|
E’ piccola e delicata, pur nella solidità di quel marmo che le ha permesso di resistere per oltre duemila anni alla furia degli elementi. L’unica cosa che l’abbia ferita fino ad oggi è la mancanza di memoria degli uomini, capaci di dimenticarsi per oltre 40 anni di una così raffinata creazione dell’ingegno e del gusto dei nostri antichi avi, oscurata in un deposito degli scavi di Oplontis (presso l’attuale Torre Annunziata), sobborgo della vicina Pompei sepolto dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Un luogo che dal 1997 è entrato con Pompei ed Ercolano nella lista del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. E’ la Venere Nuda di Oplontis, una scultura di rara bellezza del I secolo a.C., che il 16 maggio scorso è stata esposta per la prima volta al pubblico nella Villa di Poppea a Torre Annunziata, nell’ambito della manifestazione “Notte Europea dei Musei”, promossa dalla soprintendenza archeologica di Pompei e dal Comune di Torre Annunziata. Una visita notturna agli scavi di Oplontis, per l’occasione illuminati da una suggestiva scenografia illuminotecnica, col pubblico accolto da archeologi della soprintendenza di Pompei e da volontari che hanno collaborato all’apertura e alla salvaguardia del monumento.
La scelta del contesto non è casuale: un oggetto di tale raffinato splendore non poteva che essere esposta in una delle ville romane più belle del circondario vesuviano, se non altro per la preziosità dei suoi affreschi. La piccola scultura mostra la dea nuda che, accingendosi al bagno compie il gesto molto umano di slacciarsi un sandalo, e per farlo si appoggia con il braccio sinistro ad una statuetta femminile e con il piede ad un piccolo Eros. Nella mano sinistra tiene una mela, ricordo della sua vittoria nella gara di bellezza in cui prevalse su Minerva e Giunone per giudizio di Paride.
Una delle peculiarità dell’opera è quella di conservare tracce del colore che in antico caratterizzava molte sculture rendendole molto diverse da come le vediamo oggi. Si conservano, in particolare, tracce di colore giallo sui capelli della dea e del piccolo Eros e di colore rosso sui sandali di lei e sul mantello di lui. Due fori sui lobi delle orecchie di Venere indicano inoltre la presenza di orecchini, probabilmente in oro, purtroppo a noi non pervenuti. La statua di Oplontis è una delle numerose repliche che, sia pure con alcune varianti, furono tratte da uno stesso originale di probabile derivazione greco-orientale del III-II secolo a.C. Un altro esempio è la celebre “Venere in bikini” rinvenuta a Pompei, così definita perchè raffigura la dea nella stessa posa, ma con il seno e i fianchi coperti da fasce dipinte in oro.
L’esposizione notturna di Torre Annunziata – ha spiegato l’assessore alla Cultura del Comune, Antonio Irlando – costituisce un’anteprima della mostra sugli Ori di Oplontis prevista a Palazzo Criscuolo a partire dal prossimo ottobre.
Dopo questa breve ”epifania” della dea, non rimane che augurarsi un suo prossimo definitivo ritorno in una sede museale stabile, perchè senza dubbio sarebbe un ulteriore eccezionale elemento di richiamo per un luogo che già gode di grande attrattiva grazie alla Villa di Poppea con i suoi straordinari affreschi da molti paragonati per qualità di fattura a quelli della Domus Aurea, il palazzo di Nerone a Roma. Non a caso si sospetta che gli stessi artisti abbiano dipinto anche le pareti della villa di Oplontis.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALCUNI AFFRESCHI DELLA VILLA DI POPPEA, AD OPLONTIS
Crediti immagini: Ph. Kudumomo | CCBY2.0; Ph. Paul Asman and Jill Lenoble | CCBY2.0; Ph. Chuca Chimas | CCBY-ND2.0