di Kasia Burney Gargiulo
L’altro ieri vi avevamo annunciato l’importante ritrovamento in Molise, a Venafro (Isernia), di reperti archeologici risalenti alla prima età del bronzo, individuati in località ‘Camiciola’ lungo la vecchia strada che costeggia il Volturno, a circa 300 metri dal fiume. Ieri, all’anfiteatro del Verlascio, si è finalmente tenuta la conferenza stampa di cui aveva anticipato notizia il Soprintendente ai beni culturali del Molise Gino Famiglietti.
Nel corso dell’atteso incontro con la stampa si è appreso che ad essere stati ritrovati sono ben due insediamenti umani protostorici di grandi dimensioni situati a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, la cui conservazione nel tempo è stata garantita da un’esondazione del fiume Volturno che li ha praticamente sigillati per secoli. Oltre a Gino Famiglietti erano presenti in conferenza le autrici del ritrovamento: si tratta delle archeologhe Maria Diletta Colombo, direttrice dei Musei Venafrani e responsabile locale della Soprintendenza archeologica, e Mariangela Rufo, giovane studiosa molisana, che hanno ricostruito con emozione i momenti della scoperta. Fra gli intervenuti anche il sindaco Antonio Sorbo, che si è detto orgoglioso, a nome della città, per lo straordinario ritrovamento.
Dato che l’area interessata dalla scoperta è quella collegata ai lavori di realizzazione di un gasdotto, Famiglietti ha tenuto a specificare che il ritrovamento è stato il risultato di una operazione di archeologia preventiva, in attuazione cioè delle verifiche previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, con funzione propedeutica alla realizzazione di lavori pubblici in aree considerate di interesse archeologico. Dopo una preliminare ricognizione d’archivio e bibliografica, si passa in seconda battuta ad effettuare ricognizioni sul terreno effettuando veri e propri saggi di scavo. In questo caso quanto avvenuto nel cantiere del metanodotto Busso-Paliano è un esempio di corretta applicazione delle norme previste in materia.
I siti neolitici ritrovati, inconsueti fino ad oggi in quest’area, si trovano uno, detto ‘sito A’, in località ‘Tenuta Nola’, esteso per circa 350 metri, e l’altro in località ‘Camiciola’, denominato ‘sito B’, di circa 70 metri, del quale avevamo accennato l’altro ieri in occasione del lancio della notizia. Il secondo è praticamente intatto nella sua stratigrafia essendo stato, come si diceva all’inizio, ricoperto dal limo del fiume esondato migliaia di anni fa. Vi compaiono importanti resti animali e ossa umane di individui adulti, dal che si deduce l’uso di seppellire i defunti all’interno dei villaggi. Figurano anche tracce di strutture abitative, resti di strumenti a punta e alcune tombe. Nel sito invece di Tenuta Nola è presente una pluristratigrafia, a causa di sovrapposizioni intervenute già in epoca antica. Due metri sopra i resti del villaggio, tra il III secolo a. C. e il I secolo d. C., si è infatti sovrapposto un insediamento Romano, con evidenti tracce di vasellame ben conservato, collocato in particolare all’interno di un pozzo profondo circa 4 metri, al di sotto del quale, è probabile ci sia altro materiale di epoca neolitica. Si tratta di scarti probabilmente gettati via da Romani in occasione dell’abbandono della piana di Venafro.
Dell’insediamento più antico sono stati ritrovati i fori di pali attinenti alle capanne e resti di alcune armi rudimentali. Tenuto conto della natura di alcuni dei materiali reperiti, come le lame di ossidiana, è possibile immaginare questi luoghi come sede di traffici tra varie zone del territorio nazionale. Gli oggetti di nero vetro vulcanico ci riportano infatti alle isole Eolie, alla Sardegna oppure a Ponza, secondo direttrici di traffico che attraversavano il Tirreno. A Tenuta Nola sono invece emerse tracce di un bambino molto piccolo, praticamente quasi un neonato, vissuto circa 5-6mila anni prima di Cristo, di cui sono abbastanza leggibili solo le ossa lunghe, mentre il resto dello scheletro, soprattutto il cranio, è piuttosto mal conservato. Questo reperto – ha notato Famiglietti – è soprattutto l’importante testimonianza delle condizioni di vita particolarmente ardue di queste popolazioni pur in un ambiente abbastanza tranquillo come quello della piana attraversata dal fiume, con condizioni climatiche tutto sommato agevoli rispetto ad altre aree del territorio. Nella stessa località Tenuta Nola è poi affiorata la costola di un elefante, ora sottoposta ad indagini al Carbonio 14 per identificarne in modo preciso la datazione.
Le archeologhe Colombo e Rufo, avvalendosi della proiezione di alcune slide, hanno presentato il bilancio di circa due anni di scavi in tutto il Molise: dai resti del portico di una villa romana nella zona di San Massimo alle fornaci rinascimentali di Cantalupo; dall’impianto produttivo di castelpetroso del III sec. a.C., al ritrovamento di una statio (posto di vedetta) lungo uno tratturo; dalle tracce di una probabile azienda agricola a Montaquila alla necropoli arcaica a Pozzilli, dove sono state scavate una ventina di tombe, con resti bronzei ben conservati a differenza del materiale ceramico. Ancora a Pozzilli sono emerse alcune ville rustiche romane, mentre nella stessa Venafro sono emerse tracce di una centuriazione (delimitazione romana dei terreni agricoli). I due eccezionali insediamenti protostorici hanno infine posto Venafro fra i luoghi di maggior interesse nell’Italia centro-meridionale per quanto concerne l’archeologia del Neolitico.
Interpellato sulle future possibilità di fruizione dell’area appena scoperta, Famiglietti ha espresso l’intenzione di avviare un dialogo con il proprietario dei terreni per acquisirli attraverso trattativa privata o, se necessario, mediante esproprio per pubblica utilità. I passaggi ulteriori saranno il completamento dello scavo e la musealizzazione dei reperti. A tal proposito il Verlascio, in corso di restauro, è interamente di proprietà statale per cui – ha annunciato Famiglietti – si candida ad essere il luogo ideale per un Museo nel Neolitico. In riferimento ai due villaggi – per i cui antichi abitanti già si parla di Homo ‘venafranus’ – l’idea, ha concluso il soprintendente, potrebbe essere quella di farne una ricostruzione fedele in modo da offrirli al pubblico nella loro interezza, come è stato fatto in altre luoghi d’Italia per simili ritrovamenti.