di Redazione FdS
E’ stato definito “il più grande ritrovamento di reperti archeologici della storia” ed è quello compiuto in Svizzera dai carabinieri del Comando Tutela del Patrimonio Culturale che sono riusciti ad assicurare il rientro in Italia di oltre cinquemila reperti trafugati dai tombaroli in Puglia e altre regioni del centro-sud e destinati al mercato clandestino internazionale. Il recupero è stato presentato nei giorni scorsi nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Roma, alle Terme di Diocleziano, in occasione della quale il ministro dei beni Culturali Dario Franceschini ha spiegato che “si tratta del ritrovamento più grande di sempre, di un valore compreso tra i 40-50 milioni di euro”. Dopo una prima esposizione alle Terme di Diocleziano – ha puntualizzato il ministro – l’intenzione è quella di riportare le opere nei loro luoghi di provenienza, ossia regioni del centro-sud come Puglia, Sardegna, Basilicata e Lazio.
L’operazione dei militari, definita con nome in codice “Teseo”, è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, ed è durata ben 14 anni. I 5.361 reperti risalgono a un’epoca compresa tra l’VIII secolo a.C. e il III secolo d.C. ed erano pronti per essere venduti prima di lasciare la Svizzera. Com’è noto la Svizzera è un luogo privilegiato per lo smistamento internazionale di materiale archeologico e di opere d’arte provenienti dall’Italia. E’ una perversa filiera che esiste da sempre e che è riuscita a convogliare in musei esteri e collezioni private un numero incommensurabile di opere trafugate nel nostro Paese.
Ad essere maggiormente colpito dal fenomeno è soprattutto il territorio del Sud Italia che, in quanto culla della civiltà magno-greca, è un vero e proprio giacimento di reperti archeologici; a ciò si aggiunga lo scarso controllo del territorio da parte delle istituzioni, soprattutto in un ambito come quello archeologico vittima di crescente incuria oltre che di tagli ai fondi destinati a studi e ricerche. In altri termini, mentre noi lasciamo il campo libero a tombaroli e ricettatori, perdendo interi pezzi della nostra Storia, i musei esteri rimpinguano le loro collezioni – e le loro casse – grazie ai reperti provenienti dal nostro territorio. E a poco valgono le sporadiche restituzioni, spesso frutto di lunghe ed estenuanti trattative diplomatiche, se poi non si fa nulla per bloccare un’emorragia continua che sta letteralmente “desertificando” le testimonianze storiche di intere aree, come ad esempio quella del foggiano o quella calabrese.
Gli innumerevoli reperti sequestrati dai Carabinieri – ha spiegato la sovrintendente ai beni archeologici di Roma, Mariarosaria Barbera – sono per gran parte di eccezionale qualità e comprendono un vasto campionario di oggetti fra cui anfore, crateri, piccoli bronzi, statue, addirittura affreschi di ville vesuviane, armature in bronzo. Provengono per lo più da aree di culto o funerarie il rapporto con le quali – fondamentale per contestualizzare storicamente e scientificamente gli oggetti – è ormai andato irrimediabilmente perduto.
L’operazione di recupero ha preso le mosse da una rogatoria internazionale richiesta dalla Procura della Repubblica di Roma all’autorità giudiziaria di Basilea, a latere dell’inchiesta che ha portato al recupero del celebre vaso di Assteas finito al Getty Museum di Malibù. In particolare, i Carabinieri presero di mira la figura di un trafficante italiano che faceva da intermediario fra tombaroli e acquirenti, un ambiguo personaggio che con una rapida scalata sociale era passato dal ruolo di facchino d’albergo a titolare di una galleria d’arte in Svizzera con un volumi d’affari milionario. Già noto alle forze dell’ordine, nel 2001 era stato fermato all’aeroporto Linate di Milano, mentre la moglie era stata arrestata dalle autorità elvetiche. E’ stato questo il punto di partenza di un’indagine che ha richiesto tempi lunghissimi dato che nel traffico sono poi risultati coinvolti diversi altri soggetti. I reperti sono stati ritrovati nascosti in 5 magazzini di Basilea, di proprietà del citato trafficante e di sua moglie ed erano in attesa di essere venduti a collezionisti privati tedeschi, inglesi, statunitensi, giapponesi e australiani; fra i clienti risultano però anche grandi musei stranieri pronti a fare salti mortali burocratici pur di far apparire legale l’acquisto.
Ad un attenta verifica è emerso che la maggior parte del materiale sequestrato proviene dalla provincia di Foggia, nella quale è compresa la ricchissima area archeologica della Daunia. Come ha spiegato alla stampa il professor Giuliano Volpe, ex rettore dell’Università di Foggia e presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici, degli oltre cinquemila reperti sequestrati, almeno 4mila provengono dalla Puglia ed il 70-80% di essi dalla provincia di Foggia, mentre solo una piccola parte proviene dall’area messapica (Brindisi). Dopo il sequestro e la confisca, si apre ora una fase di studio delle opere volta a ricostruire con precisione la loro collocazione territoriale.