di Enzo Garofalo
Temi capitali come il senso della vita, della morte, l’esistenza di un altrove ultraterreno, attraggono da secoli la riflessione dell’uomo spingendo il pensiero sui terreni minati dell’insondabile, dell’ineffabile, dell’irrazionale. Eppure sono quesiti imprescindibili, espressione dell’accorato tentativo da parte dell’uomo di trovare un senso alla propria esistenza. Filosofia, letteratura, poesia, arte se ne sono fatti carico da secoli, e altrettanto ha fatto la musica, arte dell’ineffabile per definizione: “Dove la parola manca, là comincia la musica…” sosteneva il filosofo e musicologo francese Vladimir Jankélévitch. E ad essa non poteva che affidarsi il compositore austriaco Gustav Mahler quando a 28 anni si rese conto che valeva la pena azzardare una risposta a quei quesiti “se è nostro destino continuare a vivere, o anche solo continuare a morire!”, come scrisse nel 1896 in una lettera indirizzata al critico Max Marschalk. Temi immani e profondi che trovarono espressione nella Sinfonia n. 2 in do minore, nota anche come Sinfonia “Risurrezione” dalle parole dell’inno “Die Auferstehung” (La Risurrezione) di Friedrich Klopstock utilizzata nel quinto movimento. Un capolavoro che il pubblico del Teatro Petruzzelli ha avuto l’occasione di ascoltare nell’esecuzione affidata all’Orchestra e al Coro del Teatro diretti dal Giampaolo Bisanti, oltre che al mezzosoprano Stefanie Irànyi e al soprano Tanja Kuhn.
Una monumentale architettura musicale, resa dall’orchestra e dal suo direttore con notevole vigore espressivo, ha innalzato il foltissimo pubblico in sala verso vertici di maestosa sacralità man mano che le note procedevano dalla terribile inquietudine che la morte porta con sé – ispiratrice del primo movimento pregno d’una funerea veemenza e solennità solo per un attimo rischiarate da un tema cantabile prima della stridente conclusione – verso quel consapevole senso di beatitudine che nell’ultimo tempo pervade l’anima umana di fronte alla rivelazione del suo destino finale affidata ad un coro di santi e creature celesti: la risurrezione nella luce meravigliosamente abbacinante della divinità. Una monumentalità rispecchiatasi nelle proporzioni, notevolissime, dell’orchestra – che ha visto l’aggiunta di quattro corni e quattro trombe in lontananza per ottenere particolari effetti sonori – oltre che nella presenza dell’organo e di un enorme coro, così come nello sviluppo in 5 tempi al posto dei tradizionali quattro, il tutto sfociato in un’ora e venti minuti di musica straordinaria.
Soave e incisiva la voce del mezzosoprano Stefanie Irànyi che nel 4 movimento ha intonato uno dei brani vocali di maggiore lirismo e distensione creati da Mahler: si tratta di ‘Ulricht’ (Luce primordiale), basato su una breve poesia popolare tratta dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn (Il corno meraviglioso del fanciullo); composto per contralto, ha un registro compatibile per entrambe le voci. Nell’ultimo movimento, contenente l’ode di Klopstock, non ha entusiasmato il contributo del soprano Tanja Kuhn (O glaube, mein Herz, o glaube – Credi, cuore mio, credi),la cui voce è risultata alquanto esile nell’arduo confronto col maestoso apparato esecutivo messo in campo sul palcoscenico del Petruzzelli. Brillante la performance del Coro del teatro magistralmente preparato dal M° Fabrizio Cassi.
Il pubblico, decisamente eterogeneo e con una presenza giovanile in progressivo incremento, ha risposto con grande entusiasmo all’esecuzione di un’opera che col suo crescente climax emotivo si congeda dall’ascoltatore lasciandogli un senso di profonda commozione e pienezza interiore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA