di Redazione FdS
Come certo i nostri lettori ricorderanno, nel novembre 2017 l’altopiano calabrese della Sila Grande è finito sotto i riflettori per lo straordinario ritrovamento dei resti di un Elephas antiquus, ossia di un esemplare di elefante – il più grande mai esistito sul nostro pianeta – appartenente a una razza vissuta per centinaia di migliaia di anni (dai 700 mila ai 40 mila anni fa) in un’area che va dal Nord Europa fino alle sponde del Mediterraneo. A farne una scoperta fuori dall’ordinario è non solo il fatto di essere la prima del genere in questa parte del territorio regionale, ma anche lo stato di conservazione dello scheletro, pressoché intero e in parziale connessione anatomica: accade infatti con maggiore frequenza che si rinvengano porzioni di zanne e molari isolati e molto più raramente crani e scheletri completi. La datazione esatta sarà stabilita a seguito di un attento studio dei reperti, mentre circa le cause della morte, a una prima ricostruzione, sembrerebbero essere state del tutto naturali non risultando al momento tracce che suggeriscano una concomitante presenza di cacciatori.
La scoperta, avvenuta casualmente nei confini del Parco Nazionale della Sila durante una ricognizione archeologica sulle sponde del Lago Cecita, in località Campo San Lorenzo, nel Comune di Spezzano della Sila (Cosenza), è stata resa possibile dalla siccità che nell’estate 2017 ha provocato un forte abbassamento del livello dell’acqua determinando l’emersione di ampie zone del fondale lacustre. Su questa scoperta la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, ha pubblicato una breve e suggestiva videocronaca delle operazioni di recupero dei resti paleontologici (v. video in alto) eseguite da un team multidisciplinare. I reperti attualmente si trovano a Campobasso, presso l’Università del Molise, sottoposti a restauro in un laboratorio specializzato in vista del loro rientro in Calabria e della loro esposizione al pubblico. L’Università del Molise ha partecipato al loro recupero attraverso l’archeologa Antonella Minelli, alla quale si riferisce la breve intervista che vi mostriamo nel video seguente curato dall’ateneo molisano.
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