Dal sottosuolo di Pompei riemerge la sepoltura in marmo di un ricco mecenate dei giochi gladiatori. Riportati alla luce, nello stesso contesto, anche i solchi impressi dai carri dei pompeiani fuggitivi sopra i lapilli dell’eruzione del 79 d.C.
di Kasia Burney Gargiulo
Non è raro, nei campi più disparati, che eccezionali scoperte avvengano durante attività di ordinaria amministrazione: una felice intuizione favorita dalle circostanze o, come in questo caso, un colpo di vanga assestato nel punto giusto, possono garantire significativi passi nell’evoluzione dell’umana conoscenza. E’ quanto accaduto nei giorni scorsi negli Scavi di Pompei dove sono in corso lavori di ristrutturazione di alcuni edifici demaniali: in particolare, nell’area denominata San Paolino, presso Porta Stabia, si stavano effettuando scavi di controllo sulle fondamenta dell’edificio che dal prossimo autunno ospiterà la Biblioteca della Soprintendenza, quando un saggio di profondità ha riportato alla luce il marmo di una sepoltura perfettamente conservata: “Poiché a Pompei non ci sono tombe in marmo – ha dichiarato il Soprintendente Massimo Osanna – abbiamo intuito che doveva trattarsi di una scoperta importante”. Da qui la decisione di investire immediatamente dei fondi per uno scavo più sistematico che, oltre alla tomba – senz’altro attribuibile ad un personaggio di spicco – ha permesso di portare alla luce i solchi che i carri dei pompeiani fuggitivi impressero sui due metri di lapilli depositati dalla grande eruzione del 79 d.C. (non è peraltro da escludersi l’ipotesi che quelle tracce appartenessero alla spedizione dei curatores restituendae Campaniae, i due magistrati che per ordine dell’imperatore Tito arrivarono nell’area colpita per valutare danni e soccorrere le popolazioni colpite): un tipo di testimonianza inedita nella plurisecolare storia degli scavi e correlabile con il rinvenimento – a breve distanza – di scheletri posizionati ad una quota più alta di quella dell’originario piano di calpestìo.
IL PRESUNTO TITOLARE DELLA SEPOLTURA
«[Populus] duas tantum res anxius optat, panem et circenses» recitava in età imperiale il poeta latino Giovenale nella sua Satira X per indicare le massime aspirazioni della plebe (cibo e giochi) soddisfatte da metodi politici di bassa demagogia. Un “pragmatico” sistema di costruzione del consenso al quale non sfuggiva neppure l’antica città vesuviana di Pompei che della capitale dell’Impero riproduceva con proverbiale disinvoltura usi e costumi, vizi e virtù. Un posto di primo piano vi ebbero i combattimenti fra gladiatori, come testimoniato dal grande Anfiteatro sopravvissuto alla fatidica eruzione vulcanica del 79 d.C.: un luogo per spettacoli cruenti in grado di infervorare gli animi come avvenne nel 59 quando una violenta rissa tra spettatori pompeiani e nocerini, menzionata negli Annali di Tacito e immortalata in un celebre affresco, provocò numerosi feriti e morti, determinando per decreto senatorio la chiusura dell’arena per dieci anni e la condanna all’esilio dell’organizzatore dell’evento. Proprio a questo mondo sarebbe da ricondurre il misterioso titolare della monumentale sepoltura appena riemersa a Pompei: si ritiene infatti che essa sia appartenuta a un impresario di spettacoli di gladiatori, morto un anno prima della grande eruzione. E a testimoniarne la fama e la ricchezza è la lunghissima epigrafe marmorea riemersa dal terreno.
Secondo gli archeologi è altamente possibile – sebbene non ve ne sia certezza matematica – che si tratti di Gneo Alleo Nigidio Maio, popolarmente soprannominato “principe della colonia”, in sentito omaggio ai memorabili spettacoli che organizzava nella città all’ombra del vulcano e che per fasto gareggiavano con quelli di Roma. Figlio di un liberto e amico di Nerone, menzionato in ben 17 altre iscrizioni ritrovate a Pompei, si scopre che al raggiungimento della maggiore età offrì un banchetto ai pompeiani facendo allestire 456 triclini per i suoi commensali, oltre a uno spettacolo con ben 416 gladiatori degno del romano Anfiteatro Flavio.
Sua anche l’iniziativa, in occasione della dedica di un vasto edificio termale, di offrire ai pompeiani un memorabile spettacolo nell’anfiteatro, per l’occasione coperto da un grande velario, con caccia ad animali feroci, giochi atletici e spargimento di profumi. Nell’epigrafe non manca un accenno alla celebre sanguinosa rissa all’anfiteatro del 59 d.C. fra spettatori pompeiani e nocerini in riferimento alla quale l’uomo si attribuisce il merito di aver ottenuto dall’imperatore il ritorno dall’esilio dei due sommi magistrati pompeiani puniti per l’accaduto.
LA TOMBA, LA SUA LUNGA EPIGRAFE E…UN ENIGMATICO BASSORILIEVO
Un inatteso rinvenimento archeologico, come talora accade, può costituire la tessera mancante di un puzzle rimasto a lungo irrisolto. E’ questa una circostanza che, secondo Massimo Osanna, ricorre nel caso del ritrovato monumento funerario e della sua epigrafe che, destinata ad occupare gran parte del fronte della tomba con i suoi quattro metri di lunghezza e uno sviluppo su sette righe, è la più lunga mai rinvenuta a Pompei. Ci sarebbe infatti un collegamento fra questi reperti e un bassorilievo funerario custodito presso il Museo Archeologico di Napoli. Quest’ultimo fu ritrovato a Pompei nella prima metà dell’ Ottocento, presso Porta Stabia, nel corso dei lavori di costruzione dell’edificio borbonico oggi in restauro. Lungo circa quattro metri e mezzo e alto 150 centimetri, è composto di due lastre e si sviluppa su tre registri di diversa altezza su cui sono raffigurati tre diversi momenti dei giochi. Sono dunque forti le corrispondenze con l’epigrafe ritrovata di recente che, con i suoi sette registri riporta nel dettaglio – pur non citandone il nome – le tappe fondamentali della vita del defunto e ne descrive le attività munifiche come banchetti pubblici, elargizioni liberali, organizzazione di giochi gladiatori e combattimenti con belve feroci. E’ dunque fortemente probabile che quel bassorilievo facesse parte del corredo decorativo della tomba di Gneo Alleo Nigidio Maio attualmente ritenuto il titolare più attendibile della monumentale tomba marmorea appena ritrovata.
“L’idea – ha detto Massimo Osanna – è quella di rendere fruibile questo monumento che è peraltro adiacente alla Biblioteca della Soprintendenza di prossima apertura, luogo destinato ad essere aperto al pubblico. La tomba sarà visibile dall’alto, mentre una parte di essa sarà visitabile dall’interno dell’edificio nel quale è rimasta parzialmente inglobata. Per la parte esterna pensiamo di utilizzare una tettoia trasparente che andrà a proteggere anche la copia del bassorilievo custodito al MANN che pensiamo di collocare, al posto dell’originale, nel punto in cui fu tranciato via dalla tomba in epoca borbonica. Importante sarà anche l’intervento conservativo sulle tracce dei carri rimaste impresse sullo strato di lapilli depositato dal vulcano nel 79 d.C., una testimonianza unica che rende ancor più materialmente visibile l’immane tragedia vissuta dai pompeiani in cerca di una via di salvezza.”
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