«Il porto si curva in arco contro il mare d’oriente, due promontori schiumano sotto l’urto delle onde e il porto vi sta nascosto; gli scogli come torri proiettano due braccia che sembrano muraglie; il tempio è lassù in alto, ben lontano dal mare»
Virgilio, Eneide, L. III
«Dicono che i salentini siano coloni dei Cretesi; presso di loro si trova il santuario di Athena, che un tempo era noto per la sua ricchezza…»
Strabone, Geografia, L. VI
di Kasia Burney Gargiulo
Il dibattito su dove Enea – eroe in fuga da Troia distrutta e progenitore di Roma – fosse approdato arrivando in Italia è una vexata quaestio che ha visto coinvolti, fin dai primi studi umanistici, studiosi nazionali e letterati salentini: a contendersi questo approdo che, fra storia e mito, avrebbe cambiato i destini d’Italia e dell’intero Mediterraneo, sono stati a lungo soprattutto Porto Badisco (Otranto, Lecce) e Roca Vecchia (Melendugno, Lecce). Tuttavia è da anni che una lettura incrociata di fonti letterarie, dati topografici e recenti scoperte archeologiche, andava accreditando in modo sempre più insistente l’ipotesi che il prestigioso approdo coincidesse con Castro (Lecce), borgo situato lungo la costa orientale della penisola salentina e formato da un abitato principale di origine medievale, posto su un promontorio a 98 m s.l.m. e da una parte bassa, Castro Marina, sviluppatasi intorno al porto.
A offrirne la prova in queste ultime ore è il ritrovamento di una statua femminile con veste finemente drappeggiata e dimensioni doppie rispetto alla grandezza naturale. Raffigurerebbe appunto la dea Atena/Minerva alla quale era dedicato l’antico tempio citato da Virgilio e da altri autori proprio in correlazione con l’approdo di Enea. A ritrovarla, tre metri sotto terra, in pieno centro storico, è stata l’équipe diretta dall’archeologo Amedeo Galati, attivo sul sito da quasi sei anni. Nell’arco della giornata di oggi gli archeologi presenteranno alla stampa quest’opera che si ritiene risalga al III° sec. a.C., o addirittura ad epoca antecedente. Si tratta di una scoperta eccezionale che sembra aver ormai rimosso qualsiasi dubbio sulla precisa collocazione del luogo di virgiliana memoria.
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Ad essere recuperati finora sono il busto della statua con il peplo drappeggiato sul seno su cui spiccano rarissime tracce di colore rosso porpora, un braccio e la falange del dito di una mano; frammenti ritrovati su una struttura in grandi blocchi monolitici di pietra leccese. Mancano al momento la testa e la parte inferiore del corpo, ma gli archeologi si dicono fiduciosi sul loro prossimo rinvenimento. Si ritiene che la figura, a dimensione intera e compreso il piedistallo, raggiunga i quattro metri di altezza. La strana postura in cui la statua è stata rinvenuta, come deposta su un fianco, ha fatto ipotizzare che il suo interramento non sia avvenuto in modo casuale, ma con la precisa volontà di conservare traccia della divinità dopo una probabile demolizione del vecchio tempio in cui era venerata. Dai tratti stilistici chiaramente leggibili si deduce trattarsi di opera proveniente da qualche raffinata bottega tarantina, fra le tante operative sul territorio messapico salentino.
Di segnali circa la presenza a Castro di un luogo di culto dedicato ad Atena/Minerva, il cui nome peraltro già compariva nell’antica denominazione romana di Castrum Minervae, se ne sono avuti diversi nell’arco degli ultimi anni: dal rinvenimento di una metopa con triglifo, attribuibile ad un tempio che probabilmente sorgeva sull’acropoli della cittadella messapica, a quello casuale di una statuetta bronzea raffigurante Atena Iliaca con elmo frigio, reperto che per primo ha fatto identificare l’ipotizzata area di culto come un Athenaion affacciato verso il mare ed il porto. L’ipotesi è andata quindi ulteriormente consolidandosi nei mesi scorsi con il ritrovamento di pezzi del basamento della statua recanti un motivo floreale a traforo.
In realtà già nel 2009 l’identificazione era stata sostenuta da Francesco D’Andria – attuale direttore scientifico degli scavi oltre che docente di archeologia e direttore della scuola di specializzazione in archeologia classica e medievale all’università di Lecce – nel libro Castrum Minervae (Congedo, Galatina 2009) dedicato ai risultati degli scavi compiuti nel 2007 e 2008 con ampia risonanza nazionale e internazionale (se ne occupò anche The Independent con un’intera pagina dal titolo “In the steps of a Trojan hero”, 2007). Di probabile origine cretese o greca, successivamente popolata dai Messapi, Castro divenne colonia romana nel 123 a.C. col nome appunto di Castrum Minervae, toponimo derivato dal tempio in onore di Pallade Atena, ossia colei che per i Romani era la dea Minerva. Nel suo libro D’Andria spiega come l’impianto di un santuario di Atena a Castro vada collegato a tradizioni molto antiche, già adombrate nel mito di fondazione da parte di Idomeneo, e che i materiali del VI secolo a.C. qui ritrovati si riferiscono senz’altro ad una frequentazione cultuale già in epoca arcaica. Frequentazione che, secondo lo studioso, si intensifica nel IV e III secolo a.C. e va a ricollegarsi al mondo della Magna Grecia, come testimoniato da diverse tracce di pratiche religiose (sacrifici di animali e libagioni, ma anche oggetti votivi come punte di frecce e lance ed armi che rimandano al culto di Atena, similmente a quanto emerso in altri siti della Magna Grecia dedicati alla dea).
Gli scavi archeologici di Castro – finanziati con fondi della Comunità Europea e del Comune – si stanno svolgendo in un’area espropriata dieci anni fa a privati e coinvolgono, oltre all’archeologo Amedeo Galati, anche i topografi Fabrizio Ghio e Alessandro Rizzo e la dottoressa Laura Masiello che rappresenta la Soprintendenza archeologica di Taranto. Tutti i reperti già recuperati o in corso di recupero saranno custoditi presso il museo archeologico di Castro che ha sede nel locale castello aragonese.
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