro né dalla gloria. A ciò si aggiunse la nemesi di incontrare uomini fragili che a uno a uno si tolsero la vita, circostanza drammatica che la mise duramente alla prova sul piano emotivo. L’Autrice sottolinea infatti come il mondo sentimentale di Dalida – incapace di convivere con la solitudine – sia stato contrassegnato da una sorta di horror vacui che, per sentirsi completa, tendeva a riempire con relazioni infelici.
La scrittura non smentisce la cifra stilistica di Titti Preta: coinvolgente e appassionata, dà vita a un lavoro valido e documentato, di scorrevole lettura, impronta connaturata in tutti i suoi lavori. In poche pagine riesce sapientemente a tratteggiare un’immagine dettagliata di questa figura affascinante e al tempo stesso misteriosa, evidenziandone luci e ombre, splendori e risvolti negativi che, come spesso accade nella vita delle dive, incombono minacciosi tra le quinte del palcoscenico.
Avendo approfondito ogni aspetto della vita di Dalida, Titti Preta estrapola pensieri o parole mai dette ma che l’artista avrebbe potuto pronunciare; durante la stesura l’Autrice sente infatti l’esigenza di abbandonare il presente storico per dare vita a quella voce che non c’è più attraverso dei flashback di felice efficacia narrativa, e ciò al fine di far entrare il lettore in confidenza con l’intima personalità del personaggio; lo fa mettendo in risalto le qualità umane di Yolanda e non solo quelle artistiche di Dalida, e questo contribuisce senza dubbio a rendere la lettura più scorrevole proprio perché confidenziale. Il tutto risulta non solo piacevole ma sorprendente perché fa conoscere a noi giovani di un altro tempo una donna che potrebbe essere una popstar di oggi: una personalità indipendente in grado di travalicare i confini delle mode, creandone una tutta sua, originalissima, come originali sono gli stessi testi delle canzoni che interpretò, ancora attuali.
Chiunque volesse approfondire questa storia dal sapore amaro oltre a leggere questo bellissimo libro può recarsi a Serrastretta a visitare la Casa Museo dedicata a Dalida.
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