I benefici noti del bergamotto e le nuove scoperte pubblicate sulla rivista internazionale Nature Scientific Reports
di Redazione FdS
Se l’origine del bergamotto (Citrus bergamia Risso) costituisce ancora un rompicapo per gli studiosi – sia in merito alla sua genealogia botanica, sia per quanto riguardo l’epoca della sua comparsa in Italia – sempre più chiare risultano invece le innumerevoli proprietà benefiche di questo frutto. Diventato una delle icone identitarie della Calabria, cresce in una ristretta fascia di territorio nella provincia di Reggio Calabria, al punto da far sospettare possa trattarsi addirittura di una specie autoctona. Il frutto, che ricorda il pompelmo ma è di dimensioni più piccole, ha un colore più intenso ed è meno rotondo in quanto schiacciato ai poli, matura dal mese di ottobre-novembre fino a marzo. Non utilizzato come frutto fresco da mangiare, se non in preparazioni culinarie e in pasticceria, è rinomato soprattutto per l’estrazione del pregiatissimo olio essenziale impiegato in profumeria. Circa i suoi effetti benefici per la salute – a parte la ricca presenza di vitamine come la A, la C, quelle del gruppo B e flavonoidi, nonché di proprietà antibatteriche, antimicotiche, cicatrizzanti, antivirali e antiossidanti – uno dei più interessanti è senza dubbio l’azione preventiva sulle malattie cardiovascolari: nel corso del tempo, vari studi condotti da enti accademici come l’Università romana di Tor Vergata e le calabresi UNICAL e Università della “Magna Graecia”, hanno messo in evidenza una capacità di azione regolatrice del colesterolo LDL, cosiddetto ‘cattivo’ (fra gli altri, uno studio del 2007, uno del 2009, uno del 2011), proprietà peraltro già nota alla medicina popolare del reggino ma mai prima d’ora scientificamente avvalorata. In particolare, la ricerca condotta dall’UNICAL – confluita in un brevetto esteso a tutti i paesi europei – ha accertato la presenza di due statine naturali nel succo e nell’albedo, la parte bianca del bergamotto; le due molecole, battezzate brutieridina e mellitidina, sono risultate in grado di abbassare il livello di colesterolo nel sangue con un’efficacia, in termini di dose/risposta, non dissimile da quella dei farmaci chimici utilizzati in terapia, ma col vantaggio di non avere contro indicazioni. Una scoperta che potrebbe avere interessanti sviluppi nella preparazione di farmaci naturali anti-colesterolo a base di bergamotto.
Ma il bergamotto non smette di sorprendere rivelando nuove proprietà medicinali come quelle segnalate da uno studio pubblicato di recente sulla rivista ‘Nature Scientific Reports’ che ha documentato come un’assunzione prolungata della frazione polifenolica del bergamotto, identificata a livello mondiale come BPF, sia in grado di produrre effetti terapeutici sulla steatosi epatica (il cosiddetto “fegato grasso”), una delle patologie più diffuse nel mondo occidentale, spesso legata alla cattiva alimentazione e presente in varie fasce di popolazione pari a centinaia di milioni di persone. Oltre però a prevenire l’accumulo di grasso a livello epatico, secondo questo studio il bergamotto sarebbe in grado di prevenire anche lo sviluppo dello stato infiammatorio (NASH) che porta alla fibrosi epatica, alla cirrosi ed, infine, al cancro del fegato. A condurre la ricerca il gruppo di ricercatori capeggiato dal Prof. Vincenzo Mollace dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, che ha lavorato su un modello di steato-epatite non alcoolica che l’autorevole FDA considera come unico modello attendibile, a livello pre-clinico, per lo studio della steatosi epatica. “L’identificazione del meccanismo di azione molecolare del BPF nella steato-epatite non alcolica – spiega il dr. Vincenzo Musolino, primo autore della pubblicazione – chiarisce molte delle informazioni da noi raccolte nel corso degli ultimi anni e confermate nell’ambito di diverse collaborazioni internazionali che ci hanno dato accesso a modelli animali esclusivi di questa patologia, dati poi confermati da importanti sperimentazioni nell’uomo”. La ricerca è stata infatti occasione per importanti collaborazioni internazionali con alcuni dei massimi esperti in materia di NASH come il Prof. Arun Sanyal, dell’Università di Rochester, Ross Walker dell’Università di Sydney, James Ehrlich dell’Università di Denver e Pierre Bedossa dell’Università di Parigi.
“Questo importante lavoro, durato ben cinque anni – aggiunge il prof. Mollace – valorizza in maniera decisiva un prodotto esclusivo della nostra Regione. Tra l’altro, quest’attività di ricerca ha avuto il pregio di avvicinare molti giovani ricercatori, che abbondano nel nostro Ateneo, ad esperti di fama mondiale in questo settore, segnandone un insostituibile momento di crescita culturale e professionale”. Intanto le ricerche continuano prospettando importanti sviluppi nell’utilizzo dell’agrume a scopi farmaceutici e industriali, con prevedibili e importanti ricadute economiche sull’intera filiera di questo straordinario prodotto calabrese.
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