Dubbio esistenziale, divertimento, passioni romantiche nel coinvolgente Concerto a Palazzo, al 40° Festival della Valle d’Itria

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Il direttore d’orchestra Omer Meir Wellber – Ph. Tato Baeza

di Enzo Garofalo

Il Festival della Valle d’Itria, fiore all’occhiello della programmazione culturale pugliese, oltre ad offrire ricercatezze musicali del passato e della contemporaneità nel campo del teatro lirico, propone anche un interessante carnet di concerti che si distinguono per la ricchezza e l’originalità dei programmi. Concerto a Palazzo, tenutosi lo scorso 29 luglio nella corte interna dello splendido Palazzo Ducale, è stata una delle occasioni musicali più entusiasmanti fra quelle proposte in questa 40a edizione che, lo ricordiamo, prosegue fino al 3 agosto prossimo. A dirigere l’Orchestra Internazionale d’Italia, da anni in organico stabile al Festival, c’era una delle giovani leve della direzione d’orchestra internazionale, non nuovo al podio della manifestazione pugliese. Mi riferisco al trentenne direttore israeliano Omer Meir Wellber, già apprezzato in precedenti occasioni per il suo approccio energico ed appassionato alla pagina musicale; un musicista a cui il tempo e l’esperienza hanno conferito una più spiccata maturità e una più intensa capacità di penetrazione, qualità che gli permettono di condurre l’orchestra ad esiti di grande qualità espressiva.

Il concerto – che si è caratterizzato per l’apparente eccentricità del programma, rivelatasi efficacissima nel tener desta l’attenzione del pubblico – si è aperto con un brano di un autore noto ai più non certo per la sua attività di compositore sinfonico. Parlo dello statunitense  Franck Zappa del quale è stato eseguito il brano Get Whitey, tratto da Yellow Shark, ultimo album uscito prima della sua morte nel 1993. Se però Zappa è per il vasto pubblico principalmente il geniale chitarrista legato al mondo del rock più dissacrante, la sua estrema poliedricità gli ha permesso da sempre di inoltrarsi come autore anche nei territori del jazz e della musica classica, muovendosi spesso alla ricerca di punti di congiunzione fra i vari generi, ma sempre all’insegna di una forte dose di anarchia. Anarchia particolarmente percettibile nel brano presentato a Martina Franca che sfuggendo ai più consueti criteri di costruzione e sviluppo, è risultato un personalissimo coacervo di effetti sonori, molto suggestivi e ricchi di allusioni nella parte iniziale del pezzo ma via via risultati altrettanti segmenti di un percorso quasi claustrofobico e senza via d’uscita. Quel senso del dubbio che – stando alla ‘lettura’ del brano riferita dal direttore Meir Wellber subito dopo la fine dell’esecuzione e durante il cambio di organico orchestrale in vista del brano successivo – avrebbe ispirato Zappa, si è quindi senz’altro trasferito anche negli ascoltatori. Al di là d’ogni valutazione estetica, forse era proprio quello che l’autore mirava ad ottenere.

Puro divertimento, non privo di momenti lirici e struggenti ma sempre sul filo dell’ironia, il brano di Friedrich Gulda Concerto per violoncello e orchestra di fiati. Il suo autore, come certo molti sanno, è stato un pianista leggendario, scomparso nel 2000, il quale si è spesso cimentato col ricercare la combinazione di più stili, giocando sui contrasti tra forme classiche e quelle più tipiche delle grandi jazz band americane. Il risultato, soprattutto in questo brano, è decisamente prorompente. La percezione è quella di una musica scritta da una persona felice ed ottimista che ha avuto il piacere, attraverso le proprie composizioni, di condividere con gli altri le sue emozioni positive. Lo si è notato nella stessa reazione del pubblico che sembrava non riuscire a star fermo sulle sedie, trascinato dal ritmo di una musica davvero coinvolgente. Straordinaria la performance del violoncello solista Georgi Anichenko –  protagonista di un vero successo personale – che grazie alla sapiente scrittura di Gulda e al proprio virtuosismo, ha trasformato uno strumento tipico della tradizione classica in uno malleabilissimo strumento da repertorio leggero e jazz.

Cambio radicale di registro nell’ultimo pezzo in programma, la Sinfonia Manfred in si minore di Petr Il’ic Ciaikovskij, che ha immerso il pubblico nelle atmosfere ora liriche ora perdutamente passionali del grande romantico russo. Uno straordinario affresco musicale del poema drammatico di Lord Byron,nonché una delle composizioni di Ciaikovskij di maggiore vastità. La musica segue il percorso, reale e metaforico, del protagonista in fuga da ricordi che lo ossessionano; fa rivivere il contrasto fra la vita semplice, libera e pacifica fra i monti e il suo personale tumulto interiore. Come in molti creazioni romantiche che si rispettino, in questa sinfonia non manca l’elemento soprannaturale –  in tal caso la fata dei boschi, l’orgia degli spiriti e l’evocazione di Astarte, la donna amata da Manfredo –  ed ecco Ciaikoskij dare libero corso al potere delle sue note in grado di ‘dipingere’ anche l’invisibile in modo del tutto fiabesco. Il brano si chiude con un senso di ritrovata serenità da parte del protagonista che alla fine muore come profetizzato dalla sua amata. Una chiusura in grande stile per un concerto accattivante ed impeccabilmente eseguito, come sottolineato dai numerosi applausi con finale standing ovation che il pubblico del Festival ha tributato all’orchestra e al suo direttore. E proprio a Meir Wellber va riconosciuto il non essersi risparmiato affatto – nell’affrontare un lavoro complesso come questa sinfonia – nel ricercarne con buon successo la resa delle molteplici sfumature espressive.

 

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